L’estate infuocata di Salvatore Bagni

Estate 1988: il guerriero Bagni, stella in declino del Napoli, dice no a mezza Serie A. Tra visite mediche, telegrammi e colpi di scena, il suo orgoglio lo porterà sorprendentemente in Serie B, all’Avellino.

Il Napoli della primavera 1988 era una squadra in crisi. Lo scudetto, conquistato l’anno prima tra il tripudio generale, stava scivolando via come acqua tra le dita. Al San Paolo, i tifosi esponevano striscioni che gridavano “Credeteci ancora“, ma sembravano più preghiere che incitamenti. In mezzo a questa tempesta, Salvatore Bagni combatteva la sua personale battaglia contro un nemico invisibile ma implacabile: il suo stesso corpo.

La “tibia vara”, una malformazione congenita che faceva deviare l’asse della gamba destra verso l’interno, lo tormentava da mesi. Per un intero anno, aveva mascherato il dolore con infiltrazioni di antidolorifici prima di ogni partita. Una gamba più corta dell’altra di due centimetri, un ginocchio che scricchiolava ad ogni contrasto: il guerriero stava pagando il prezzo di troppe battaglie. Quella grinta che lo aveva reso celebre, quella capacità di trasformare ogni partita in una guerra personale, ora doveva fare i conti con un corpo che non rispondeva più come prima.

La Ribellione del Condottiero

Tutto precipitò durante un infuocato incontro a Firenze. Il Milan aveva appena espugnato il San Paolo, e i giocatori furono convocati uno ad uno dal presidente Ferlaino. Il rapporto con l’allenatore Bianchi era ormai logoro, e Bagni, che aveva saputo della volontà della società di cederlo, non si trattenne. Le sue parole, pesanti come macigni, furono la scintilla che accese la miccia.

La reazione della società fu immediata e spietata. Luciano Moggi, general manager del club, inventò la “banda dei quattro”: Bagni, Garella, Ferrario e Giordano furono indicati come i capi della rivolta contro l’allenatore. L’esclusione dalla prima squadra fu immediata. I tifosi si divisero: chi difendeva questi eroi dello scudetto, chi li accusava di aver tradito la causa. Volarono parole grosse, qualche ceffone. Per Bagni, che aveva fatto del Napoli la sua seconda casa, fu un colpo durissimo. Venne messo sul mercato, ma invece di chinare la testa, scelse di combattere.

L’Odissea del Mercato

Per il ragazzo di Correggio, l’estate del 1988 si trasformò in una telenovela infinita, un susseguirsi di trattative, colpi di scena e dichiarazioni al vetriolo che tennero banco sulle prime pagine dei giornali sportivi. Il primo a farsi avanti fu l’Ascoli: Castagner, l’allenatore che aveva lanciato Bagni nel grande calcio ai tempi del Perugia, lo voleva fortemente. Sembrava una soluzione perfetta: una piazza tranquilla, un tecnico che lo conosceva bene, una squadra che lo avrebbe accolto a braccia aperte.

Ma il guerriero aveva altri piani. “Mi dispiace, ma non se ne fa niente“, tuonò Bagni con la sua solita schiettezza. “Contro l’Ascoli non ho nulla, Castagner mi ha lanciato nel Perugia, sono molto legato a lui. La squadra è simpatica, la città mi piace, ma non posso accettare“. La motivazione? Una scusa che sarebbe diventata celebre nel mondo del calcio: “Ho numerosi affari da curare in Romagna“. Quindi solo Bologna o Cesena potevano essere la sua destinazione.

Mentre tutti parlavano del suo ginocchio malandato e della necessità di un intervento chirurgico, Bagni controbatteva con la grinta che lo aveva sempre contraddistinto: “Ho consultato l’ultimo specialista. Mi ha detto che non serve operarsi, ci vorrebbero un anno e mezzo per recuperare. Che me ne faccio di un ginocchio diritto se poi non posso tornare subito in campo? Farò un po’ di piscina, altre cose. La situazione non può peggiorare“.

