Monaco 74: la caduta dei tulipani

Dopo la nuova figuraccia dell’Italia e la caduta del Brasile orfano di attaccanti, sono i formidabili uomini di casa, pilotati dal kaiser Beckenbauer, a vincere il duello tra giganti con l’Olanda del gioco totale trascinata dalla stella Johan Cruijff

Il 10 gennaio 1971 il Comitato esecutivo della Fifa, riunito a Zurigo, aveva deciso il futuro del Mondiale. La Coppa Rimet, definitivamente assegnata al Brasile, sarebbe stata sostituita da un nuovo trofeo, la Coppa Fifa: realizzata dall’italiano Silvio Cazzaniga, raffigura due mani stilizzate che sostengono il mondo, consta di cinque chili di oro massiccio a diciotto carati, per un valore di ventimila dollari. Il trofeo sarà ufficialmente ritirato dopo il 2038, quando lo spazio sulla Coppa dedicato all’incisione del nome della Nazionale vincitrice sarà terminato.

Quanto al Paese ospitante, l’offerta della Germania Occidentale venne senz’altro accolta, avendo in programma due anni prima, come già il Messico, l’organizzazione delle Olimpiadi, e potendo contare su uno sponsor potentissimo come l’Adidas, azienda di materiale sportivo. Cambiava tuttavia la formula della fase finale, con l’esclusione dell’eliminazione diretta, al nobile scopo di incrementare il numero di partite e dei conseguenti incassi.

Ben 96 nazioni, nuovo primato, si iscrissero alla manifestazione. Superarono la fase delle qualificazioni quattordici squadre: Svezia (su Austria, Ungheria e Malta), Italia (su Lussemburgo, Svizzera e Turchia), Olanda (su Belgio, Islanda e Norvegia), Germania Est (su Albania, Finlandia e Romania), Polonia (su Galles e Inghilterra), Bulgaria (su Cipro, Irlanda del Nord e Portogallo), Jugoslavia (su Grecia e Spagna), Scozia (su Cecoslovacchia e Danimarca), Cile (su Eire, Francia, Urss, Perù e Venezuela), Haiti (su Canada, Messico, Stati Uniti, Guatemala. E1 Salvador, Honduras, Costa Rica, Antille Olandesi, Giamaica. Portorico, Suriname, Trinidad. Antigua), Uruguay (su Colombia e Ecuador), Argentina (su Bolivia e Paraguay), Zaire (su Marocco, Senegal, Algeria, Guinea, Egitto, Tunisia, Sierra Leone, Costa d’Avorio, Kenya, Sudan, Mauritius, Madagascar, Tanzania, Etiopia, Lesotho, Zambia, Congo Brazzaville, Nigeria, Dahomey, Ghana, Togo, Camerun e Gabon), Australia (su Hong Kong, Giappone, Vietnam del Sud. Israele, Malaysia, Corea del Sud. Thailandia, Iraq, Indonesia, Nuova Zelanda, Iran, Siria, Corea del Nord. Kuwait).

Clamorosa l’esclusione dell’Inghilterra. ad opera di una realtà nuova del calcio mondiale, la Polonia, trascinata da una notevole generazione di talenti. Restò fuori anche l’Urss, essendosi rifiutata di giocare in Cile, per protesta politica contro il regime militare del Paese sudamericano.

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L’Italia schierata da Valcareggi nel debutto contro Haiti

NOSTALGIA CHINAGLIA

Gli azzurri sono inseriti in un girone giudicato “benevolo” assieme a Polonia, Argentina e Haiti, ma quella che si culla dolcemente sul laghetto del Mon Repos di Ludwigsburg, sede del ritiro, è un’Italia a pezzi. Un rovente sfogo di Juliano, non rassegnato a vivere il terzo Mondiale da spettatore, ha incrinato l’apparente serenità: «Sono demoralizzato, è il terzo Mondiale in cui vengo convocato senza speranza di giocare. Per capire perché, basta guardare cosa è capitato a Zoff: è passato da riserva a titolare non appena dal Napoli è passato alla Juve».

