BIERHOFF Oliver: la favola del brutto anatroccolo

Oliver Bierhoff (1 Maggio, 1968 a Karlsruhe, Germania) ha calcato con successo i campi del calcio italiano. Un ariete di quelli veri, un perno offensivo difficile da scardinare, sempre presente al centro dell’area, pronto a colpire a “gravità zero”. Fortissimo di testa e dotato anche fisicamente ha fatto sempre passare in secondo piano la sua tecnica non propriamente eccelsa segnando gol pesanti per le squadre in cui ha giocato.

Oliver ha appena 5 anni quando comincia a tirare calci a un pallone ad Essen, regione del Niederrhein, in quella che resterà la sua squadra per dodici stagioni. “Ne ricordo una in particolare: avevo 14 anni, c’era un allenatore, un centro Brundermann, maniaco della tattica. Ci faceva fare il fuorigioco organizzato, creavamo scompiglio e sorprese in tutte le squadre avversarie non preparate a prendere le contromisure. In quella stagione vinciamo il campionato regionale, ricordo che facevamo allenamento ogni giorno anche durante le vacanze scolastiche”.

Nell’estate del 1985 Bierhoff viene acquistato dal Bayer Uerdingen. Una sola stagione nel settore giovanile e poi approda in prima squadra. Il bilancio del primo anno tra i professionisti non e’ malvagio: 19 presenze e 3 gol in campionato, 4 gettoni e 2 reti in coppa Uefa. Il primo anno tra i grandi e’ bello, emozionante ma anche faticoso: “Frequentavo l’ultimo anno di superiori e gli ultimi mesi di scuola coincisero con i primi del servizio militare. Per qualche tempo feci la spola tra istituto, caserma e campo d’allenamento”.

Alla fine di quella stagione ha la soddisfazione di disputare i mondiali militari in Italia ad Arezzo. Segnoa 4 gol Oliver, non sufficienti pero’ alla Germania per conquistare il titolo. “Perdemmo in finale 2-0 proprio contro gli azzurri, e sapete chi mi marcava? Ferrara”. I primi mesi della seconda stagione a Uerdingen gli sono sufficienti per capire che è il momento di cambiare aria. Non va d’accordo con l’allenatore e a fine campionato viene ceduto all’Amburgo per 750 milioni. La nuova squadra non naviga in buone acque: l’Amburgo dopo sette gare racimola appena un punto e nella trasferta di Colonia il tecnico Reimann si gioca la panchina: “Segnai una doppietta che ci permise di rimontare lo svantaggio iniziale. Quella era un’ottima squadra: Kaltz, Jackobs, Bein”. In tutto gioca 24 partite e segna 6 gol.

La stagione successiva la divide tra Amburgo e Borussia Moenchengladbach: “Il secondo periodo e’ stato la parentesi piu’ brutta della mia carriera: i titolari erano Belanov e Krinz, mi lasciai andare, non trovai la forza di reagire”. La Bundesliga dunque, non l’ha mai visto primo attore: “Forse io non ero ancora pronto per fare il titolare, pero’ e’ anche vero che non ho mai trovato un allenatore disposto a darmi fiducia, a lavorare su di me”. A quel punto le alternative sono due: o la serie B tedesca o la A austriaca. A Salisburgo lo vuole un tecnico tedesco, Wiebach. “Sotto l’aspetto morale e’ stato l’anno piu’ bello di tutti”. Prima di campionato, Oliver ne segna quattro e diventa subito l’idolo dei tifosi. Il consuntivo del primo anno austriaco è esaltante: segna 23 gol, un bel biglietto da visita per presentarsi in Italia.

