Il crollo dell’Italia ai mondiali del 1974: il teatro degli errori

Giovanni Arpino ci ha scritto un libro: «Azzurro tenebra». Per tenebre si intende oscurità, buio pesto, notte. Nel buio pesto si perde una grande squadra (o presunta tale) e si consumano anche i tradimenti.

La notte è il momento del giorno in cui i fantasmi possono muoversi abbastanza agevolmente e compiere i loro misfatti. In poche parole, ecco raccontato il mondiale 1974 della nostra Nazionale. Il tutto, o la fine di quel tutto, era cominciato a Coverciano dove, in preparazione al viaggio in Germania, la Federazione aveva formato uno staffa al quale era stata affibbiata una denominazione a dir poco pomposa: «pentagono azzurro». Ne facevano parte il presidente Artemio Franchi, il capocomitiva e presidente del settore tecnico Franco Carraro, il direttore generale delle squadre nazionali Italo Allodi, il commissario tecnico Ferruccio Valcareggi e il medico della Nazionale e direttore del Centro Tecnico Fino Fini.

Sulla carta era uno schieramento straordinariamente efficace, ma abbastanza presto si capì che qualcosa non avrebbe funzionato, soprattutto la collaborazione tra Carraro ed Allodi. I due, di stile opposto e di provenienza sportiva per molti anni concorrenziale (Milan il primo, Inter e Juve il secondo), avrebbero dovuto far convergere le loro straordinarie esperienze di dirigenti per dare alla Nazionale una conduzione esemplare sotto tutti gli aspetti. Si aspettava che Carraro desse uno schiaffo, là dove Allodi era pronto a fornire una carezza.

Eravamo tutti convinti che Allodi avrebbe spianato la strada con un sorriso mentre Carraro, nel gioco concordato delle parti, avrebbe rappresentato sempre l’intransigenza un po’ burocratica di una federazione che aveva la pretesa di darsi la solennità di un ministero. Invece le parti si capovolsero quasi subito. Fu a pochi giorni dalla partenza, infatti, che un giocatore, Juliano, si lasciò andare ad un lungo sfogo critico nei confronti di Valcareggi e delle scelte tecniche. Il campionato era stato vinto dalla Lazio di Chinaglia. Il Napoli si era piazzato al terzo posto e il nostro calcio incominciava ad indirizzare segnali decisamente vincenti verso il Centro-Sud.

Juliano, napoletano verace, poco propenso al gioco dialettico delle interviste quotidiane, si lasciò andare abbastanza pesantemente, per una volta, contro una squadra che, secondo lui, prevedeva sempre le stesse facce con la solita provenienza nordica. A Coverciano successe il finimondo. Allodi, contravvenendo al suo cliché di grande mediatore, pretendeva che il giocatore fosse immediatamente escluso dalla lista dei 22. Carraro, evidentemente già indirizzato a percorrere le vie possibiliste della politica, decise di lasciar perdere. La cosa si seppe e da quel giorno, come sarà poi ampiamente dimostrato nel ritiro di Ludwisburg, in molti si arrogarono il diritto di non stare alle regole.

In un clima di tensione, di rivalità sempre più pesanti tra un giocatore e l’altro, incominciò cosi il viaggio per la Germania che prevedeva una tappa di avvicinamento a Vienna dove era in programma, al Prater, una partita con l’Austria. Qualcosa, nella nostra squadra, non aveva già funzionato all’Olimpico quando in febbraio ci eravamo opposti ai tedeschi ovest (0-0) in amichevole, ma era opinione generale che Valcareggi avesse tra le mani una formazione fortissima: pochi mesi prima, infatti, non aveva battuto nettamente il Brasile, la Svezia, l’Inghilterra per poi andare addirittura a vincere a Wembley? Non era Zoff, forse, il portiere più imbattuto del mondo?

A Vienna, invece, scattò il primo allarme azzurro. Finì 0-0, non c’era più gioco, Rivera inciampava nelle margherite, i tecnici venivano improvvisamente assaliti da dubbi protratti nel tempo, nelle chiacchiere e nelle polemiche al momento di scegliere tra Chinaglia e Anastasi, tra Causio e Mazzola! Riva, oltretutto, aveva male ad una gamba e Arpino avrebbe poi scritto che il suo sistema nervoso era molto prossimo al tilt quasi fosse un gladiatore dai riflessi consumati.

Momenti di apparente tranquillità nel ritiro di Mon Repos. Da sinistra: Mazzola, Albertosi, Zoff, Anastasi; Facchetti e Rivera

Sappiamo soltanto che in Germania, a Stoccarda, arrivò una truppa solo apparentemente attrezzata in modo perfetto: avevamo una staff di dirigenti vincenti e riveriti, la dispensa del «Mon Repos», la costruzione alberghiera eretta su un lago poco distante dal castello di Ludwisburg, era stata riempita di tutte le delizie: ruote di formaggio, olio extra vergine, acque minerali e vini d’annata, prosciutti dolcissimi, maccheroni e spaghetti di tutte le qualità. C’era anche l’addetto alla proiezione dei film e chi avrebbe dovuto, sulla sorta di un animatore della Valtur, intrattenere i giocatori in giochi e giochetti passatempo, perché non pensassero troppo ad Haiti, all’Argentina, alla Polonia, vale a dire alle tre squadre che facevano parte del nostro gruppo eliminatorio ed avremmo dovuto incontrare in successione.