E poi l’affondo, degno del guerriero che era sempre stato: “Per l’anno prossimo, è giusto che il Napoli si cauteli: ma chi arriva, chiunque sia, sappia che dovrà passare sul mio corpo per prendersi il posto. Non sarà facile, neanche se arrivasse un altro… Bagni“. 

Era il suo modo di resistere, di non arrendersi all’idea che il tempo delle grandi sfide fosse finito. Ma il Napoli aveva già preso la sua decisione: al suo posto sarebbe arrivato Luca Fusi, taciturno soldatino di ferro della Sampdoria.

L’esclusione dalla Nazionale per gli Europei 1988 fu un altro colpo durissimo. Si sussurrava che, più del ginocchio ballerino, a pesare fosse stato il suo fanatismo agonistico, quel furore che gli aveva regalato tante vittorie ma anche più di un infortunio disciplinare. I “gestacci” al pubblico dell’Olimpico e di San Siro nell’ultima stagione pesavano come macigni, in contrasto con le nuove regole comportamentali imposte dal presidente Matarrese.

Ogni rifiuto era accompagnato da dichiarazioni al vetriolo, ogni nuova trattativa diventava un’occasione per riaffermare la sua voglia di lottare. “Mi ha sorpreso che il Napoli abbia deciso di cedermi“, dichiarava con una punta di amarezza. “Vorrei capire: evidentemente c’è qualcuno che non mi vuole. Rimanere a Napoli non mi sembra una richiesta assurda: ho un contratto fino al ’90 col Napoli e ne chiedo il rispetto“.

E poi la stoccata finale, quella che meglio di tutte rappresentava il personaggio: “Quanto a ritirarmi, ci penserò magari tra… dieci campionati, visto che in giro non ci sono poi tanti campioni“. Era il Bagni che tutti conoscevano: orgoglioso, combattivo, mai domo. Un guerriero che, anche nel momento più difficile della sua carriera, non aveva perso la voglia di lottare.

La Danza delle Trattative

Il 18 luglio 1988, mentre il Napoli si radunava tra le montagne di Madonna di Campiglio, Salvatore Bagni ricevette solo un freddo telegramma che lo convocava a Napoli per le visite mediche. Era una mossa studiata: tenere il guerriero lontano dalla squadra e, al contempo, preparare il terreno per una possibile ricusazione medica, vista la sua ostinazione a non operarsi al ginocchio.

Ma il Bagni non era tipo da subire passivamente. La sua risposta fu immediata e clamorosa: un telegramma alla Lega Calcio per denunciare l’insolito comportamento della società. Non contento, si sottopose a un estenuante tour de force di visite e controvisite mediche, determinato a dimostrare la sua integrità fisica.

Il 31 luglio 1988, ecco il colpo di teatro: Bagni si presentò a sorpresa nel ritiro di Lodrone. “Sono qui per allenarmi e non disturbare nessuno“, disse con un’ironia tagliente che era il suo marchio di fabbrica. Moggi dovette prenderlo da parte e convincerlo a ripartire in serata per Cesenatico, prospettandogli un imminente trasferimento al Bologna.

La trattativa con i rossoblù si protrasse per settimane. Il Bologna premeva, ma aveva le casse vuote: poteva offrire solo un anno di “parcheggio” gratuito in attesa che la situazione nel Golfo si decantasse. Il 30 agosto sembrò il giorno decisivo: la società rossoblù annunciò trionfalmente l’accordo col Napoli. Bagni si precipitò a Bologna, posò con la nuova maglia, si allenò con la squadra, giocò persino un’amichevole contro il Bellinzona.

Ma la lingua del guerriero continuava a essere affilata come una spada: “Sono sicuro che faremo bene, ho visto la squadra un paio di volte, l’ho… sperimentata e mi sono convinto: ci toglieremo molte soddisfazioni. Sono quattro mesi che il mio ginocchio non sente dolori. Ho una gran voglia di giocare e di vincere“. Dichiarazioni che, unite alla riluttanza del Bologna a mettere mano al portafoglio, fecero naufragare anche questa trattativa.

