L’Inter di Trapattoni domina il campionato 1988-89, conquistando lo scudetto con quattro giornate d’anticipo. Flop della Roma di Liedholm. Il Toro cade in serie B assieme a Pescara, Como e Pisa.
Riassunto del Campionato
L’allargamento della Serie A e il via libera al terzo straniero accendono un mercato movimentato, con la Roma che punta sul giovane Rizzitelli del Cesena mentre il Napoli rafforza il centrocampo con Crippa, Fusi e Alemao, e l’Inter si assicura il terzetto Berti, Matthaus e Bianchi. Colpo a sorpresa della Juventus che porta in Italia il primo sovietico, Zavarov della Dinamo Kiev, affiancandogli Rui Barros, Galia, Marocchi e Altobelli, mentre il Milan completa il proprio terzetto straniero con l’olandese Rijkaard.
Il campionato parte in ritardo per le Olimpiadi di Seul, dove la nazionale è guidata da Francesco Rocca dopo il passaggio di Zoff alla Juventus, con il calendario che si allunga fino a metà giugno.
Contro ogni pronostico, l’Inter del Trap prende subito il comando e dopo undici giornate i nerazzurri hanno già tre punti di vantaggio sul Napoli di Maradona, conquistando il titolo d’inverno con una giornata d’anticipo. Una sconfitta a Firenze riapre momentaneamente i giochi, ma l’Inter infila otto vittorie consecutive che creano un solco incolmabile con le inseguitrici.
La vittoria nello scontro diretto alla trentesima giornata porta il vantaggio a nove punti sul Napoli e quattordici sul Milan, consegnando lo scudetto matematico con quattro turni d’anticipo e il campionato si chiude con l’Inter a +11 sugli azzurri e +12 sui rossoneri. In zona retrocessione, Como e Pisa cedono per primi, mentre all’ultima giornata retrocedono anche Pescara e, a sorpresa, il Torino, con la Fiorentina che supera la Roma allo spareggio per il settimo posto, ultima casella utile per la UEFA, grazie a un gol dell’ex Pruzzo.
Lo scudetto del Trap

La svolta dell’Inter campione d’Italia parte da una sconfitta. Il derby perso col Milan di Sacchi il 24 aprile ’88 convince Trapattoni e Pellegrini che serve una rivoluzione totale. Via le raffinatezze di Scifo e il logoro Altobelli, dentro la potenza teutonica di Brehme e Matthäus, più l’energia dirompente dei giovani Berti e Bianchi. Un investimento massiccio da oltre 20 miliardi di lire per rifondare la squadra dalle fondamenta.
Il colpo Madjer, “il tacco di Allah”, campione d’Europa col Porto, sfuma per problemi fisici mai del tutto chiariti. Al suo posto, tra lo scetticismo generale della critica, arriva Ramon Diaz dalla Fiorentina, dove era finito ai margini nonostante il talento cristallino. Una scommessa rischiosa in un momento delicato.
L’avvio è da brividi con l’eliminazione in Coppa Italia, ma è solo un’illusione per gli avversari. La squadra cerca il suo equilibrio e lo trova con la regia illuminata di Matteoli, l’ultimo tassello che mancava per far girare il motore a pieni giri.
Il muro difensivo diventa invalicabile con Zenga tra i pali, sempre più decisivo, la coppia collaudata Bergomi–Ferri, Mandorlini reinventato libero dopo il mancato arrivo di Cravero, e la sorpresa Brehme, trasformato nel miglior terzino sinistro del campionato. A centrocampo il genio di Matteoli si sposa alla perfezione con la potenza devastante di Matthäus e gli inserimenti micidiali di Berti, mentre Bianchi ara instancabile la fascia destra. In attacco, i guizzi imprevedibili di Diaz creano spazi per le conclusioni del possente Serena.
«Noi andiamo a velocità normale, loro troppo forte», ammette sconsolato Dossena della Sampdoria, riassumendo il sentimento generale degli avversari. I numeri danno ragione all’Inter e certificano un dominio assoluto: 58 punti, 26 vittorie e media inglese di +7, tutti record per un torneo a 18 squadre.
La macchina perfetta assemblata da Trapattoni conquista così il tredicesimo scudetto nerazzurro, riscrivendo ogni statistica esistente. Una cavalcata trionfale nata dalle ceneri di quel derby perso, quando tutto sembrava perduto.
Gli avversari: il Napoli