E fu proprio in quel fantastico Mon Repos, ogni giorno assediato da migliaia di tifosi italiani, pronti a sostenere i turni notturni alla Mercedes pur di non perdere un sospiro dei loro campioni, fu proprio in quell’angolo un po’ confezionato di paradiso che incominciarono ad agitarsi i fantasmi. Le notti, come si verrà poi a sapere, erano notti di intrighi. La camera di Chinaglia era il crocevia di una rivoluzione in atto.

Chi avrebbe giocato il 15 giugno a Monaco contro Haiti? Tutti o quasi tutti volevano giocare, perché si era certi che sarebbe finita in goleada: agli haitiani veniva riconosciuta soltanto la capacità di affidarsi al «voodoo», cioè il rito magico che veniva e viene praticato sull’isola caraibica per controllare il corso del destino. Mentre Polonia e Argentina si affrontano a Stoccarda, nel Neckarstadion che ci sarà fatale, si va a Monaco con questa squadra: Zoff; Spinosi, Facchetti; Benetti, Morini, Burgnich; Mazzola, Capello, Chinaglia, Rivera, Riva. E all’Olympiastadion, voodoo o non voodoo, dopo un primo tempo finito ingloriosamente in bianco, proprio al primo minuto del secondo succede quello che nemmeno il miglior stregone di Port au Prince avrebbe osato garantire ai suoi fedeli.

Tale Sanon, nero come il destino della nostra nazionale, se la fila in contropiede e fa secco Zoff dopo 1143 di imbattibilità. Lo sconcerto è enorme. Nessuno sa quale sia la professione di Sanon e nessuno è in grado di escludere che faccia il dentista, come Pak Doo-Ik, il nord coreano che otto anni prima in Inghilterra aveva messo alla berlina la Nazionale di Fabbri. Valcareggi, che aveva fatto l’osservatore in funzione della famigerata partita di Middlesbrough, e non solo lui, incomincia a pensare alla clamorosa beffa-bis quando Rivera gli raggiunge il pareggio e quando Auguste devia alle spalle del suo portiere un tiro dei nostri. La Corea bis è dunque evitata, ma non basta.

Bisogna segnare ancora: bisogna vincere di goleada in previsione di una eventuale differenza reti da conteggiare quando si dovranno decidere le due squadre promosse al secondo turno. Mancano 26 minuti alla fine ed ora che la partita è in qualche modo risolta, nasce l’esigenza di accendere una santabarbara nell’area di Francillon. Valcareggi, che con le staffette non è mai stato fortunato visti i clamorosi risvolti polemici legati a sostituzioni passate, decide di rendere più agile il nostro attacco. Gli haitiani intasano gli spazi e serve il ginger di un attaccante che sappia infilarsi di agilità. Decide quindi, ahi lui, di far entrare Anastasi e di richiamare in panchina Long John Chinaglia che non era mai riuscito a catapultare con successo la sua possente mole nel cuore della difesa caraibica e che aveva appena commesso, sotto porta, un incredibile errore.

E qui succede il finimondo. Proprio Anastasi, segnando il terzo gol all’81’ avrebbe in qualche modo dato ragione al cittì, ma Chinaglia, capo carismatico dell’ala contestatrice della nazionale, interpreta quel cambio come il pretesto per un’offesa personale, Long John si avvicina lentamente alla panchina con la faccia minacciosa, poi, all’improvviso incomincia a correre e, passando davanti a Valcareggi, lo «vaffancula» con un gesto che non ammette altre interpretazioni. Nello spogliatoio, quasi un saloon da spaghetti-western, farà volare tutte le bottiglie d’acqua minerale che gli capiteranno tra le mani lastricando il pavimento di vetri aguzzi e taglienti.

Un Chinaglia dolente nella famigerata conferenza stampa del dopo-Haiti

Nel dopo partita, userà le parole con identica veemenza. Nasce naturalmente un caso. Allodi vuole rispedire Chinaglia a Roma, ma anche questa volta viene messo in minoranza. Franchi e Carraro si affidano alla bontà dell’indimenticabile Tommaso Maestrelli, che arriva d’urgenza a Stoccarda in aerotaxi, per far «ragionare» il suo gigante e riaffidarlo apparentemente placato alla truppa azzurra.

Naturalmente è un errore, uno dei tanti. E intanto la Polonia, forza emergente, ha fatto fuori l’Argentina che sarà la nostra prossima avversaria. E all’improvviso si apre una vicenda che potrebbe in qualche modo favorirci. Nel ritiro degli argentini, dalle parti di Sindelfingen. uno dei giocatori, Roberto Telch, viene denunciato per aver tentato di violentare una cameriera. I giornali tedeschi ci danno dentro a più non posso così creando un clima molto sfavorevole alla squadra biancoceleste.

