30 novembre 2007: in quel giorno maledetto, Adriano Lombardi perse la sua partita più importante, quella con la vita.
L’ex capitano di Como e Avellino è stato uno delle tante vittime della SLA. I primi casi già a fine anni ’60. Segato, centrocampista di Cagliari e Fiorentina, nel 1968 gli diagnosticano la malattia, sfortunato capostipite di un lungo elenco: Tito Cucchiaroni, Ernst Ocwirk, Fulvio Bernardini, Giorgio Rognoni, Narciso Soldan, Guido Vincenzi, Gianluca Signorini, Stefano Borgonovo, solo per citare i più conosciuti.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa che compare nella maggior parte dei casi dopo i cinquant’anni (ma nell’ultimo periodo l’età media si è abbassata), e che porta ad una degenerazione dei neuroni di moto o motoneuroni, che sono quelli che danno impulso ai muscoli. La malattia è conosciuta anche come Morbo di Lou Gehrig, dal nome del giocatore di baseball che mori di questo male nel 1939.
La SLA presenta una caratteristica che la rende particolarmente drammatica: pur atrofizzando progressivamente tutti i muscoli, non toglie la capacità di pensare. Il cervello resta vigile ma prigioniero di un corpo che pian piano si paralizza. L’unica conseguenza è la morte, che in genere arriva per blocco della respirazione o superinfezione bronchiale.
La sua incidenza è tra 0,5 e 0,7 casi ogni centomila abitanti l’anno, nel mondo del calcio i malati di SLA sono sei ogni centomila abitanti, sei volte e mezzo in più rispetto all’incidenza normale. Perché? Anche questa è una domanda senza risposta, una delle tante. Tutti questi casi riscontrati sui calciatori italiani, e dopo la denuncia fatta da Zeman sul doping, hanno portato il procuratore Guariniello, nel ’99, ad aprire un fascicolo su tutte queste morti.
Nonostante i fondi (pochi) messi a disposizione, la FIGC esclude possibili relazioni tra attività calcistica e SLA. Lo stesso Guariniello parla del calcio come «Il mondo più omertoso che abbia mai trovato».
Le cause dell’insorgere della malattia sono ancora incerte. Si ritiene che la SLA sia una malattia con cause multifattoriali, che il suo insorgere possa essere determinato da una serie di motivi di tipo sia genetico che ambientale. Particolare attenzione viene rivolta a cause ambientali e stili di vita che possono facilitare l’insorgenza della malattia. Tra i fattori principali ci sono il contatto con agenti inquinanti e i traumi frequenti alla testa.
Nello sviluppo di questo male non si può escludere l’abuso di farmaci e di antinfiammatori, i traumi ripetuti alla testa e alle gambe, ai quali seguono tempi di recupero molto rapidi, eccessi di fatica. Senza trascurare i cosiddetti fattori ambientali come l’uso di pesticidi e di diserbanti sui campi d’erba.
Del resto, il morbo di Charcot (uno dei nomi con cui viene chiamata la SLA) in passato era conosciuto come la malattia dei contadini. Colpiva anche i giocatori di baseball, di football americano, di golf, ovvero gli sport giocati sull’erba. Bisogna ricordare anche il caso dei cinque calciatori del Como (Borgonovo, lo stesso Lombardi, Gabbana, Meroni, Canazza) colpiti da SLA: si parla di reperti radioattivi ritrovati sotto il manto erboso.
Lo stesso Lombardi, prima di morire, disse: «Ci facevano delle iniezioni di corteccia surrenale dopo la partita, oppure il lunedì o il martedì, per favorire il recupero. Qualche volta ce la somministravano anche via flebo, ma non c ‘era nulla di strano o di nuovo. Tutte le squadre, all’epoca, facevano queste cose. Posso solo dire che all’epoca il Cortex era molto comune, un ricostituente che davano anche ai bambini».
Senza dimenticare altre sostanze “incriminate” come il Micoren, il Norden e il Sustanol. Lo stesso Lombardi, però, escluse qualsiasi nesso tra i farmaci presi durante l’attività agonistica e la malattia: «Ho fatto quello che facevano gli altri, assumevo gli zuccheri tramite la flebo che ti aiutava nel recupero e il Cortex che era corteccia surrenale per un recupero più immediato. In quel periodo là, tutte le squadre, dico tutte dalla serie A alla serie C, assumevano queste sostanze. E comunque non ho sospetti, io non mi sono mai dopato».
Nonostante i passi avanti, la SLA è una malattia ancora difficile da diagnosticare. Nell’intervista tratta dal libro “Palla avvelenata”, Lombardi spiegava la sua situazione. Era il 2004, ma le sue parole sembravano già presagire quello che sarebbe successo qualche anno dopo:
«Questa malattia non ti lascia scampo. Ora come ora puoi solo rallentarla, nella speranza che prima o poi salti fuori il rimedio. Sono in cura in un centro sperimentale di Milano, dal professor Silani. Cè solo il Rilutec, specifico per la SLA, a base di riluzolo, che ritardagli effetti degenerativi, più qualche altro coadiuvante. L’unica speranza è l’auto trapianto di cellule staminali, già sperimentato a Torino. L’anno scorso ne hanno fatti cinque, gli interventi sono stato ben tollerati: è già qualcosa. Ora intendono farne altri trenta. Ma i tempi della ricerca e delle eventuali applicazioni sono ancora lunghi. Speriamo non lo siano troppo; io sto ancora relativamente bene, ma non so fino a quando. D’altra parte, prima che capissero che tipo di malattia avessi, c’è voluto più di un anno, adesso posso dire che è stato tempo perso. Ma chi ne fa perdere di più è lo Stato assente, che non dà la possibilità ai nostri scienziati di studiare gli embrioni e quello che è più grave non li aiuta a reperire i fondi per la ricerca. La nostra è una malattia troppo rara, dicono. Ma siamo 6 mila malati di SLA in Italia e di malattie rare ce ne saranno almeno cento: allora noi siamo semplicemente 100 mila condannati a morte. Spero che a forza di ribadire il concetto qualcosa si muova… Lo so, sono ripetitivo, ma fino a quando avrò forza di comunicare non mi stancherò di combattere e di puntare il dito contro chi non fa abbastanza per noi malati.. ».
Sono passati anni, ma oggi non esiste ancora alcun test o procedura per confermare senza alcun dubbio la diagnosi. Lombardi, da vero capitano, ha lottato con tutte le sue forze, ma il suo calvario termina in quel maledetto 30 novembre 2007:
«Ho giocato con Tardelli e Vierchowod, ma adesso non ce la faccio nemmeno a grattarmi la testa. Lo devo chiedere alle mie bambine. Ho fatto i corsi di allenatore con Lippi e Scoglio, ma ora non riesco più a girarmi nel letto. Lo devo chiedere a mia moglie. Ho giocato 500 partite di campionato, quasi tutte con la fascia da capitano, ora non posso giocare più a niente, nemmeno a vivere».
Una cosa, però, è certa: Lombardi non verrà mai dimenticato.