La storia di Marinus Jacobus Hendricus Michels comincia da lontano, Amsterdam, e se è vero che il destino lascia dei segni sulla propria strada, il primo che si manifesta nella vita di Rinus è datato 9 febbraio 1936, il giorno del suo nono compleanno. Al piccolo vengono regalate degli scarpini da calcio con lo stemma dell’Ajax; per il bimbo il calcio è già una passione, gioca con gli amici e si “allena” con suo padre. Un amico osservatore dell’Ajax lo nota e a 12 anni, nel 1940 entra a far parte delle giovanili dell’Aiace.
E’ il 1940 appunto, l’Europa è già in guerra, le truppe del Terzo Reich invadono l’Olanda, per gli olandesi ma soprattutto per l’Ajax sono tempi duri. Il club è storicamente legato alla comunità ebraica e vive momenti difficili con tutta la dirigenza ebraica rimossa; per Marinus sono gli anni dell’adolescenza, la sua carriera rimane bloccata, difficolta materiali lo bloccano e problemi burocratici impediscono il suo ingaggio da parte del Lille.
Quando la guerra finisce Rinus ha 17 anni e l’anno dopo poco più che diciottenne debutta in prima squadra che milita in Serie B. Si gioca il 9 giugno contro l’ADO, l’Ajax stravince e il ragazzo segna 5 gol, nell’8 a 3 finale. A fine stagione la squdra viene promossa in Prima divisione e l’anno dopo i Lancieri vincono il campionato con Marinus che si ritaglia uno spazio sempre più ampio nell’organico del club. Tra il 1946 e il 1958 giocherà più di 250 partite segnando 122 gol. Non è un giocatore fenomenale ma è una persona seria, si allena con costanza, cerca sempre di migliorarsi nonostante non abbia qualità nè fisiche nè tecniche eccelse, è un “professionista”, un professionista che assapora anche il gusto della nazionale orange, dove debutta nel 1950, contro la Svezia e dove collezionerà solo 6 presenze, con un record poco invidiabile di 6 partite e 6 sconfitte. Ma non c’è fretta: si rifarà.
La carriera da calciatore finisce nel 1958, a trent’anni a causa di un infortunio alla schiena. E’ giovane per smettere ma il ritiro dal calcio giocato non è che il preludio della sua epopea. Per un periodo fa l’insegnante di educazione fisica sfruttando il suo diploma, insegna per un po’ in una scuola per bambini audiolesi e poi nel 1965 quando l’Ajax chiama, lui risponde. Sarà l’inizio di una sfida e di una rivoluzione.
Rinus ha solo 37 anni e il club di Amsterdam è ancora una squadra normale, sarà quell’uomo simpatico e perfezionista a costruire il mito. Guida il team alla vittoria di quattro campionati olandesi tra il 1966 e il 1970 (solo nel 1969 vincerà il Feyenoord, futuro Campione d’Europa) e a una triplice affermazione in Coppa d’Olanda. E’ in questi anni che comincia a costruire un meccanismo perfetto, una squadra che gioca a memoria, i cui giocatori non si limitano a interpretare il loro compitino ma che giocano in funzione della situazione di gioco che gli si presenta.
La rivoluzione arriva dall’anarchia di ruoli, le posizioni sono intercambiabili, la ricerca dell’attacco è assoluta. I difensori che diventano centrocampisti o ali, un attaccante come Cruijff che può muoversi come centravanti o regista, realizzatore o suggeritore. Poi il fuorigioco: una maniera di difendersi che stupisce e sorprende. Una squadra intera che corre in avanti per lasciarsi alle spalle gli avversari. Mai visto, allora.
La rivoluzione non sconvolge solo l’Olanda ma l’Europa intera, il Totalvoebal di Michaels si diffonde come la buona novella del calcio, anche se la prima grande recita della comapagine di Michels si rivela un flop. Si gioca a Madrid, è la finale della Coppa Campioni 1969, i Lancieri affrontano il Milan di Rocco e ne prendono quattro con tre gol di Piero Prati e un Gianni Rivera autore di una prestazione di grandissimo spessore.
