Atene 1994, il capolavoro del Milan di Capello

Trionfo rossonero in terra greca. Il 18 maggio 1994, demolendo il super favorito Barcellona di Johann Cruijff, il Milan metteva in bacheca la quinta Coppa dei Campioni.

Fu fin troppo sbruffone il tecnico olandese alla vigilia. “Noi abbiamo Romario, il Milan Desailly”, dichiarò con tracotanza Cruijff prima della sfida contro i rossoneri. Desailly disputò una grande prestazione, segnando anche il quarto gol. Romario, di contro, fu uno spettatore non pagante, come lo scrutatore non votante di una canzone di Max Gazzè, azzerato dalla difesa milanista. Atene si colorava di rossonero in una serata in cui il Barcellona, favorito dai pronostici della vigilia, finì umiliato. Una serata perfetta per il quinto titolo europeo del Diavolo, quattro anni dopo dopo l’ultimo trionfo. Agli azulgrana non riuscì la riconquista della vetta continentale due anni dopo la vittoria contro la Samp di Boskov.

Pur non potendo disporre della coppia di difensori centrali più forte a livello internazionale, gli squalificati Baresi e Costacurta, il Milan non accusò difficoltà. “Non vedo proprio come possiamo perdere, – dichiarò, alla vigilia della finale, il tecnico olandese – le finali sono sempre state la mia specialità, la paura non so cosa sia”. Qualcuno gli avrebbe dovuto insegnare la massima trapattoniana (Trap, tra l’altro, l’aveva sconfitto nella finale di Coppa dei Campioni 1969): non dire gatto senza averlo prima infilato nel sacco.

Il festival della tracotanza del tecnico del Barca non conobbe limiti. “Siamo favoriti, giocando come sa, il Barcellona può vincere qualsiasi partita. I tifosi rossoneri si godano questo Barcellona: agli italiani non capita tutte le settimane di vedere una squadra che gioca bene come la nostra”. La finale, insomma, sembrava già vinta dal Barcellona ancor prima di scendere in campo. Il Milan? Poco più di un dettaglio. Nessun milanista volle replicare.

L’impassibile Cruijff: «Non vedo proprio come possiamo perdere»

Allo stadio Olimpico di Atene, i colori della vittoria furono rossoneri. Capello schierò Rossi tra i pali, TassottiPanucciFilippo GalliMaldini in difesa, AlbertiniDesaillyDonadoniBoban a centrocampo. Ad una difesa ermetica e ad un centrocampo di acciaio (ma non privo di fantasia) si aggiunse un attacco bene assortito, tra la classe e la fantasia geniale di Savicevic (artefice di una splendida seconda parte di stagione) e la velocità di Daniele Massaro.

Fu proprio Provvidenza, su assist del Genio montenegrino, ad aprire le marcature, raddoppiando prima dell’intervallo dopo una bella giocata di Donadoni. Il portiere catalano Zubizzareta cominciò a vedere le streghe. La coppia d’attacco RomarioStoichkov, tanto gettonata alla vigilia, risultò non pervenuta, ridotta a livelli di partita oratoriale.

In avvio di ripresa, Savicevic confezionò il capolavoro: Dopo aver rubato palla d’astuzia ad un difensore, notato il portiere fuori dai pali, Dejan disegnò un pallonetto con il compasso. Palla in fondo al sacco dopo una giocata da vedere e rivedere senza correre il rischio di annoiarsi.

Il Barcellona vacillò come Foreman al cospetto di Alì, a Kinshasa, venti anni prima. Rossi rimase inoperoso tra i pali del Milan. Gli occhi di Cruijff divennero sempre più spiritati mentre i suoi giocatori vagavano come un gregge senza pastore, nave senza nocchiero in gran tempesta.

Il poker lo servì Desailly, degno successore di Frank Rijkaard. Per Cruijff fu l’ultimo schiaffo della serata, per Fabio Capello la definitiva consacrazione: il suo Milan entrava nell’Olimpo dei grandi del calcio mondiale.

Parecchi anni dopo quella serata, il tecnico goriziano spiegò la chiave di volta di quel match. “Dopo aver perso in campionato contro la Fiorentina, capii che Desailly non poteva giocare centrale. E infatti ad Atene cambiai tutto. Ed ebbi ragione”. Nella meravigliosa prestazione del Milan spiccò il “senza voto” di Rossi seguito da una sfilza di valutazioni molto positive (capitan Tassotti, Panucci, Albertini, Filippo Galli, Maldini, Boban), con l’eccellenza rappresentata da Donadoni, Desailly e Massaro.