La squadra partenopea si rinnova puntando sulla potenza atletica. La campagna acquisti porta sotto il Vesuvio una batteria di mediani di sostanza: Crippa, Fusi e Alemao, oltre al portiere Giuliani (2,4 miliardi) e al difensore Corradini (2,1).
L’estate è movimentata dal braccio di ferro tra Maradona e Ferlaino, ma Moggi sistema tutto nel ritiro di Lodrone. Il tecnico trova la quadra inserendo Carnevale nel tridente con Diego e Careca, ma perde subito Alemao per un’epatite che lo terrà fuori quattro mesi.
L’undici tipo vede Giuliani tra i pali, Ferrara e Corradini marcatori con Francini terzino sinistro e Renica libero. A centrocampo il trio De Napoli–Fusi–Crippa fa da schermo, permettendo a Maradona di inventare gioco per Careca e Carnevale. Il Pibe, tra qualche eccesso verbale, mantiene un rendimento stellare. Il brasiliano, ormai integrato, abbina potenza fisica a dribbling e tiro letale.
Gli azzurri brillano in Coppa UEFA e tengono il passo dell’Inter fino al giro di boa. Ad aprile il ko interno con la Juve fa vacillare le certezze, mentre i nerazzurri scappano via. Il rientro di Alemao dà nuova linfa ma il distacco finale di 11 punti è pesante, con tanto di fischi a Maradona nella gara col Pisa.
La stagione si salva grazie al trionfo in Coppa UEFA, secondo trofeo internazionale dopo la Coppa delle Alpi del ’66. Un’annata di alti e bassi che regala comunque una storica gioia europea al popolo napoletano.
Il Top: Matthäus

Lothar Matthäus, pur non brillando per continuità come il connazionale Brehme nel suo primo anno italiano, incarna perfettamente l’Inter in salsa teutonica voluta da Trapattoni. Il suo fisico possente e persino la sonorità del suo nome riflettono l’essenza della nuova creatura nerazzurra.
Nato a Erlangen nel ’61, muove i primi passi nell’Herzogenaurach, club legato alla Puma dove lavorava il padre. Da centravanti dei pulcini a mezzala nel Borussia Mönchengladbach il passo è breve, grazie all’intuizione di Heynckes. A 19 anni è già in Nazionale agli Europei italiani.
La tappa al Bayern Monaco (1984-88) lo consacra: tre Bundesliga e una Coppa di Germania in bacheca. Arriva all’Inter dopo due infortuni ma in forma smagliante. Trapattoni lo vuole regista, ma il tedesco ha l’umiltà di mettersi al servizio di Matteoli, trasformandosi in un devastante incursore.
Nove gol e una leadership naturale ne fanno il cuore pulsante della squadra. Le sue progressioni sono l’arma letale del contropiede interista, mentre il suo agonismo trascina i compagni oltre ogni ostacolo.
La sua figura di “duro dal volto umano” diventa il marchio di fabbrica dell’Inter versione tedesca che domina il campionato. Un acquisto costoso ma azzeccato per dare nuova identità alla squadra.
Il flop di Renato