Il suo cartellino lo compra l’Inter del presidente Pellegrini che lo gira in prestito all’Ascoli. La prima Italia di Oliver Bierhoff e’ quindi nelle Marche, ed e’ un’Italia sofferta. L’impatto con la nuova realta’ e’ brusco. Oliver esordisce contro il Milan, perde 1-0, il gol – partita lo realizza un certo Marco Van Basten. Nelle prime nove partite nessuna rete ed una serie di bocciature nelle pagelle dei quotidiani. Certi suoi limiti tecnici mai evidenziati prima saltano allocchio della nostra serie A. Così ricorda Massimo Cacciatori, che allepoca allenava i portieri di quell’ Ascoli. “Spesso, a fine allenamento, Oliver si fermava con noi per tirare in porta. Aveva problemi di coordinazione, non era sciolto di bacino, aveva difficolta’ a fare certi gesti tecnici, non usava il sinistro e calciava quasi solo di piatto. Saltava male, battendo a terra con tutti e due i piedi”.

Ma è tutto l’Ascoli una squadra destinata a soffrire, De Sisti ci lavora sopra ma con scarsi risultati. Oltre alla squadra che non ingrana a Bierhoff complica la vita un infortunio muscolare: gli adduttori fanno i capricci, Oliver comincia a saltare qualche partita e la gente mugugna. Incominciano a dargli del codardo, la difesa di Rozzi, uno dei pochi ad Ascoli ad aver sempre creduto in lui, non e’ sufficiente ad evitargli episodi spiacevoli. A novembre l’Ascoli sembra deciso a scaricarlo. Disse che lui non voleva andarsene. “Quando arrivavo al campo di allenamento i tifosi mi fischiavano dal primo all’ultimo minuto, ho pensato davvero che fosse finita. In quel momento fu importante la vicinanza dei compagni, di Marcato e Benetti in particolare”.

Mentre all’Ascoli lo invitano ad andarsene, in bianconero arriva un ragazzotto di diciannove anni, Pippo Maniero. Quell’anno Oliver segna la miseria di due gol, Pippo quattro. Alla fine, pero’, e’ lui ad essere riconfermato. Riparte dalla B e i due anni successivi sono d’oro: 20 gol la prima stagione, 17 quella successiva. Nessuno lo discute piu’, Bierhoff e’ ormai il trascinatore, l’uomo simbolo dell’Ascoli al quale pero’ non sono sufficienti le sue montagne di gol per conquistare la serie A. Nel frattempo il contratto da tre è stato portato a quattro anni. Trentasette gol in due stagioni, questo è il momento giusto per andarsene. Bierhoff resta e la stagione successiva precipita in C con l’Ascoli. Segna solamente nove gol e attorno a lui ricomincia a soffiare aria di contestazione.

Tuttavia Bierhoff ha ancora mercato: Luciano Gaucci promette di portarlo a Perugia in caso di promozione. I grifoni non riescono nell’impresa e nella trattativa si inserisce l’Udinese di Pozzo che batte anche la concorrenza del Vicenza di Dalle Carbonare. Itifosi udinesi, vedendolo all’opera, si preoccupano non poco e corrono a dire a Pozzo: “E questo sarebbe il centravanti con il quale affrontare il prossimo campionato di serie A?”. “Si”, è la serafica risposta del presidente.

A Udine Bierhoff si presenta al raduno in punta di piedi, quel giorno l’uomo della copertina è il nuovo allenatore Zaccheroni. Oliver, giacca a quadretti bianchi e neri, con buon pragmatismo teutonico non lancia proclami: “Sono qui per fare bene, ma non chiedetemi quanti gol segnero”. Parte forte la prima domenica contro il Cagliari di un Trapattoni fresco di ritorno dalla Germania: si’, lo sgambetta proprio lui, unico tedesco allora del nostro campionato. Chiude la stagione a quota 17 gol ed è convocato per la prima volta nella Nazionale tedesca, con cui esordisce il 21 febbraio 1996 contro il Portogallo. Tutti sono convinti che Pozzo, il quale aveva sborsato appena 2,2 miliardi per averlo, lo vendera’. Questa convinzione si rafforza quando la sera del 30 giugno 1996 Oliver entra negli ultimi 25 minuti della finale dell’Europeo e con una doppietta regala alla Germania il titolo continentale.