Lo sconsolato Zubizarreta osserva l’impietoso tabellone

La palma del migliore andò a Savicevic. Capello e il Milan fecero incetta di complimenti, a partire da quelli del commissario tecnico dell’Italia, Arrigo Sacchi. “Una gara entusiasmante, intensa sotto il profilo agonistico e tatticamente bene interpretata dai giocatori del Milan”, disse Sacchi, particolarmente colpito dalle prestazioni di Savicevic e Massaro e dalla difesa rossonera.

L’estro del campione di Podgorica, la grandissima vena e lo straordinario opportunismo di Massaro, la prestazione impeccabile della retroguardia e del centrocampo, resero possibile un successo meritatissimo, ampiamente legittimato dal gioco corale espresso dalla squadra milanista. Fu la serata perfetta anche per Silvio Berlusconi che quel 18 maggio ‘94 ottenne, con il suo Governo, la fiducia al Senato con 159 sì, 153 no e 2 astenuti.

Il poker di Atene consacrò il Milan di Capello, capace di ottenere il sigillo europeo, propedeutico per entrare nella storia del football mondiale. “Una vittoria conquistata grazie alla nostra filosofia di gioco”, aggiunse l’allenatore friulano. Roberto Beccantini su La Stampa vergò un incipit da manuale del giornalismo:

“Quattro a zero al Barcellona di Cruijff, Romario e Stoichkov, al Barcellona dei 91 gol in campionato, ai nuovi interpreti del calcio totale. Il più straordinario Milan di tutti i tempi rovescia il pronostico, schianta un monumento e alza, nel delirio dei tifosi, la quinta Coppa dei Campioni della sua storia, la terza di Berlusconi, la prima di Capello, osannato come e più dell’Arrigo ai tempi d’oro”.

Daniele Massaro: “Provvidenza” regalò una doppietta al popolo rossonero

Massaro segnò nella porta che undici anni prima era stata fatale alla Juve contro l’Amburgo, nella finale marchiata a fuoco da un tiro velenoso di Felix Magath. “L’uomo del destino” divenne Savicevic. Un trionfo mirabile nella forma e nella sostanza, mai in discussione. “L’orchestra di Capello suona Mozart, quella di Cruijff rapsodie noiosissime”, aggiunse Beccantini. Filippo Galli braccò Romario riducendolo a nullità, stesso discorso per Panucci su Stoichkov mentre a centrocampo Desailly e Albertini fecero sistematicamente steccare Bakero e Amor. Le diavolerie di Savicevic, infine, mandarono in tilt Koeman, Nadal e Guardiola. “Burro fuso per i denti degli squali milanisti” (Beccantini dixit).

Le lacrime di Fabio Capello fecero da corollario all’apoteosi. Dopo tre scudetti in tre anni arrivò la tanto attesa Coppa dei Campioni. La migliore risposta a chi gli dava del passista. Il tecnico bisiaco poteva finalmente alzare quel trofeo, sfuggitogli a Belgrado da calciatore (‘73) e venti anni dopo, da allenatore, contro il Marsiglia.

“Sapevamo tutti gli uni degli altri punti di forza e punti deboli. Siamo stati più bravi noi a sfruttare i punti di forza nostri che a colpire i punti deboli loro. Una partita praticamente perfetta. Ho fatto un paio di aggiustamenti in corsa, ma nella sostanza la gara era stata preparata alla perfezione e altrettanto perfettamente l’abbiamo messa in pratica sul campo. Un 4-4-2 intelligente, veloce, aggressivo. Così abbiamo preso il sopravvento, così abbiamo finito per dominare”.

Cruijff parlò di sconfitta durissima. “Ma non facciamone un dramma, cambieremo qualcosa, abbiamo pur sempre vinto il campionato e disputato la finale di Coppa Campioni”. Dalla sbruffoneria della vigilia al “chi si contenta gode” del post finale. I giocatori azulgrana finirono tutti dietro la lavagna: dalla ridicola prestazione di Koeman a Sergi, non pervenuto, infilato dai rossoneri in ogni punto del campo.

Stoichkov si dimostrò fuoriclasse a parole nei giorni precedenti la partita senza mai essere incisivo ad Atene. “Uno di quelli che si erano scaricati a parole pensando che il Milan fosse il Siviglia”, scrisse Gigi Garanzini. Infine Romario, autore di appena un guizzo in tutta la gara: pochissimo per un fuoriclasse. Marcel Desailly, escluso dagli States con la sua Francia, sentenziò: “Questo è il mio Mondiale, è una grande serata. Il Barcellona? Loro hanno parlato prima, noi dopo sul campo”.