Per evitare all’Italia il clima ormai “classico” a base di polemiche e ripicche, Carraro e Allodi avrebbero voluto allontanare il giocatore. Valcareggi però si è opposto, temendo sconquassi nello spogliatoio, e si è appellato a Franchi. Risultato: Juliano è stato punito con un semplice rabbuffo, accompagnato dalla riaffermazione a parole della linea del rigore. Aperto lo squarcio, tuttavia, l’acqua ha preso a entrare copiosa.

Sostituito da Anastasi nella ripresa della raccapricciante amichevole con l’Austria, Chinaglia ha tolto la sicura: che a qualcuno non venga in mente di ideare il bis della famosa “staffetta”, ha latrato coi giornali, lui non è disposto ad accettarla. E ha aggiunto commenti velenosi su certi centrocampisti che fanno faticare gli altri. Ci si è messo pure il mite Re Cecconi, lamentando la propria condizione di escluso a priori, nonostante lo scudetto appena conquistato sulle ali di un impegno da tutti giudicato esemplare.

Il debutto con Haiti fa correre brividi gelati sulla schiena di Valcareggi. Un’Italia discreta cozza contro un portiere di gomma, Francillon, che chiude ogni varco. In avvio di ripresa, con una ubriacante azione personale, Sanon porta in vantaggio Haiti. L’ombra di una nuova Corea però si spezza subito: Rivera (checché ne scriva poi qualcuno) inventa alla grande, Mazzola sulla fascia fa il diavolo a quattro e finalmente gli avversari capitolano.

Pareggia Rivera, poi un autogol di Auguste porta gli azzurri in vantaggio. A quel punto, Valcareggi decide di sostituire Chinaglia, in versione paracarro, con Anastasi e succede il patatrac. Il centravanti della Lazio risponde agli applausi di circostanza provenienti dalla panchina azzurra con parole pesanti e altrettanto eloquenti gesti della mano sinistra. Non è vero, come scrisse Brera, che fece il gesto dell’ombrello: le immagini televisive forniscono una prova inconfutabile; è vero invece che mandò a quel paese il Ct e poi, una volta nello spogliatoio, diede sfogo alla propria rabbia mandando alacremente in frantumi contro la porta una cospicua dotazione di bottiglie di acqua minerale. Anastasi poi segna, ma l’attesa goleada, preziosa per la differenza reti, rimane un sogno. Che si trasformerà in incubo.

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La conferenza stampa con Carraro e Chinaglia

Chinaglia la sera viene dato per disperso. Ha lasciato l’albergo, si teme un clamoroso addio alla Nazionale. Alla mattina però è al suo posto e i dirigenti tirano un sospiro di sollievo. Rifiuta di stringere la mano a Valcareggi. ma, dopo un colloquio con Carraro, promette di non fare più polemiche. Infatti il giorno ancora successivo, quando apprende di essere stato escluso (a favore di Anastasi) dalla formazione per l’Argentina, chiama di nuovo i cronisti e ulula: «Sono falsi. Mi avevano garantito il posto nelle prime due partite degli ottavi. Prima mi hanno sostituito, ora forse mi manderanno persino in tribuna. Nessuno ha il coraggio di parlare chiaro. La Lazio ha vinto lo scudetto e la Nazionale va in campo senza giocatori della Lazio. Il “vaffa ”? Mi dispiace per il gesto, non per quello che ho pensato e che penso».

Febbrili consultazioni, Valcareggi si oppone alla cacciata del reprobo («Non credo che fossi io il suo bersaglio») e Franchi opta per la decisione adottata quattro anni prima con Rivera: se Chinaglia tornasse a casa, diventerebbe un martire. Si organizza così una conferenza stampa patetica, in cui Carraro annuncia ai giornalisti che in un primo tempo era stato deciso l’allontanamento di Chinaglia, in quanto «disadattato e disancorato dall’ambiente».