La società giallorossa punta in alto con una campagna acquisti faraonica. Arrivano Rizzitelli, giovane promessa italiana, e il brasiliano Renato per 2,8 miliardi, dopo il mancato colpo Caniggia. Liedholm si trova però a gestire un rebus tattico: far coesistere il tridente offensivo con Völler e la regia di Giannini, senza scoprirsi troppo.
I timori si materializzano subito: il trio viene bocciato nelle amichevoli estive e l’eliminazione in Coppa Italia contro Pisa e Ancona accende la contestazione. Arriva anche il brasiliano Andrade per dare equilibrio, ma il ko interno col Norimberga in Coppa UEFA complica ulteriormente il quadro.
Renato, sbarcato in elicottero a Trigoria, mostra lampi di classe nell’uno contro uno prima di perdersi tra infortuni e vita mondana romana. Rizzitelli stenta a imporsi, Andrade appare troppo compassato per i ritmi moderni.
La formazione tipo vede Tancredi in porta (dopo i tentativi con Peruzzi), linea difensiva Tempestilli–Oddi–Collovati–Nela, centrocampo con Desideri–Manfredonia–Giannini–Massaro e coppia d’attacco Renato–Völler.
A febbraio Viola esonera Liedholm per Spinosi, che ottiene una deroga federale di un mese. Il disastro porta al ritorno dello svedese, che evita almeno la retrocessione. L’ultima beffa arriva dallo spareggio UEFA perso contro l’ex Pruzzo in maglia viola. Una stagione nata con grandi ambizioni e finita nel peggiore dei modi.
Mistero Diego

L’estate ’88 porta i primi segnali di insofferenza del fuoriclasse argentino. Rientrato il 20 luglio dalle vacanze, Diego si rifugia in una clinica di Merano per rimettersi in forma. Da lì lancia strali contro Ferlaino per la conferma di Bianchi, contestato da tutta la squadra dopo il caso dei quattro epurati. Serve un intenso lavoro diplomatico per portarlo al ritiro di Lodrone. Il 31 luglio, dopo una multa di 10 milioni, stringe la mano a Bianchi ma è solo una tregua apparente.
La stagione è un susseguirsi di polemiche. A gennaio, tra dolori alla schiena e prestazioni comunque decisive, Maradona rilascia interviste esplosive a Sport Bild e Clarín, chiedendo velatamente la cessione. A maggio, alla vigilia della finale di Coppa UEFA, annuncia: «Torno al Boca, l’ho detto a Ferlaino». Anche nel momento del trionfo europeo, sussurra qualcosa al presidente, probabilmente un ultimo invito a mantener fede alla promessa di lasciarlo partire.
Dietro questa insofferenza si nasconde una causa di paternità intentata da Cristiana Sinagra, che si concluderà con il riconoscimento del figlio. Ma c’è anche un demone più oscuro: la dipendenza dalla cocaina, che minerà gli ultimi anni della sua carriera. Diego sente di non poter più reggere il peso delle aspettative di un popolo che lo venera come un dio.
Baggio rivelazione

Un investimento coraggioso quello della Fiorentina nel 1985: 2,8 miliardi per un diciottenne della C1 (Vicenza). Ma due giorni dopo l’acquisto, il 5 maggio contro il Rimini, il destino presenta il conto con un grave infortunio al ginocchio destro: crociato, capsula, menisco e collaterale ko.
Inizia un calvario di due anni tra operazioni, ricadute e dolori lancinanti. Il professor Bousquet lo opera a Saint Etienne, mentre il procuratore Caliendo arriva a pagare di tasca sua un intervento, tanto crede nel ragazzo. La svolta arriva con un programma di potenziamento muscolare studiato da Vittori e Locatelli, che gli ridà stabilità articolare.
La stagione ’88-89 segna la definitiva esplosione del suo talento cristallino. Tocco vellutato, dribbling ipnotico e tiro letale (non a caso idolatra Zico) ne fanno un gioiello raro. Capocannoniere in Coppa Italia con 9 reti, debutta in Nazionale contro l’Olanda a Roma, anche se Vicini lo usa con cautela, indeciso se schierarlo trequartista o punta.
I 16 gol in campionato certificano la nascita di un nuovo fuoriclasse del calcio italiano. La lunga attesa è finalmente ripagata.
Il capocannoniere: Serena

