La storia del talentuoso attaccante brasiliano che sfidò la dittatura militare e pagò con l’esclusione dal Mondiale di Spagna ’82.
Braccio alzato, sguardo di sfida. Ogni volta che segnava un gol, Reinaldo Lima sferrava un colpo al ventre del regime militare brasiliano. Per un decennio fu uno dei calciatori più scomodi del Brasile, una vera sfida al militarismo imperante. Per questo pagò il prezzo dell’esclusione dalla canarinha, e il Brasile soffrì una perdita ancora più pesante nel mitico duello di Sarriá, a Spagna ’82.
La magica generazione di Telé Santana fece innamorare tifosi di tutto il mondo nella calda estate del 1982. Negli stadi spagnoli le maglie gialle, pantaloncini azzurri e calzettoni bianchi si trasformarono in fenomeni globali di edonismo e fascino. La squadra catalogata come l’ultimo grande esempio del “Jogo Bonito” sembrava destinata a un’incoronazione assoluta quando a Sarriá, lo stadio dell’Espanyol, si trovò di fronte alla matura e calcolatrice Italia di Bearzot che sfruttò ogni singolo difetto del modello di gioco di Telé Santana.
Il Brasile aveva bisogno solo di pareggiare per raggiungere le semifinali. Per due volte andò in vantaggio, ma la tripletta di Paolo Rossi decise il duello. Forse se il Brasile avesse viaggiato in Spagna con l’equivalente sportivo di Pablito, la storia sarebbe stata diversa. Ma il “Re di Minas” era a casa, lontano. A pagare il prezzo di essere il più grande ribelle dei campi brasiliani.
Il nemico del sistema

Reinaldo era tutto ciò che la dittatura militare brasiliana non poteva sopportare. Nei corridoi del potere, a Brasília, era conosciuto come “il demonio dei campi”. Un militare lo catalogò con la semplicità dei governi dittatoriali dell’epoca come “comunista, drogato e omosessuale“. Non c’era nulla di peggio nella società brasiliana di quei tempi.
Persino Sócrates e Casagrande, influenti mobilitatori del movimento “Democrazia Corinthiana“, avevano un trattamento diverso rispetto a Reinaldo. La sua storia era più controversa ed era direttamente legata all’opposizione politica e culturale contro il regime della dittatura.
Il giocatore che brillò nel campionato giovanile di Minas Gerais del 1971 era visto come uno dei successori immediati al geniale Pelé quando gli anni settanta presentarono l’aurora di una nuova vita nel calcio brasiliano. Reinaldo, insieme a Zico e Sócrates, apparteneva a quella nuova élite che avrebbe riportato il Brasile alla gloria.
L’amico di Lula

Reinaldo strinse rapidamente amicizia con vari elementi comunisti e sindacalisti. Uno dei suoi amici inseparabili era un dirigente sindacale paulista conosciuto come Lula. In sua compagnia, Reinaldo iniziò a partecipare a vari comizi e riunioni politiche. Fece di quello che sentiva in quelle conversazioni notturne la sua nuova liturgia. Avrebbe utilizzato la sua celebrità in campo per denunciare la situazione politica in Brasile.
Nel giugno del 1978 fu convocato per i Mondiali d’Argentina. Prima che iniziasse il torneo fu chiamato da parte dalla delegazione governativa che accompagnava la seleção verso Buenos Aires e fu messo in guardia. “Giochi bene. Ma non parlare di politica, ragazzo. Di politica ci occupiamo noi“, gli disse il ministro della difesa brasiliano.
Reinaldo non ebbe altra scelta che dire di sì, ma la situazione era più complessa di quanto sembrasse a prima vista. Una posizione radicale in campo poteva portare conseguenze molto gravi. Coutinho era pressato dai militari ma aveva bisogno di risultati. Portava con sé tre noti dissidenti politici ma non poteva rinunciare ai gol del “Re di Minas”.
Il primo esilio