Poi, il giocatore ha parlato con lui, con Allodi e col proprio allenatore di club, il saggio Maestrelli, e ha chiarito tutto: «Ci siamo resi conto oggi che Maestrelli è riuscito a offrirci del giocatore la versione più sincera: Chinaglia in sostanza aveva trascorso soltanto tre giorni di confusione. È il primo campionato del mondo cui partecipa, abbiamo pensato di dover usare nei suoi confronti una certa indulgenza». Chinaglia, al suo fianco, annuncia di essersi chiarito coi compagni, ammettendo i propri errori. Chiude Carraro: siamo stati elastici con Juliano, resterà anche Chinaglia. Infuriato, Allodi si chiude in un silenzio ostile.

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Contro l’Argentina l’autorete di Perfumo su tiro di Benetti ci permette ancora di sperare

La Polonia intanto batte l’Argentina e poi strapazza gli haitiani per 7-0. L’Italia deve fare la corsa sui sudamericani, ma lo scontro diretto propone una squadra azzurra priva di gioco e mordente, con Riva in crisi e Rivera fuori fase. Il pareggio viene propiziato da un autogol di Perfumo, dopo il vantaggio di Houseman, un peperino d’attacco su cui Valcareggi con un clamoroso errore tattico ha mandato Capello. Nonostante tutto, basterebbe un pari coi polacchi per rimediare.

Criticato pesantemente, Rivera esce allo scoperto («Con l’Argentina non ho giocato bene: una serataccia di quelle che capitano ogni cinque anni. Sarebbe assurdo sostituirmi, un giocatore non può cambiare la squadra da solo. Se mi escludono, la Nazionale non mi interessa più»). Il senso delle parole è trasparente: pure Riva non sta in piedi, anche se di lui il grande Brera non oserebbe mai scrivere, come ha fatto per il Gianni nazionale, che «inciampa sulle primule».

Per dargli ragione, Valcareggi (con Franchi) decide di escludere entrambi inserendo Causio e ripescando Chinaglia. La Polonia gioca una gara “vera” (secondo alcuni persino troppo), l’Italia cozza contro l’arbitro, che nega un rigore su Anastasi, e contro un avversario superiore, che trova due gol spettacolari. Inutile la rete di Capello nel finale. Per differenza reti (un solo gol) passa l’Argentina e gli azzurri escono di scena dopo esservi entrati da grandi favoriti, con una squadra tutt’altro che da buttare.

GERMANIA CON I CALCOLI

Non mancano le sorprese neppure negli altri gironi. Nel primo gruppo l’inedito confronto tra i cugini tedeschi vede gli uomini dell’Est prevalere, complici peraltro i calcoli di convenienza, toccando ai primi classificati gli spauracchi Brasile e Olanda; facile comunque per gli uomini di Schön, grandi favoriti della manifestazione, sbarazzarsi di Cile e Australia, prima di cedere nel monotono terzo incontro a un gol della “stella” Sparwasser. I bianchi sono fortissimi in ogni reparto. Gli unici problemi derivano dal dualismo tra il classico regista Netzer e il mancino Overath. La squadra “vota” per quest’ultimo, spalleggiato dal kaiser Beckenbauer, e al primo non resta che la panchina.

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L’ingresso in campo delle squadre nello storico derby tedesco

Secondo gruppo all’insegna dell’equilibrio. Il Brasile, rinnovatissimo, ha perso parecchio smalto soprattutto in attacco. Possiede grandi giocolieri a centrocampo, ma non ha degni finalizzatori in area di rigore. Costretto al nulla di fatto dalla Jugoslavia e dalla Scozia, si sfoga sullo Zaire, non andando comunque oltre le tre reti, mentre gli jugoslavi seppelliscono gli africani sotto una valanga di nove gol. Alla fine, è la differenza reti a decidere: per l’unico gol subito dagli scozzesi, passano gli uomini di Zagallo.

