Il terzino brasiliano venuto dal nulla sorprese tutti in quel mondiale segnando due gol spettacolari. Ma fu solo l’inizio della sua fine.
C’è una verità universale sul calcio brasiliano: che ogni angolo di spiaggia nasconde talenti naturali e straordinari. Il simbolo supremo di tutto ciò è Josimar, l’autore di una straordinaria doppietta ai mondiali di Messico 86. Sembrava quasi fosse sbucato dal nulla. Nessuno al di fuori del Brasile lo conosceva; non era nemmeno nell’album delle figurine, per intenderci.
Non era solo uno sconosciuto: era anche senza esperienza e senza contratto quando fu convocato dal Brasile all’ultimo minuto, e solo per far numero, dopo il forfait del terzino destro titolare Leandro. Quattro giocatori brasiliani avevano violato il coprifuoco ma solo uno, l’ala scapestrata Renato Gaúcho, fu cacciato dalla squadra dall’allenatore Telê Santana. Leandro (lo ricordiamo protagonista anche a Spagna 82) se ne andò in una sorta di solidarietà colpevole.
Josimar non giocava una partita da metà marzo, quando era scaduto il suo contratto con il Botafogo. Stava cucinando e badando a sua moglie in dolce attesa quando ricevette una telefonata che gli annunciava che sarebbe andato in Messico. Pensando a uno scherzo, ringraziò cortesemente e continuò la sua giornata. Un’ora dopo ricevette un’altra telefonata che gli indicava dove e quando presentarsi.
In Messico, Santana schierò Édson Boaro come sostituto di Leandro nel primo match contro l’Algeria, ma questi si infortunò dopo soli 10 minuti. Josimar quel giorno non era nemmeno in panchina ma sei giorni dopo prese il posto di Edson nella formazione titolare contro l’Irlanda del Nord.
Era sorprendentemente alto per essere un terzino e aveva una corporatura imponente, con una muscolatura scolpita e cosce possenti. Il Brasile era in vantaggio per 1-0 a quattro minuti dalla fine del primo tempo, e stava tenendo la palla nella metà campo dell’Irlanda del Nord. “Josimar… Júnior… Elzo… Alemao“, disse il commentatore della BBC John Motson, cogliendo il ritmo cadenzato del possesso palla del Brasile mentre Alemão passava la palla a Josimar. “Beh, Careca e Casagrande aspettano il cross“.
Aspettano ancora. Perchè Josimar spostò la palla davanti a sé, fece un piccolo balzo e scaricò tutta la sua potenza sulla palla. Era una distanza assurda da cui tirare – 30 metri e molto decentrato sulla destra – ma la sfera si infilò oltre Pat Jennings nell’angolo in alto. L’esultanza fu iconica quasi quanto il gol: Josimar partì per un mini giro d’onore, con le braccia alzate in aria, il suo volto un’immagine di incredula felicità.
Ma non era finita: negli ottavi di finale contro la Polonia, arrivò la seconda impresa dopo una corsa travolgente e un diagonale imparabile da un’angolazione impossibile. Una perla che contribuì alla larga vittoria per 4-0 del Brasile, che si qualificò ai quarti di finale, dove venne eliminato dalla Francia ai rigori dopo un 1-1 memorabile.
Josimar non era un bomber, ma un terzino. Eppure, in due partite consecutive, segnò due gol da sogno, da antologia, da leggenda. In quel mondiale giocò solo tre partite, ma venne eletto nella squadra ideale del torneo dalla Fifa, l’unico brasiliano insieme al difensore centrale Júlio César a far parte dell’undici d’oro. Il Botafogo lo riconfermò immediatamente e i media lo celebrarono: “Um heroi desempregado” (L’eroe disoccupato) era il titolo di un articolo su Placar.
Ma la favola si trasformò in una tragedia. Josimar, come molti calciatori brasiliani provenienti da contesti umili, non seppe gestire la fama improvvisa. La sua vita venne sconvolta e si lasciò tentare dalla classica triade di vizi: alcol (soprattutto whisky), cocaina e donne.
Poco dopo il Messico, cominciò a fare notizia per altri motivi. Finì in carcere dopo aver picchiato una prostituta che lo aveva insultato in modo razzista quando aveva cercato di pagare meno per un’orgia già consumata. Qualche anno dopo, mentre era inseguito dalla polizia, gettò il portafoglio dal finestrino: dentro c’erano tre grammi di cocaina. A suo fratello, un tossicodipendente, andò peggio: venne ucciso a colpi di arma da fuoco in una favela.
Josimar è stato uno dei primi bad boys del calcio brasiliano: “A Maradona ed Edmundo hanno dato una seconda possibilità”, ha affermato in un’intervista del 1995. “Perché non a me? Non mi hanno mai trovato nulla addosso. Mi piaceva solo bere un po’ di whisky…”
Josimar non riuscì mai a ripetere il picco di Messico 86 e la sua carriera finì in un tunnel. Nel 1988 sfiorò il trasferimento al Dundee United e venne anche proposto ad Alex Ferguson al Manchester United prima di avere un’esperienza a dir poco caotica in Spagna al Siviglia. Riuscì ad avere un ruolo importante in patria nella storica vittoria del Botafogo nel Campeonato Carioca nel 1989, e venne convocato, ma senza giocare, nella selecao vincitrice della Copa América un mese dopo. In tutto, 16 presenze con la maglia verdeoro, segnando solo quei due gol in Messico.
“Sono arrivate le bionde, se ne sono andati gli allenamenti”, esclamò con sarcasmo. Aveva dilapidato i suoi soldi, la sua reputazione “e, cosa più grave, il legame con i miei figli”.
In Brasile Josimar è solo una nota a margine. Nel resto del mondo, grazie a quelle due magie a Messico 86, è ricordato ancora con affetto e nostalgia. La migliore rivista di calcio norvegese si chiama Josimar; c’è addirittura un grafico scozzese che ha battezzato la sua attività in onore della sua musa brasiliana.
Spesso lo si inserisce nella lista dei talenti perduti. In realtà era l’opposto, un buon giocatore ma non un fuoriclasse, il cui breve apice di carriera coincise perfettamente con il culmine del ciclo quadriennale del calcio. Il Brasile ha milioni di talenti sconosciuti, certo, ma pochi hanno lasciato un’impronta nel mondo del calcio come Josimar.
- Fonti utilizzate: https://www.theguardian.com