Roberto Telch, un duro con la faccia sgherra di chi non vuole sentire ragione mai, dovrebbe essere il marcatore di Rivera. Qualcuno ci scherza sopra. Perché mandare in campo il golden boy, col rischio che Telch sfoghi, contro il nostro «abatino», tutti i furori che gli sono stati interrotti nella turbolenta notte che lo ha reso tristemente famoso? Ma il tempo per gli scherzi dura poco. La partita incombe.

L’Italia schierata contro l’Argentina, l’ultima con Riva e Rivera

Viene escluso Chinaglia. E incombe di nuovo la paura. Il fatto di avere un pubblico a favore di oltre 60 mila persone acuisce la responsabilità di far bene. Dopo 20′ siamo sotto di un gol. Lo segna Houseman. Pareggiamo al 35′ grazie ad un’autorete di Perfumo. Rivera viene sostituito da Causio, nessuno in quel momento lo può immaginare ma sono gli ultimissimi spiccioli azzurri del capitano del Milan. A pochi minuti dalla fine Mazzola ha nei piedi la palla della vittoria:

«Feci un doppio scambio con Riva ed entrai in area. Carnevali, il portiere, mi venne incontro: era troppo vicino e se avessi calciato forte gli avrei mandato la palla addosso. Cosi tentai un colpo di finezza: accarezzai la sfera con l’interno destro per aggirare il portiere: il pallone avrebbe dovuto dirigersi fuori dallo specchio della porta per poi rientrare, grazie all’effetto, e finire in rete. In effetti viaggiò rasoterra, incominciò a rientrare, poi, all’improvviso ritornò di colpo a sinistra e uscì senza nemmeno colpire il palo! Io rimasi lì, come un allocco: non era possibile. Guardai il prato vicino al montante e vidi uno strano rigonfio. Andai a controllare: qualcuno aveva sostituito proprio in quel punto una zolla d’erba, ma non aveva sistemato a dovere quella nuova che formava una montagnetta: la palla, leggera e lentissima, aveva colpito quella zolla ed era schizzata fuori! Con quel gol avremmo passato il turno…».

Finisce, invece, 1 a 1 e da Monaco giunge una notizia niente affatto piacevole. La Polonia ha rifilato 7 gol (a zero) ad Haiti. Sanon e compagni, dopo i mezzi miracoli nella partita d’esordio, sono ritornati alla loro dimensione normale che nemmeno il voodoo riesce a correggere. È presumibile che subiranno molti danni anche dall’Argentina, quindi, se vogliamo restare in gioco bisogna pareggiare con la Polonia. E a dir la verità si potrebbe. Anche un pareggio, infatti, garantirebbe il primo posto del gruppo ai polacchi.

Viene addirittura inviato un messaggio alla nostra federazione. Ne è innocentissimo latore il giornalista Mario Pennacchia. Durante una cena ufficiale sul lungo Neckar, tra un Wurstel e una birra, si avvicina un giornalista di Varsavia che ha agganci importanti col politburo del calcio polacco:

«A Gorski piacerebbe che non giocassero Anastasi e Chinaglia perché sono due tipi bizzarri dei quali non ti puoi fidare mai…».

Non si capisce bene se il sorridente giornalista polacco chiede esplicitamente di fare un’ambasciata ai responsabili azzurri, ma Pennacchia ritiene sia giusto far pervenire i «desiderata» del cittì polacco a chi di dovere. Il risultato finale è che viene silurato Riva, che giocano sia Anastasi che Chinaglia, che i nostri iniziano a spron battuto e si spengono su un rigore negato dal tedesco Weyland proprio ad Anastasi. I polacchi, forti della miglior squadra della loro storia, ci battono al 38′ con Szarmach e al 44′ con Deyna.

A questo punto nasce la storia, mai controllata perché incontrollabile, di schiacciatine d’occhio rivolte, tra un tempo e l’altro, ai dirigenti polacchi e di dita stropicciate in tutte le valute del mondo. Quasi sicuramente è una fantasia tipica italiana, ma anche questa fa parte di quel clima da «azzurro tenebra» che ha caratterizzato il nostro mondiale 1974, un mondiale per noi finito sul gol di Capello che accorcia inutilmente le distanze. Al secondo turno passa la Polonia con l’Argentina.

Nella mortificazione, però, c’è anche una piccola fortuna. I sudamericani vanno a Gelsenkirchen, in un pomeriggio di vento e di bufera, ad incontrare gli olandesi e vengono spazzati via. La stessa sorte sarebbe probabilmente toccata a noi. E allora i miti dei nostri primi anni 70 sarebbero crollati miseramente mentre oggi esiste ancora l’idea che gestiti in un modo migliore avrebbero continuato a farci sognare