Nel terzo gruppo esplode il fenomeno Olanda. Non del tutto inatteso, pur nella mancanza di una tradizione a livello di nazionale: le squadre di club stanno dominando in Europa da qualche anno (quattro Coppe dei Campioni consecutive, una del Feyenoord, tre dell’Ajax: ma l’ultima l’ha conquistata il Bayern). La formazione arancione propone un calcio nuovo, privo di specializzazioni e basato su un assalto continuo alle posizioni avversarie. Scortato da fuoriclasse straordinari in ogni ruolo, con l’immenso Cruijff e il suo alter ego Neeskens su tutti, il modulo fa paura a tutti. Cadono l’Uruguay e la Bulgaria, resiste la Svezia, che acciuffa la seconda posizione grazie a un solido impianto di gioco e al formidabile centravanti Johnny Edström; deludentissimo l’Uruguay, in cui non brilla l’attesa stella di Morena.

L’ACEFALO BRASILE

Nei gironi di semifinale, il ciclone Olanda diventa inarrestabile. Ci prova l’Argentina, col suo puntiglioso controgioco, a ostacolare Cruijff e compagni, e viene travolta. L’assedio olandese prosegue con la Germania Est, spazzata ugualmente via da una manovra che chiude l’avversario all’angolo e tramite una fitta rete di passaggi produce palle gol a una frequenza impressionante. Quando si presenta il Brasile dalla manovra efficace ma drammaticamente acefala in attacco, il destino è segnato: Neeskens e Cruijff mandano a casa gli auriverde. A cui sarebbero forse bastati due ultratrentenni ancora sulla breccia come gli “italiani” Altafini e Clerici per difendere meglio il titolo.

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Il deludentissimo Brasile “europeo” di Zagallo

Nell’altro gruppo gli uomini di casa, pur proponendo un calcio più tradizionale e meno luccicante, danno comunque spettacolo. La squadra è un impasto perfetto di classe e doti atletiche: la Jugoslavia dei talenti non ha scampo, così come la coraggiosa Svezia. In contemporanea, però, la Polonia compie exploit paralleli: ugualmente superate Jugoslavia e Svezia da un complesso robusto, che conta primattori in ogni reparto. L’atletico portiere Tomaszewski dà spettacolo, il libero Gorgon chiude mirabilmente e in avanti l’assortimento è perfetto: il raffinato regista Deyna dialoga con due ali micidiali (l’agilissimo Gadocha, re del dribbling, il pungente e rapidissimo Lato) e un centravanti classico (il possente Szarmach) in grado di colpire in ogni momento.

Quando i due colossi si trovano di fronte, ne nasce uno scontro memorabile. Piove a dirotto, a Francoforte, la partita viene ritardata per dar modo agli inservienti di ridurre (con inedite macchine drenanti) la quantità d’acqua che allaga il campo. Poi l’arbitro Linemayr dà il via e sembra un delitto, in quelle condizioni atmosferiche proibitive. Invece, con l’acqua sopra la testa e sotto i piedi, tedeschi e polacchi riescono ad armare una straordinaria partita di calcio in cui le doti tecniche sublimano la straripante gagliardia tecnica.

Lo scontro, vibrante, vigoroso, pieno di scintille, non ha un attimo di sosta. A inizio ripresa Tomaszewski para un rigore di Uli Hoeness. A un quarto d’ora dalla fine lo splendido equilibrio, con continue occasioni da una parte e dall’altra, viene rotto dal solito, implacabile Müller: lo serve il geniale Hoeness in area, il suo rasoterra immediato non dà scampo al gigante Tomaszewski. I tedeschi vanno in finale, ma i polacchi si confermano la grande rivelazione assieme all’Olanda.

