Le pepite nella miniera del calcio argentino

Tra gli anni 30 e 40, il calcio argentino fu dominato da grandissimi “futbolistas“, poco conosciuti però nel resto del mondo: impariamo a riscoprirli


Ernesto Lazzatti

Nato nel 1915, ebbe l’onore della primogenitura del soprannome “el pibe de oro ”, poi toccato a Diego Maradona. Giocatore di straordinaria qualità, gran distributore di gioco, nacque calcisticamente nel Bahia Bianca, per poi passare giovanissimo al Boca Juniors, di cui fu uno degli idoli, giocandovi dal 1934 al 1947 e vincendo il titolo nazionale nel 1934, 1935, 1940, 1943, 1944, per un totale di 351 partite e 6 reti. Quando lasciò il club gialloblù, attraversò il Rio de la Plata per chiudere la carriera nel Danubio di Montevideo. Morì il 30 dicembre 1988, vittima del morbo di Alzheimer.


Antonio Sastre

E’ stato un precursore del calcio moderno e viene ricordato come il più completo campione della storia del calcio argentino. Giocò in pratica in tutti i ruoli: diede il meglio come interno sinistro nel celebre trio de la Mata-Erico-Sastre dell’lndependiente, ma era ottimo come mediano, ala e centravanti, per la infaticabile vocazione a correre in aiuto al compagno in difficoltà e l’abilità tanto nel gioco di chiusura quanto in quello di rilancio e in attacco. Era uno specialista del tackle, ma sapeva rifinire e dribblare senza difficoltà. E quando, contro Penarol e San Lorenzo, si fece male il portiere Fernando Bello, non essendo previste le sostituzioni, fu lui a improvvisarsi estremo difensore, inanellando prodezze che conservarono inviolata la rete dei “diablos rojos”. Sastre era nato il 27 aprile 1911 a Lomas de Zamora, nella provincia di Buenos Aires e crebbe nel Progressista, squadra del barrio La Mosca di Avellaneda. Da lì passò all’Independiente all’alba dell’era professionistica ed esordì in “Primera” nel 1931 come mezzala destra. Vinse i titoli del 1938 e 1939, divenne una colonna della Nazionale (34 partite, 6 reti), poi nel 1943 venne ingaggiato dal San Paolo ed emigrò in Brasile, per nuove stagioni di gloria: in quattro stagioni vinse tre titoli nazionali e venne talmente amato dalla folla, che quando annunciò il suo ritiro per fare ritorno ad Avellaneda, il presidente del San Paolo così espresse il suo rammarico: «Se un giorno un giocatore di calcio sarà proposto per il premio Nobel, tutto il Brasile voterà per Antonio Sastre». Nel 1947 Sastre ricevette un’offerta dal River Plate, ma lui preferì accettare quella del Gimnasia y Esgrima di La Plata, in Serie B: riportò la squadra subito in “Primera ” e poi diede addio al calcio. Ancora oggi allo stadio Morumbi di San Paolo c’è una statua col suo nome, cui è intitolato anche un settore dello stadio dell’lndependiente. Sastre morì il 23 novembre 1987 a causa di un ‘emorragia cerebrale.


Juan José Ferraro

Nato a Buenos Aires il 5 settembre 1923, è stato un grande centravanti, cresciuto nelle giovanili del Velez Sarsfield, di cui diventò una bandiera, esordendo in prima squadra nel 1944 e giocandovi fino al 1948, quando si trasferì al Boca Juniors. Giocò in Nazionale nonostante la concorrenza di assi come Pedernera, Pontoni, Bravo, Infante e Sarlanga, e vinse il Sudamericano in Cile nel 1945. Tornò al Velez nel 1953 per disaccordi con le altre stelle del Boca e giocò fino al 1958. Emigrò infine in Colombia, all’lndependiente Santa Fe di Bogotà, dove chiuse la carriera dì giocatore e avviò quella di allenatore. È morto nel 1973.


Alberto Maximo Zozaya

E’ stato uno dei più prolifici cannonieri del calcio argentino, come testimoniano le cifre della sua carriera. Nato il 13 aprile 1908, giocò nell’Estudiantes La Plata dal 1929 al 1939, segnando 144 reti in 181 partite in una celebre linea attaccante con Scopelli (che giocò anche nella Roma); passò poi al Racing, dove tuttavia collezionò appena due presenze nel 1940, a causa di una lesione ai legamenti. Provò a ricominciare, nel Racing e nel Bella Vista Montevideo, ma dovette lasciare. Giocò solo 9 partite in Nazionale (ma con ben 8 reti) e poi fu allenatore di vaglia (in Europa guidò anche il Benfica). È morto il 17 febbraio 1981.