Sbagliando s’impara si dice e il Generale Rinus si presenta con le sue truppe due anni dopo, stessa occasione, questa volta l’avversario è il Panathinaikos allenato da Ferenc Puskas e si gioca nel tempio di Wembley, il 2 giugno 1971. E’ un match senza storia fin dall’inizio, i greci e il loro allenatore ci capiscono poco, pochissimo, al 5′ l’Ajax è già in vantaggio, segna Van Dijk, poi gli olandesi irretiscono gli avversari con il loro moto perpetuo e armonico, crearono sette otto occasioni da gol e soffrendo ben poco in difesa. All’85’ arriva il 2 a 0, è finita: l’Ajax è campione d’Europa.
Vinta la Coppa, Rinus decide di lasciare, le basi della rivoluzione sono lanciate, i Lancieri vengono affidati a Stefan Kovacs, ex allenatore della Steaua di Bucarest che porta avanti la filosofia di gioco del trainer olandese e olea la macchina da guerra costruita dal Generale vincendo altre due Coppe Campioni, una Coppa Intercontinentale (1972) e la prima Supercoppa Europea (1973) e dando prove di calcio memorabili come la finale di Coppa Campioni 1972 dove Crujiff fa letteralmente ammattire un giovanissimo Oriali o il 6 a 0 al Milan nella Supercoppa europea 1973.
Il Generale va al Barcelona, è il 1971, il franchismo è al tramonto ma il dominio calcistico delle squadre madrilene no. Rinus esporta in Catalunya il suo modo di intendere il fútbol e i risultati alla lunga si vedono. Ci vorranno due anni e l’arrivo di Crujff, ma poi sarà grande spettacolo, con una data simbolo, 17 febbraio 1974, Real Madrid 0 Barcelona 5 con un Santiago Bernabeu ammutolito e un gol spettacolare del Paper d’Oro.
La prima metà degli anni Settanta è forse il culmine della carriera da manager di Rinus, Nel 1975 tornerà all’Ajax per una sola stagione, nel 1976 ancora sulla panchina blaugrana per due annate nelle quali vincerà una Copa del Rey (1978); l’anno seguente se ne andrà nella NASL, l’antenata della MLS, anche in quell’occasione per una sola stagione. Nel 1980 il Generale torna in Europa, al Colonia, quattro stagioni e una Coppa di Germania. Dopo quell’esperienza ce ne sarà solo un’altra in un club, stagione 1988-1989 sempre in Germania, al Bayer di Leverkusen anche qui senza lasciare il segno.
L’altro grande amore della carriera calcistica di Michels è stata la nazionale olandese che il Generale ha guidato a più riprese, tra il 1974 e il 1992. La prima volta è stata alla vigilia dei Mondiali di Germania del 1974 quando la Federazione olandese lo ingaggiò nel marzo di quell’anno, a qualificazione già ottenuta. Per l’Olanda è la seconda partecipazione e francamente non è tra le favorite, ma i ragazzi guidati da Rinus avanzano abbastanza agevolmente, 2 a 0 con l’Uruguay (doppio Rep), 0 a 0 con la Spezie e poi 4 a 1 con la Bulgaria con Johan Neeskens in cattedra. Nel secondo girone la nazionale guidata dal Generale affonda prima la corazzata argentina per 4 a 0 (grandi Crujff e Neeskens), poi la piccola DDR (2 a 0) e infine il Brasile di Pelè annichilito da un gioco improponibile per la cultura e la tradizione calcistica dei verdeoro abituati a correre poco e a far correre molto la palla, L’Olanda è in finale.
La squadra è costruita a immagine e somiglianza dell’Ajax totale, la filosofia è la stessa, un 4-3-3 molto duttile, un gioco dai ritmi forsennati e fondato sulla versatilità dei suoi interpreti, che era la quintessenza del calcio offensivo ma che garantiva anche grande copertura difensiva dovuta all’eccezionale preparazione fisica dei giocatori; gli interpreti singoli sono di classe mondiale, Crujff Neeskens Rep Rensenbrinck sono tra i migliori giocatori dell’epoca che uniscono alle doti fisiche quelle abilità tecniche necessarie per il tipo di gioco della squadra.