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Esultanze per la spettacolare Polonia di Gorski

TERZO POSTO POLACCO

Brasile deluso e voglioso di casa, Polonia ansiosa del podio che ne consacrerebbe il ruolo di rivelazione. Il gioco non entusiasma, gli stessi polacchi, svuotati dalla battaglia coi tedeschi, non hanno più molto da spendere. A un quarto d’ora dalla fine, Cmikiewicz lancia Lato che si proietta in area, scarta Francisco Marinho, il terzino con cui ha ingaggiato un duello da scintille, e fulmina Leao. Dopo il trionfo olimpico ‘72, la Polonia ottiene un nuovo riconoscimento al proprio valore.

LA RIMONTA TEDESCA

Pronostici in maggioranza rivolti verso l’arancio vistoso delle maglie olandesi, che ha incantato un po’ tutti. Ma non manca chi ha notato come la squadra tedesca, molto meno spettacolare, non abbia in pratica punti deboli. Quando si parte, il canovaccio rispetta le attese. L’Olanda si getta di slancio, con la sua manovra offensiva avvolgente. I terzini, Suurbier e Krol, sono in pratica ali aggiunte e avanzano sistematicamente a costruire con i centrocampisti Jansen, Van Hanegem e Neeskens una specie di semicerchio, in cui entrano e da cui ripartono gli attaccanti puri, Rep, Cruijff e Rensenbrink, in un tourbillon che stordisce l’avversario.

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Cruijff e l’arbitro Taylor nella finale di Monaco 74

La Germania sembra in balia di un simile tourbillon, dopo pochi secondi Cruijff penetra in area e Hoeness lo stende. Rigore. Neeskens trafigge Maier, la Germania è in ginocchio. L‘Olanda cerca il colpo del k.o., ma si infrange sugli scogli di una squadra tanto tecnicamente dotata quando coriacea e ispida in fase di contenimento. Il semicerchio olandese deve aprirsi sulle incursioni in palleggio dei solisti tedeschi.

Davanti a Maier. con Vogts impegnato su Cruijff, l’altro terzino Breitner è uno stantuffo sulla fascia sinistra, mentre al centro il libero Beckenbauer fa avanti e indietro governando il gioco, con il supporto del geniale Overath. E poi ci sono palleggiatori sopraffini: Rainer Bonhof e Bernd Hölzenbein sanno saltare l’uomo e lanciare in verticale, Uli Hoeness quando parte col suo fulminante dribbling a rasoiate mette paura a chiunque. In avanti. Grabowski è un’ala solida e concreta e da Müller, gatto all’apparenza sonnolento, c’è sempre da aspettarsi il peggio.

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Così proprio un’iniziativa di Hölzenbein viene fallosamente fermata in area da Jansen e l’arbitro Taylor concede un nuovo penalty. Trasforma senza problemi il freddo Breitner. Tutto da rifare. Il gioco si spezzetta, la manovra tedesca è più varia e produce occasioni, sulle quali giganteggia Jongbloed, il portiere più innovativo della manifestazione, con le sue uscite fino quasi a metà campo.

Allo scadere del primo tempo, un delizioso servizio di Bonhof innesca la mina Müller al centro dell’area; in pochi centimetri il centravanti sembra perdere il pallone, ma lo recupera e lo infila nell’angolino prima che gli avversari riescano a intervenire. A situazione capovolta, gli uomini di Michels vanno in confusione: il terminale principale, Cruijff, è ridotto all’impotenza dal mastino Vogts e il gioco non riesce a fluire per le repliche pungenti e costanti dei tedeschi, che nel finale falliscono con Hoeness il raddoppio e potrebbero coglierlo dal dischetto, se Taylor fischiasse un terzo rigore per un nuovo fallo di Jansen su Hölzenbein.

Qualche superficiale scriverà che, come vent’anni prima, i tedeschi hanno battuto i migliori. In realtà, ha vinto la squadra più forte, perfetta miscela tra qualità tecniche e accorgimenti tattici.

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