La grande rivincita di Marcel Desailly

Giorgio Tosatti (Corriere della Sera) partì da un accostamento politico:

“Cruijff mi ha ricordato Occhetto (segretario del Partito Democratico di Sinistra, sconfitto alle Politiche ‘94 da Berlusconi, NdA), troppa tracotanza prima della partita, troppo disprezzo degli avversari, troppi errori in campo. Ha agevolato Capello, come l’altro agevolò Berlusconi. Capello ha ampiamente superato il pur glorioso predecessore. Lo testimoniano i numeri: tre scudetti su tre perdendo appena cinque partite; un secondo ed un primo posto nella Coppa campioni, subendo la sola sconfitta di Monaco. Ingiusta: il Milan pur stanco giocò meglio del Marsiglia, riposatosi comprando l’incontro col Valenciennes. – scrisse Tosatti – Nessun tecnico ha vinto tanto perdendo così poco, adattandosi a situazioni così diverse, capitalizzando tanto bene le risorse”.

I numeri del tecnico milanista, chiamato a raccogliere la pesantissima eredità sacchiana, confermarono l’analisi tosattiana: il primo scudetto (‘92) vinto a suon di gol (74) e l’ultimo (‘94) con 36 reti ma incassandone meno di chiunque prima di lui.

“I detrattori lo lasceranno in pace dopo averlo trattato da arido ragioniere, dopo avergli ricordato in modo petulante i meriti di Sacchi, il suo gioco stellare, la sua filosofia ardimentosa ma dimenticando i fuoriclasse di cui disponeva, le troppe sconfitte, le cadute di stile (a Bergamo, Marsiglia, Verona e Napoli quando voleva lasciare il campo), le condizioni in cui abbandonò il Milan di cui aveva chiesto una mezza rifondazione. Sacchi vinse perchè aveva fuoriclasse giganteschi (determinanti i gol degli olandesi) e uno squadrone infinitamente superiore agli avversari. Capello aveva contro il Barcellona (4 finali in 6 anni, 7 coppe europee come ora il Milan), l’attacco più forte del mondo, il tecnico più ricco di successi e di fama. Doveva sostituire la coppia cardine della difesa; vincere con una squadra che in campionato non ha mai fatto più di due gol a partita. Non era favorito, il Milan. Eppure ce l’ha fatta segnando 4 reti, lasciando Rossi quasi inoperoso, facendo dimenticare gli assenti, umiliando il Barcellona, giocando un calcio così intelligente, aggressivo, fluido e autorevole da raggiungere la perfezione”.

Tra i più grandi meriti di Capello ci fu quello di aver prosciugare le sorgenti del gioco catalano (Guardiola, Koeman), bloccando i killers (Romario, Stoichkov) e sconvolgendo le retrovie con la cavalleria offensiva. Il trionfo della squadra rossonera su alcuni eccellenti solisti dell’undici catalano, l’intelligenza e lo studio del tecnico milanista prevalse sulla superficialità del dirimpettaio olandese. “Cruijff ha fatto la figura di un dilettante come dimostra la libertà lasciata a Savicevic e Massaro”, aggiunse Tosatti dalle colonne del quotidiano di via Solferino. Nella gloriosa storia rossonera entravano i cavalieri che fecero l’impresa nella terra degli dei.

Da Rossi, preparatosi per gli straordinari per poi trascorrere una serata da turista, a Tassotti, in piena souplesse contro i presunti temibili avversari. Panucci, senza problemi al cospetto dell’evanescente Stoichkov e Albertini, padrone del gioco, autore di buone verticalizzazioni, azzerando Pep Guardiola. Ed ancora: l’impeccabile Filippo Galli: non un errore, un’incertezza, una sbavatura. Perfetto. Stesso discorso per Maldini. Donadoni tornato ai livelli di fine anni 80: capace di tamponare a metà campo e poi di dribblare e crossare palloni d’oro dal fondo. Un giocatore decisivo. Desailly straordinario sradicatore di palloni fino all’ultimo, con il gol come ciliegina sulla torta di una prestazione superlativa. Boban che non sbaglia una giocata, Savicevic uomo assist nel primo gol e inventore di un pallonetto delizioso della terza rete oltre a tante giocate di qualità al centrocampo a sconcertare gli spagnoli. Massaro, infine, autore di un gol da opportunista e uno da grande attaccante, mandò chiari segnali a Sacchi in vista dei Mondiali americani. Il Milan atterrò alla Malpensa con un’ora di ritardo. Dalla scaletta, il primo a scendere fu capitan Tassotti con la Coppa dei Campioni. La quinta della storia rossonera dopo la splendida sinfonia ateniese.