Mentre Zico rimaneva in panchina, Reinaldo segnò l’unico gol nel pareggio contro la Svezia, nella partita inaugurale del torneo. La celebrazione fu contenuta ma, intenzionalmente o no, era iniziata con il celebre braccio alzato in tono di sfida. L’atmosfera nel ritiro divenne irrespirabile. Dopo il pareggio con la Spagna, nella seconda partita, Coutinho non schierò più Reinaldo in campo. Iniziava il primo e lungo esilio dell’attaccante dalla seleção.
In Minas Gerais i gol di Reinaldo continuavano a fare storia, ma il nuovo selezionatore verdeoro, Telé Santana, non sembrava troppo convinto. Non si trattava di una questione di meriti sportivi. All’inizio degli anni ottanta il Brasile aveva solo tre attaccanti di livello mondiale: Roberto Dinamite, Careca e Reinaldo.
L’arma dell’omofobia
Mentre l’opposizione politica di Reinaldo cresceva, il regime rispondeva con accuse sottili di omosessualità, uno dei crimini sociali più gravi per la società brasiliana dell’epoca. Fu divulgato che il giocatore aveva una relazione amorosa con un celebre presentatore radiofonico, Tutti Maravilha. La storia divenne parte del folklore brasiliano, insieme alle accuse di una vita bohémien tra alcol, marijuana e prostituti maschi nei locali di Belo Horizonte.
Il regime non poteva escludere Reinaldo per questioni politiche dalla nazionale. Ma la società brasiliana dell’epoca era disposta ad accettare un esilio per questioni sociali. Telé Santana – nonostante tutto un allenatore consapevole della sua posizione politica e anche lui un riconosciuto omofobo – credeva che convocare Reinaldo sarebbe stato più un problema che una soluzione alla mancanza di gol del Brasile.

Il Mondiale negato
A inizio 1981 Santana si convinse nonostante tutto a provarlo nelle partite di qualificazione per Spagna 1982 e nel maggio di quell’anno Reinaldo segnò uno dei gol della vittoria del Brasile contro la Francia di Platini al Parco dei Principi. Fu la prima partita di preparazione per i Mondiali di Spagna. La sua esibizione fu applaudita in Francia e il Brasile di Sócrates, Falcão, Toninho e Zico era, allora, anche il Brasile di Reinaldo. Nessuno dubitava che fossero i massimi favoriti per il titolo mondiale. Soprattutto perché al talento del centrocampo univano finalmente un vero killer d’area.
Ma quella fu l’ultima partita di Reinaldo con la maglia canarinha per tre anni. Nel marzo successivo, Telé Santana iniziò a dichiarare pubblicamente di essere preoccupato per le condizioni fisiche di Reinaldo. Con Careca e Roberto Dinamite, ancora una volta infortunati, la situazione era drammatica. Ma l’infortunio era fittizio, come Reinaldo dimostrava giocando e segnando per l’Atlético nel campionato mineiro.
Quando fu divulgata la convocazione ufficiale, come molti temevano, Reinaldo non era tra gli eletti. La spettacolare prima fase sembrava dare ragione a Santana. Ma le partite contro Argentina e Italia lasciarono chiaro che l’assenza di Reinaldo era stata decisiva per la precoce eliminazione della migliore squadra del torneo.
Il prezzo della libertà

Quando Santana abbandonò la nazionale, sostituito da Edu Antunes, Reinaldo tornò ad essere convocato. Aveva ancora 27 anni e una parte importante della sua carriera davanti a sé. Ma gli infortuni alle ginocchia operate ancora nella sua adolescenza si fecero sentire troppo presto. L’attaccante disputò solo altre cinque partite internazionali.
E nel 1985, con il ritorno di Santana in vista dei Mondiali 1986, il “Re di Minas” smise definitivamente di far parte dei convocati. Nello stesso anno abbandonò il club che aveva rappresentato dai 15 anni per iniziare un breve tour tra Palmeiras, Rio Negro e Cruzeiro, per finire al Telstar olandese. Nel 1988, a 31 anni, la carriera del goleador brasiliano più efficace della sua generazione giunse bruscamente al termine.
Reinaldo abbandonò l’Europa e tornò in un Brasile diverso, dove il regime democratico iniziava a consolidarsi dopo decenni di dittatura militare. Era la società libera per la quale aveva lottato. Una lotta che gli era costata molto a livello professionale. Il prezzo che il Brasile pagò fu molto più caro: con lui forse la storia del calcio sarebbe stata diversa e quei novanta minuti di Barcellona non sarebbero esistiti se non nei peggiori incubi dei tifosi brasiliani.