La sua quotazione sale alle stelle, ma un po’ perché la societa’ vorrebbe trattenerlo, un po’ perche’ gli offerenti non sono convintissimi, non se ne fa nulla. Il 17 luglio Bierhoff interrompe le vacanze in Sardegna e piomba a Udine per annunciare a Pozzo il prolungamento del contratto fino al 2000. “So che molti non ci hanno creduto in quella occasione, pensavano fosse solo un modo per incantare la gente, invece non era cosi”. La stagione 1996/97 registra una flessione nelle reti realizzate, 13 su 23 partite, ma regala all’Udinese la sua prima splendida qualificazione in Coppa UEFA. Oliver rientra nello splendido tridente del 3-4-3 di Zaccheroni assieme a Poggi e al brasiliano Amoroso.

La stagione seguente è quella del definitivo trionfo: i friulani ottengono un clamoroso terzo posto dietro Juventus e Inter, mentre Bierhoff sarà capocannoniere con 27 gol: era dal 1960-61 che un giocatore di Serie A non segnava tanto. Bierhoff segna più gol anche del fenomeno Ronaldo pur fallendo un rigore all’ultima giornata, quando ancora era aperta la lotta per il titolo di capo-cannoniere. I successivi Mondiali del 1998 in Francia vedono Bierhoff realizzare tre reti in cinque partite senza riuscire ad evitare che la Germania venga travolta dalla rivelazione Croazia nei quarti di finale.

L’impresa dell’Udinese cattura gli attenti occhi del Milan che, dopo un lungo flirt iniziato già prima del termine del campionato, annuncia il connubio con il Mister Alberto Zaccheroni, il quale porta con se dal Friuli il bomber tedesco ed il mastino danese Helveg per proseguire in rossonero il suo progetto basato sul gioco d’attacco che si sviluppa sulle fasce. E’ il vero botto del calciomercato rossonero teso a volere rilanciare i diavoli dopo due stagioni fallimentare.

Sembrerebbe un anno intrappolato nella transizione ma il genio di Weah, il ritorno al gol con regolarità di Leonardo e soprattutto i cross dell’insospettabile Guly (rivelatosi un laterale lento ma preciso), restituiscono vigore ad un attacco in affanno da quasi un biennio. Bierhoff inizia a timbrare fin da subito con grande regolarità. L’attacco del Milan è davvero assortito e sopperisce alle mancanze di una difesa a tre parecchie volte in difficoltà. Con fortuna ma anche grandi meriti, il Milan rimonta sette punti alla Lazio nel finale e vince uno degli scudetto più rocamboleschi della sua storia calcistica.

In estate i rossoneri tornano ad investire e dall’Ucraina arriva anche il giovane bomber Shevchenko che mette subito sotto pressione Bierhoff. Il tedesco segna soltanto undici reti ma l’equilibrio regge grazie alla grande prolificità di Sheva. Nel 2000/2001, ultima stagione a Milano per Oliver (ormai trentatreenne), le reti e le presenze calano. Si punta sulla coppia Shevchenko-Josè Mari e per l’eroe del 16° scudetto, dopo l’esonero subito da Zaccheroni, si prospetta un futuro lontano da Milanello.

Per lui, una parentesi al Monaco (18 presenze, 4 reti e parecchie incomprensioni con il mister Deschamps) per poi tornare in Italia e terminare la carriera nel Chievo Verona (26 presenze e 7 gol uno dei quali proprio ai rossoneri al Bentegodi) dove resterà memorabile una tripletta segnata alla Juventus. In mezzo alle due esperienze c’è la significativa parentesi in Corea e Giappone per il mondiale 2002. La Germania viene sconfitta in finale dal Brasile. Bierhoff entra nel match a giochi praticamente fatti ma stavolta il miracolo dell’europeo inglese non si ripete. Una medaglia d’argento che lascia rammarico ma resta un piazzamento di tutto rispetto.