JONGBLOED Jan: l’otto-volante

“In partite del genere l’emozione era immensa. Ricordo che a Milano effettuai un intervento spettacolare e mentre ero proteso in tuffo ebbi la sensazione che avrei potuto fluttuare a mezz’aria in eterno se solo avessi voluto. La percezione estrema del concetto di libertà: questo è ciò che mi ha regalato il ruolo di portiere. Non esiste nulla di meglio al mondo” – Jan Jongbloed

Il 10 Maggio 1940 la Germania nazista invase l’Olanda e in cinque giorni di combattimenti i Paesi Bassi divennero parte del Terzo Reich. Iniziava un periodo nero per la storia del paese che durò fino alla liberazione del 1945, grazie alla tenace resistenza olandese e agli eserciti liberatori, in particolare i canadesi e i polacchi.

Nel Novembre di quell’anno, il giorno 25, in un clima di guerra totale e incertezza, veniva dato alla luce in quel di Amsterdam un certo Jan Jongbloed. Il ragazzo crebbe come tanti altri e l’unica cosa che si poteva notare era la sua incredibile altezza, oltre il metro e novanta. Come gli altri ragazzini olandesi, Jan era appassionato di calcio e data la statura veniva spesso impiegato in porta, seppur non disdegnasse altri ruoli. Giocava bene. Talmente bene che si accasò presso la squadra della DWS di Amsterdam. Giocava in porta e si faceva notare, ma aveva un contratto da semi-professionista perché il calcio è un bel gioco ma non si sa mai. Molto meglio un lavoro sicuro.

Jan iniziò a gestire una tabaccheria. Negli anni 60 fumavano tutti, gli eroi del cinema fumavano e tutti volevano fumare. Non c’erano le leggi sul fumo che abbiamo oggi, si fumava nei locali, c’era persino la pubblicità delle sigarette. E comunque non era facile fare il professionista in Olanda, anche se giocavi in serie A. Non era mica detto che guadagnavi abbastanza per vivere bene. E poi, stando alle cronache, Jan aveva una passione ancora più forte del calcio. Jan era un pescatore.

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Jongbloed con la maglia del DWS nel 1964

Però giocava bene, talmente bene che si ritrovò a fare la riserva in nazionale. Non che l’Olanda fosse la patria del calcio mondiale, ma il 26 Settembre 1962, alla tenera età di 22 anni, Jan Jongbloed subentrò negli ultimi minuti di gioco al titolare Piet Lagarde. Lo stadio era quello di Copenaghen e i danesi stavano vincendo 3-1. Il giovane Jan riesce, nonostante il poco tempo a disposizione, a subire un gol e la partita si chiude 4-1 per i danesi. La cosa non deve essere piaciuta all’allenatore e all’Olanda intera, tanto che Jongbloed vide chiuse le porte della nazionale a tempo indeterminato.

Poco male. Una cosa da raccontare ai figli e ai nipoti. Si riprende il tran tran in tabaccheria. La tabaccheria va bene, il pesce non manca in Olanda e soprattutto d’estate. Quando in inverno i canali e i fiumi sono ghiacciati si gioca a calcio e si arrotonda. Una carriera un po’ monotona nella DWS, la squadra sfigata di Amsterdam.

Ma poi in Olanda, anno dopo anno, il calcio sta diventando una cosa seria. Il Feyenoord di Rotterdam e l’Ajax di Amsterdam stanno andando alla grande e si stanno facendo valere anche in campo europeo. Più che altro sta emergendo un nuovo modo di interpretare il gioco del pallone. Non più ruoli e giocatori fissi e immobili nella propria casellina di campo, ma gente che riesce a giocare in quasi ogni ruolo. Non più marcatori fissi, ma difensori che presidiano una zona di campo, indipendentemente da chi ci si presenta. E poi terzini che avanzano, che tanto, se avanzano, il mediano si può fermare un attimo. Giocatori che possano spaziare sulla fascia destra e sulla fascia sinistra.

E poi il pressing. Vale a dire non mettersi lì ad aspettare che gli avversari arrivino e poi fallita la loro azione di gioco impostare la propria. No. Anche quando gli altri hanno la palla, andargli addosso attaccando. Un “attaccare senza palla” lo chiamerà qualcuno. Poi il “fuorigioco”. Quando l’azione riparte tutti i difensori avanzano, se si perde palla un passaggio agli attaccanti diventa una punizione a favore, mentre questi ultimi si guardano inebetiti chiedendosi “Come ho fatto a finire oltre a tutti i difensori?”. Oggi sembra accademia, ma alla fine degli anni ’60 era fantascienza, una cosa inconcepibile. Lo chiamarono “Calcio totale”.

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Jongbloed tra Schrijvers e Cruijff

Talmente inconcepibile che qualche saputello la riteneva una moda passeggera che avrebbe portato pochi frutti, al di là dell’innovazione stilistica, soprattutto dopo che l’Ajax arrivò in finale di coppa dei campioni ma venne distrutto dal Milan di Pierino Prati. L’anno seguente tocca però al Feyenoord di Rotterdam vincere la coppa dei campioni. E dopo arriva l’Ajax di Johan Cruijff che ne vince tre di fila. Tutto questo Jan lo vede dalla sua tabaccheria e dalla porta della DWS.