Ma c’è una componente imprevista che si frappone tra l’Olanda e il titolo monsiale. Michels, così attento alle dinamiche motivazionali e psicologiche della squadra, si rende conto che il trionfale cammino degli Orange ha scatenato una convinzione di sé eccessiva e pericolosa, avendone già in buona dote naturalmente i suoi giocatori. Il gol segnato dopo 1′ su rigore, dopo quindici passaggi, con la Germania che non tocca mai il pallone, fa perdere il senso della realtà alla squadra. «E poi ci scordammo di segnare il secondo gol» ammise dopo Rep. Sarà la sconfitta della presunzione più che del calcio totale, perché quello ormai ha abbagliato gli occhi degli spettatori e non sarebbe stato più dimenticato.
Con la sconfitta Michels lascia la guida della nazionale, la ritroverà dieci anni dopo, nel 1984 per un solo anno, poi per un biennio tra il 1986 e il 1988. Sarà un’altra grande avventura, un’avventura che porterà Rinus al primo ( e unico) successo con gli arancioni, in Germania al Campionato Europeo. Non è più il calcio totale ma il gruppo su cui l’allenatore può contare è eccelso, il trio olandese del Milan Van Basten-Gullit-Rijkaard costruisce l’ossatura di quella rosa, completata da ottimi elementi come Ronald Koeman, Wouters o Van’t Schip e da un buon portiere come Van Breukelen. Il cammino verso la vittoria è tortuoso e l’Olanda arrivando seconda nel girone deve incontrare in semifinale i padroni di casa.
E’ una partita equilibrata, segna Matthaeus al 10′ della ripresa, Koeman, pareggia al 27′ e poi Van Basten risolve a due minuti dalla fine con il suo quarto gol della manifestazione, l’antipasto della finale. Avversari i sovietici che hanno strappato proprio agli Orange il primo posto del girone eliminatorio e che in semifinale hanno liquidato in 4 minuti l’Italia di Vicini. Il match è a senso unico, i russi hanno un ottimo gruppo (Mikhailichenko, Protassov, Dasaev) ma gli Orange sono superiori a livello tecnico e tattico ma soprattutto la nazionale neerlandese ha un giocatore unico, fenomenale che in quella finale segnerà un gol di rara bellezza, un tiro al volo sul cross dalla sinistra, una parabole bellissima, dipinta con Dasaev immobile.
Come suo solito Michels lascia dopo una grande manifestazione, tornerà alla guida della sua nazionale nel 1990 dopo il Mondiale conducendo il gruppo fino a Svezia 1992. L’Olanda è ancora tra le favorite insieme ai tedeschi, il girone un po’ li favorisce, la Scozia non è temibile, la CSI che sostituisce l’URRS non è all’altezza della rappresentativa di quattro anni prima. La semifinale contro i danesi per il tecnico olandese è una partita a scacchi, il campo sancisce il pari e si va ai rigori, segnano tutti ma sbaglia chi generalmente non sbaglia mai: Marco Van Basten. Gli Orange escono e il Generale si ritira. L’allenatore di Amsterdam non accetterà più nessun incarico.
Nel 1999 la Fifa lo elegge “Allenatore del Secolo”, un titolo che altri potevano pretendere a maggior ragione, in tanti più di un coach che in fondo aveva vinto solo una Coppa dei Campioni nel 1971 e un Campionato Europeo nel 1988. Ma l’esplosione del calcio olandese agli inizi degli anni ’70, quel mescolare talento, anticonvenzionalità e disciplina, quell’aderire allo spirito del tempo – una squadra di capelloni che giocava con la filosofia collettiva di una comune hippy – è stata pensata, promossa, guidata, portata a maturazione da questo gentiluomo con la mascella dura e i capelli da marine. Una rivoluzione che inventò l’Olanda come un paese di grande football, che definì un nuovo tipo di gioco, il «calcio totale», e che sradicò abitudini e concezioni dell’allenare, dell’impiego dei giocatori in campo, della preparazione delle gare.
Michels morirà nell’aprile 2005 a 77 anni ad Aalst, in Belgio, dove era stato operato in precedenza per problemi di cuore.