Otto trasferimenti in otto stagioni per il centravanti di Montebelluna, classe 1960. Un paradosso figlio delle sue caratteristiche tecniche contrastanti: stacco imperioso e colpo di testa devastante, ma piedi non proprio raffinati. Una dicotomia che lo ha reso a lungo un attaccante difficile da inquadrare.
La sua storia inizia precocemente: a 17 anni già titolare nel Montebelluna con 9 reti in Serie D, numeri che attirano l’attenzione dell’Inter. Ma il club nerazzurro lo manda a farsi le ossa: prima al Como (solo 2 reti) e poi al Bari in Serie B, dove segna 10 gol. Torna a Milano come vice Altobelli ma le sole due marcature stagionali lo spingono al Milan, ancora in cadetteria.
La promozione rossonera gli regala una nuova chance da titolare in coppia con Altobelli, ma l’arrivo di Rummenigge stravolge le gerarchie e lo porta al Torino. Nel 1985 il passaggio milionario alla Juventus lo rende il primo calciatore a vestire tutte le maglie di Milano e Torino. Due anni in bianconero con 21 gol, uno scudetto e una Coppa Intercontinentale nel palmares.
L’Inter ci riprova e sborsa 3,5 miliardi per riportarlo a casa, ricostituendo il tandem con Spillo. Ma la stagione ’87-88 è avara: solo 6 reti e tante critiche. Sembra il solito feeling complicato coi colori nerazzurri, poi Trapattoni rivoluziona tutto. Dopo il fallimento dell’operazione Madjer, lo affianca a Diaz creando una coppia perfetta: il piccoletto fantasioso e il corazziere possente.
A 28 anni Serena esplode definitivamente: 22 gol e titolo di capocannoniere in un campionato dominato dall’Inter. Le reti pesanti, i duelli aerei vinti, la capacità di far salire la squadra e la ritrovata confidenza anche coi piedi ne fanno l’attaccante completo che tutti attendevano. Il giusto premio per un professionista esemplare, capace di migliorarsi stagione dopo stagione, con qualsiasi maglia addosso.
Classifica Finale
Squadra | Pti | V | N | P | GF | GS |
---|---|---|---|---|---|---|
INTER | 58 | 26 | 6 | 2 | 67 | 19 |
NAPOLI | 47 | 18 | 11 | 5 | 57 | 28 |
MILAN | 46 | 16 | 14 | 4 | 61 | 25 |
JUVENTUS | 43 | 15 | 13 | 6 | 51 | 36 |
SAMPDORIA | 39 | 14 | 11 | 9 | 43 | 25 |
ATALANTA | 36 | 11 | 14 | 9 | 37 | 32 |
FIORENTINA | 34 | 12 | 10 | 12 | 44 | 43 |
ROMA | 34 | 11 | 12 | 11 | 33 | 40 |
LECCE | 31 | 8 | 15 | 11 | 25 | 35 |
LAZIO | 29 | 5 | 19 | 10 | 23 | 32 |
VERONA | 29 | 5 | 19 | 10 | 18 | 27 |
ASCOLI | 29 | 9 | 11 | 14 | 30 | 41 |
CESENA | 29 | 8 | 13 | 13 | 24 | 39 |
BOLOGNA | 29 | 8 | 13 | 13 | 26 | 43 |
TORINO | 27 | 8 | 11 | 15 | 37 | 49 |
PESCARA | 27 | 5 | 17 | 12 | 28 | 43 |
PISA | 23 | 6 | 11 | 17 | 17 | 39 |
COMO | 22 | 6 | 10 | 18 | 24 | 49 |
Vincitrice Coppa Italia: SAMPDORIA
Vincitrice Supercoppa Italiana: MILAN
Retrocesse in serie B: TORINO, PESCARA, PISA e COMO
Qualificate in Coppa dei Campioni: INTER e MILAN
Qualificate in Coppa delle Coppe: SAMPDORIA
Qualificate in Coppa UEFA: NAPOLI, JUVENTUS, ATALANTA e FIORENTINA
Classifica Marcatori
22 gol Serena (Inter)
19 gol Careca (Napoli), Van Basten (Milan)
15 gol Baggio (Fiorentina)
14 gol Borgonovo (Fiorentina), Vialli (Sampdoria)
13 gol Carnevale (Napoli)
12 gol Diaz (Inter), Rui Barros (Juventus)
11 gol Agostini M. (Cesena), Muller (Torino)
10 gol Evair (Atalanta), Giordano (Ascoli), Virdis (Milan), Völler (Roma)