Un giorno, visto che ci sono liti intestine, infortuni vari e un poco di culo nella vita non guasta, l’Olanda si trova a non capire chi chiamare nel ruolo di portiere. Arie Haan, stella del centrocampo tulipano, è dovuto arretrare al ruolo di difensore centrale per indisponibilità di altri nel ruolo. La difesa è scoperta, servirebbe uno in grado di giocare da “libero aggiunto”, abile anche con i piedi all’occorrenza. Rinus Michels, il ct, si ricorda di un ex ragazzo con la passione della pesca e, tra la sorpresa generale, chiama in Jan nazionale per un’amichevole.

L’amichevole contro l’Argentina finisce 4-1 per gli orange. Jan è un tipo placido e non crea problemi tra alcune primedonne dello spogliatoio. Riesce a stare nell’ombra e in porta non è male. Con i piedi forse è meglio che con le mani. Ma per il “calcio totale” forse è meglio, no?

E così Jan si trova, all’età di 34 anni a vestire per la seconda volta la maglia della nazionale. Questa volta il 4-1 è per l’Olanda, perché l’Olanda si è già qualificata per i Mondiali che si saranno in Germania in estate. Ci sono grandi aspettative, in patria. Jan sogna ma nella successiva amichevole contro la Romania Jan non gioca, il portiere è un altro, uno dei tanti. La seconda chiamata di Jan in nazionale a 12 anni dalla prima viene presa come una stravaganza. L’Olanda è un paese eccentrico, abituato a tollerare ben altro. Poi escono le convocazioni per i mondiali e… sorpresa. Jan è nei 22. La tabaccheria dovrà, per qualche settimana, trovare un sostituto. Quell’estate i pesci dovranno aspettare.

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Neanche per sogno, visto che la leggenda narra del nostro Jan che si porta canne (da pesca, è bene specificare visto che siamo in Olanda) e mulinelli nella valigia. Anche perché sarà anche bravo con i piedi, Jan, ma ci sono due giovani molto bravi davanti a lui e si aspetta di esser stato chiamato come terzo portiere, quasi come un papà da utilizzare per fare spogliatoio. Un’altra cosa da raccontare ai figli e ai nipoti. “Sai che ho giocato a calcio? Ho addirittura partecipato a un mondiale!”

L’Olanda ha una stella che si chiama Johann Cruijff. Lui esige e ottiene. Esige che la tripla banda dell’Adidas sulle maniche della maglia diventi una doppia banda SOLO SULLA SUA, perché lui ha come sponsor la PUMA. Lo otterrà. Vuole il numero 14, suo portafortuna. E manco a dirlo, lo ottiene. Tutti gli altri giocatori non si sceglieranno il numero. Verrà assegnato in ordine alfabetico. Punto e basta.

Il giorno dell’esordio contro l’Uruguay si diramano le formazioni. Jan è titolare. Titolare? Pazzesco. Anzi, strano. Strano ma vero. Jan scende in campo, possiamo solo immaginare con che stato d’animo. Si presenta in porta, con la maglia gialla e con il numero… otto. Tutto il mondo ride del giocatore dal fisico tarchiato e del suo numero. Si ride anche delle sue uscite spericolate, del suo esser più abile con i piedi che con le mani. In Olanda ridono forse meno, forse hanno paura, ma in realtà sembrano tutti tranquillissimi, a sentir le cronache. Jan quella porta la difenderà tutto il mondiale. E, nonostante le stranezze e la condotta poco ortodossa, mica si comporta male. Arriva in finale dopo aver subito soltanto un gol. E per giunta a fargli gol è stato uno della sua squadra, Ruud Krol, per sbaglio. Insomma, nessuno di nessuna altra squadra è riuscito a fargli un gol, a quel dannato tabaccaio di Amsterdam.

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In uscita (rigorosamente senza guanti…) nella finale di Monaco 74

La finale è allo stadio Olimpico di Monaco di Baviera. Monaco è sinonimo di strage da due anni, per i tedeschi una macchia indelebile durante le olimpiadi. La Germania Ovest, che si oppone all’Olanda, oltre a giocare in casa ha da ribaltare una storia recente fatta di delusioni e di occasioni perdute per rifarsi un’immagine. L’arbitro Taylor fischia l’avvio. L’Olanda batte il calcio di inizio e i suoi giocatori si passano il pallone per un minuto fin quando Cruijff affonda e viene falciato in area da Hoeness. Rigore: batte Neskeens ed è gol. Nessun giocatore della Germania Ovest ha ancora toccato la palla e l’Olanda è già in vantaggio.

I tedeschi reagiscono, attaccano come forsennati, sbagliano; Jan si dimostra portiere con le palle quadre, altro che tabaccaio o pescatore. Ma le storie degli antieroi non possono finire troppo bene e così la Germania va al riposo dopo aver segnato due volte nella porta di Jongbloed. Il risultato rimarrà quello. Germania Ovest campione del mondo e Olanda seconda.