Il 25 settembre, Bagni sembrava destinato a un malinconico finale di carriera sul divano di casa, col ginocchio che gemeva tra il corridoio e il salotto. Ma il 4 ottobre esplose una nuova bomba di mercato: l’Udinese di Pozzo annunciò l’acquisto di Bagni e Giordano. I termini dell’accordo erano chiari: prestito per un anno con diritto di riscatto, 650 milioni di ingaggio pagati dal Napoli, 150 milioni di prestito all’Udinese, più 50 milioni netti di bonus al giocatore.

Sono abituato a lottare per vincere. Se gli altri non lottano io litigo“, tuonò Bagni al telefono con il presidente Pozzo. L’esordio era fissato per il 6 novembre contro il Padova al “Friuli”. I tifosi friulani erano in festa, Sonetti già pregustava il colpaccio, ma… il giorno dopo arrivò l’ennesimo colpo di scena. Al posto di Bagni, arrivò una telefonata: “Onoratissimo dell’offerta, ma non accetto“.

La motivazione? Sempre la stessa: “Il Napoli sapeva benissimo che avrei accettato di trasferirmi soltanto al Bologna o al Cesena, per questioni di famiglia“. Era l’ennesimo capitolo di una telenovela che sembrava non avere fine. Ma il meglio doveva ancora venire: mentre tutti pensavano che la storia fosse finita, all’orizzonte si profilava l’ultima, incredibile svolta di questa danza infinita.

Sì, perché il Torino era pronto a giocarsi la sua carta sul tavolo verde del mercato. All’Hotel Hilton di Milano, le strette di mano tra Federico Bonetto, Salvatore Bagni e Luciano Moggi sembravano aver messo la parola fine a questa incredibile odissea.

L’Approdo in Irpinia

Ma quando le strette di mano all’Hotel Hilton di Milano sembravano aver suggellato il passaggio al Torino, ci fu un ultimo, clamoroso colpo di scena. L’Avellino, squadra di Serie B, si inserì nella trattativa con un tempismo perfetto. Una mossa che sembrava andare contro ogni logica: proprio lui, Bagni, che per mesi aveva rifiutato destinazioni ben più prestigiose in nome dei suoi “affari in Romagna”, accettava di scendere tra i cadetti in Irpinia.

Le malelingue si scatenarono. Si parlò di interventi dall’alto, sussurrando il nome del presidente del Consiglio De Mita, avellinese doc. Ma la verità era più semplice: il guerriero aveva trovato il suo campo di battaglia ideale.

Sul terreno del Partenio, Bagni ritrovò immediatamente la sua dimensione. I primi due impegni agonistici furono emblematici: nonostante il livello degli avversari fosse modesto (Licata e Padova), il guerriero sfoggiò tutto il suo celebre repertorio. Litigioso, provocatore, attaccabrighe, ma sempre pronto a dare l’anima per la maglia. Come un leone ferito che ritrova il suo orgoglio, Bagni tornò a ruggire.

Una metamorfosi che lui stesso descriveva con parole illuminanti: “Non sento un muscolo vibrare fino a pochi minuti prima della partita. Ma mentre salgo gli ultimi cinque gradini che portano al campo, mi trasformo e mi sento posseduto da una straordinaria voglia di lottare.” Era ancora lui, il guerriero indomabile che aveva fatto sognare i tifosi del Napoli, solo con una divisa diversa e qualche cicatrice in più sul corpo e nell’anima.

L’Ultimo Ruggito del Guerriero

Quella stagione in Irpinia segnò l’ultimo capitolo della carriera agonistica di Salvatore Bagni. Sotto la guida tecnica prima di Enzo Ferrari e poi di Eugenio Fascetti, il guerriero disputò 23 partite con la maglia biancoverde, contribuendo ad un onorevole settimo posto finale dell’Avellino in Serie B.

Fu un’ultima danza combattuta come sempre alla sua maniera: con il cuore oltre l’ostacolo, con quella grinta che lo aveva reso celebre, con quel modo tutto suo di trasformare ogni partita in una battaglia personale.