René Alejandro Pontoni

Nato il 18 maggio 1920 a Santa Fe, è stato uno dei grandissimi del calcio argentino, nel gruppetto che comprende i Pedernera, i Moreno, i Mendez. Centravanti di manovra per le squisite doti tecniche, ma anche di grande vena realizzativa, tra gli artisti più spettacolari della storia, cominciò nelle giovanili del Gimnasia y Esgrima, poi passò in quelle del Rosario Central, infine al Newell’s Old Boys, con cui debutto in campionato il 30 marzo 1941. Raggiunse anche la Nazionale, con cui vinse il Sudamericano nel 1945 e nel 1947 e totalizzò l’eloquente bilancio di 19 presenze e 19 gol. Nel 1944, dopo 110 partite e 67 gol, venne ingaggiato per una somma favolosa (40mila pesos più le cessioni di Mario Fernandez e Arnaldo) dal San Lorenzo, con cui formò il celebre terzetto offensivo con Farro e il futuro juventino Martino e si fece ammirare, dopo il trionfale titolo vinto nel 1946, in una fortunata tournée europea. Purtroppo, la sfortuna era in agguato: nel 1948, in un rovente match di campionato contro il Boca Juniors alla Bombonera, il diffusore De Zorzi entrò a tenaglia, agganciandogli la gamba destra e facendolo cadere innaturalmente al suolo. Incredibilmente, Pontoni giocò tutti i restanti 80 minuti, ma il giorno dopo l’infiammazione del ginocchio era tale che il medico non potè ingessarlo. L’articolazione era rotta, occorsero due anni di inattività per rimetterla in sesto e nulla fu più come prima. Pontoni emigrò in Colombia, all’lndependiente Santa Fe di Bogota, dove riprese a giocare e, dopo un fugace passaggio per il Brasile, tornò al San Lorenzo per due sole partite, prima di ritirarsi dal calcio argentino e tornare in Colombia. Coi rossoblù vantava 98 partite e 66 gol. In Colombia, da veterano, fece in tempo a vincere tre titoli nazionali, 1954, 1955 e 1957, prima di lasciare il calcio e diventare allenatore di successo. E morto il 14 maggio 1983, per un attacco cardiaco.


José Salomon

Terzino destro di lunga milizia in Nazionale (44 partite tra il 1940 e il 1946, era una colonna, oltre che il capitano, della rappresentativa), è stato uno dei migliori difensori del calcio argentino. Nato nel 1916, esordì in “Primera Division” nel 1934 con la squadra nata dalla fusione tra il Talleres de Remedios de Escalada e il Lanus (3 partite), poi giocò con lo stesso Talleres fino al 1938, per complessive 93 partite. Era un difensore fisicamente forte, insuperabile palla a terra, duro ma non cattivo. Il vento della fortuna girò a suo favore quando il Racing di Avellaneda acquistò il terzino sinistro del Talleres, ricevendone per… soprannumero anche Salomon, che si rivelò in breve il vero affare, conquistando il posto da titolare e la Nazionale. Era un giocatore dallo straordinario rendimento, ma nel 1946 un terrificante tackle del brasiliano Chico, durante una partita della Nazionale, gli procurò la frattura di tibia e perone, in pratica troncandogli la carriera. Tentò di riprendere nel Liverpool di Montevideo, ma dovette lasciare. È morto il 22 gennaio 1990 a causa di una grave malattia cardiaca.


Néstor Rossi

Difficile non dilungarsi anche su Néstor Rossi, detto “Pipo”, leggendario regista del River Plate, anche lui nella ristretta cerchia dei grandissimi del calcio rio-platense. Nato il 10-5-1925 a Buenos Aires, divenne un favoloso “centro medio”, ruolo che in pratica rivoluzionò, ergendosi, grazie anche all’alta statura e alla voce tonante con cui guidava i compagni in campo, a leader del gioco. Era lento e pesante, ma di squisita tecnica, capace di lanci al millimetro anche a lunga gittata e con un radar nel cervello che gli consentiva di percepire prima degli altri gli sviluppi dell’azione. Crebbe nelle giovanili del River Plate e, dopo un passaggio al Platense, tornò alla casa madre, con cui esordì nel massimo campionato il 24 giugno 1945, entrando nella leggenda della “Maquina”. Vinse il titolo nel 1945 e nel 1947, poi emigrò come altri grandi nel Millonarios di Bogotà in corrispondenza con lo sciopero del calcio professionistico argentino. Vinti i titoli colombiani 1949, 1950 e 1951, tornò al River dove fu il fulcro dei tre consecutivi titoli dal 1955 al 1957. Era all’apice della carriera: nel 1957 ebbe il soprannome di “Patron de America” alla guida dell’Argentina degli angeli dalla faccia sporca che vinse il Sudamericano. Ma era anche il canto del cigno. L’anno dopo naufragò ai Mondiali, dove la sua lentezza apparve superata dal nuovo calcio, più rapido, che andava affermandosi. Chiuse la carriera nell’Huracan avendo totalizzato 155 partite e 7 reti col River e 54 presenze e un gol con l’ultimo club. In Nazionale aveva vinto anche il Sudamericano del 1947 e totalizzato 26 gettoni. Divenne poi tecnico di successo, non solo in patria.