Per segnare a Jan c’è voluto un certo Paul Breitner (detto “Il Maoista” per la sua fede politica) che segna su rigore e che, per inciso, nella sua carriera di rigori non ne sbaglierà mai. Il gol decisivo invece lo segna Gerd Muller, che proprio con quel gol diventerà il giocatore che ha segnato più gol nel corso dei campionati mondiali. Troppo per un tabaccaio. Pesci troppo grossi per un pescatore solo.

Jan torna in Olanda e si accorge che il calcio può diventare un mestiere. Continua a giocare, cambia un sacco di squadre, diventa professionista e cresce il suo ingaggio. Ogni tanto gioca in nazionale, ogni tanto no. Partecipa alla sfortunata spedizione Jugoslava degli Europei del 1976 e poi nel 1978 arriva ai mondiali in Argentina.

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Di nuovo protagonista in Argentina

Questa volta Muller non c’è, si è ritirato. Questa volta Breitner non c’è, perché in Argentina c’è la dittatura militare del generale Videla e allora Breitner non vuole averci niente a che fare. Per lo stesso motivo (anche se si dice per soldi o per liti intestine) non c’è nemmeno Johann Cruijff. L’Olanda non è più quella squadra spumeggiante di quattro anni prima. Gioca malino, batte l’Iran ma non ci vuole niente, e poi due gol sono su rigore. Pareggia contro il Perù. Passa per differenza reti e per il rotto della cuffia dopo una sconfitta contro la Scozia per 3 a 2, e Jan non è esente da colpe. Tanto che in porta va Schrjivers, che è meglio, lo dicon tutti. Ma cosa ci fa un tabaccaio di 38 anni in porta?

Nel gironcino di semifinale gli Orange cambiano passo e Jan guarda dalla panchina i propri compagni massacrare l’Austria (5-1), tener testa ai campioni del mondo in carica della Germania Ovest (2-2), e per arrivare alla finalissima manca soltanto una partita. Basterebbe anche un pareggio contro la sorpresa del torneo, l’Italia di Enzo Bearzot.

Dopo venti minuti però, l’Italia va in vantaggio. Un autogol, perché la storia procede per cicli. Questa volta è un certo Brandts che, per anticipare Bettega, butta la palla nella propria porta. Ma non solo. Rovina sul proprio portiere Schrjivers e gli spacca letteralmente la faccia. Schrijvers è sanguinante e infortunato e non può continuare. Jan sa che la storia raramente offre una seconda opportunità, ma non fa una piega. Si scalda e torna in campo. L’Olanda nel secondo tempo pareggia. Con Brandts, perché una seconda opportunità era nell’aria. Poi, mentre l’Italia cerca la vittoria che le servirebbe, colpisce con un tiro da 40 metri di Arie Haan. 2-1. Finisce così e si va alla finalissima.

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Jongbloed in uscita su Luque nella sfortunata finale di Buenos Aires

Jan è di nuovo il titolare, in una finale del Campionato del Mondo di calcio. È un mondiale strano, l’Argentina ha palesemente violato il regolamento per andare in finale. Gli argentini vogliono una vittoria, devono averla. Il paese deve essere distratto da quello che succede. Panem et Circences, da sempre i tiranni fanno così.

Un gol di Kempes porta in vantaggio l’Argentina. Sembra fatta, ma a 9 minuti dalla fine il neo entrato Nanninga, con un gol di testa, pareggia. Nel recupero Rob Rensenbrink si trova sul piede la palla della vittoria. Il pallone supera Fillol, il portiere argentino, ma va sul palo. Nei supplementari l’Argentina dilaga. Ancora Kempes e poi Bertoni. 3-1. L’avventura con la nazionale è definitivamente conclusa. Si torna a casa. Jongbloed è di nuovo secondo.

La sua carriera è ben lungi dall’essere chiusa. Batte il record di presenze nella massima serie olandese, ma quando sta per toccare i 45 anni viene fermato dalla sfortuna: nel settembre del 1985, durante un allenamento con la sua squadra, il Go Ahead Eagles, il “portiere volante” viene colpito da infarto. Supera la crisi, ma deve smettere di giocare. La sfortuna aveva già colpito il portierone olandese: un anno prima, nel 1984, suo figlio ventenne, calciatore lui pure, era stato ucciso da un fulmine durante una partita.

Non è stato un grandissimo portiere, d’accordo, ma a modo suo Jan Jongbloed, tabaccaio part-time, comunista, amante della birra, delle sigarette e del gentil sesso, portiere che parava a mani nude perché i guanti, a suo dire, non gli permettevano di bloccare bene la palla e che finì per disputare, quasi per caso, due finali mondiali, ha segnato un’epoca e sarà sempre ricordato da tutti gli amanti del calcio con quella maglia giallo numero 8 invece che con il classico numero 1, a sottolineare l’intercambiabilità e la volontà di svincolarsi dai ruoli classici.

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