SERIE A 1938/39: BOLOGNA

I rossoblù, orfani di Arpad Weisz, conquistano il quinto scudetto davanti ad un sorprendente Liguria. In coda il quoziente reti condanna Livorno e Lucchese.

Riassunto del Campionato

Il campionato vede una novità tra le squadre classiche: il Milano, che cambia nome da Milan per volere del Regime. Nonostante abbia acquistato molti giocatori, non riesce a brillare. L’Ambrosiana invece ha grandi ambizioni e rinforza la rosa con il ritorno di Demaria dall’Argentina. Il Liguria parte forte e si mette in testa dopo due sconfitte del Bologna. Resta primo da solo alla settima giornata, poi viene raggiunto e superato dal Torino alla dodicesima. Il Bologna si riprende e inizia una striscia positiva di 19 partite: a metà stagione, il 22 gennaio, è primo a pari punti con il Liguria sorpresa.

Poi i rossoblù accelerano e staccano i genovesi, che lasciano spazio al recupero di Ambrosiana e Torino. Con due giornate di anticipo Puricelli e compagni conquistano lo scudetto, il Torino arriva secondo. In fondo alla classifica, si usa per la prima volta il quoziente reti (i gol fatti divisi per quelli subiti) e la regola condanna a retrocedere Livorno e Lucchese, salvando invece la Triestina, tra qualche polemica.

Quell’ombra sul trionfo

L’oro del terzo titolo nazionale del Bologna in quattro anni risuona di un’eco triste. Il grande artefice della squadra, che ne ha creato le basi e disegnato la struttura, non può godersi l’ultimo successo. Arpad Weisz è un allenatore di livello, come ha già dimostrato alla guida dell’Ambrosiana, ma ha un difetto imperdonabile per quei tempi: è ebreo. Così, per una semplice questione di ascendenza, si può condannare a morte un uomo.

Weisz allestisce nell’estate del 1938 la sua squadra formidabile, scegliendo i giocatori giusti, poi a fine ottobre scompare improvvisamente dalla scena. Espulso dall’Italia in base alle leggi razziali del Regime, diventa subito un fantasma per le cronache sportive allineate, che smettono di citarlo. Un giorno, molto lontano, si scoprirà che l’esilio ha portato il tecnico ungherese a Parigi e in Olanda, prima della fine tragica con la famiglia in un campo di sterminio nazista.

A succedergli il presidente Renato Dall’Ara chiama una vecchia conoscenza, l’austriaco Hermann Felsner, protagonista del primo decennio glorioso rossoblù negli anni Venti. Felsner lascia il Milano e la sua situazione poco felice per tornare in un ambiente che conosce bene e guidare il gruppo con mano ferma fino alla conquista del quinto scudetto. Un trionfo frutto della perfetta campagna acquisti, che porta il grande centravanti atteso dai tempi dell’addio di Schiavio, l’uruguaiano Puricelli che vince subito la classifica marcatori, di un giovane terzino di alto livello, il ravennate Ricci, e di due interni di solida esperienza, Andreoli dalla Lucchese e Marchese dalla Sanremese. La formazione è solida e ricca di talento, pur in un campionato che non brilla per qualità.

Davanti al veterano Ceresoli, che trova in Pietro Ferrari un’ottima alternativa nel finale di stagione, l’assenza per grave infortunio di Fiorini provoca qualche difficoltà iniziale, per poi risolversi con l’affermazione del “nuovo” Ricci, difensore di stile pari alla efficacia negli interventi, perfetto complemento del sicuro Fagotto. La mediana si basa sulla classe di Andreolo, affiancato sui lati dai classici Montesanto e Corsi, con valide alternative negli altri titolari Maini e Marchese.

Il quintetto d’attacco sfiora la perfezione: galvanizzato dal Mondiale, Biavati è la migliore ala del torneo e sui suoi cross perfetti l’abilità nel gioco aereo di Puricelli produce effetti devastanti nelle difese avversarie. La fantasia è garantita dai due interni uruguaiani, gli artisti Sansone e Fedullo, mentre l’altro attaccante, Reguzzoni, è la spalla ideale dell’uruguaiano, con le sue veementi incursioni.

Gli antenati di Vialli e Mancini

Il nome Liguria fa parte di quella varietà di denominazioni che caratterizza la storia della squadra di Sampierdarena, una tradizione consolidata. Dopo la fusione tra Sampierdarenese e Doria nel 1927, con il nome di Dominante, si passa a Liguria nel 1930 e poi di nuovo a Sampierdarenese nel 1932. Nel 1937 il presidente Nicola Mojo, responsabile del personale dell’Ansaldo, decide di giustificare il sostegno della grande acciaieria nata a Sampierdarena ma ormai diffusa a Sestri e Cornigliano riprendendo la denominazione, meno circoscritta geograficamente, di Liguria.

La squadra è abituata a salvarsi per un soffio, ma il nuovo allenatore, l’ex campione granata Baloncieri, avvia un progetto ambizioso, che dopo una salvezza tranquilla presenta all’inizio del torneo 1938-39 una squadra profondamente rinnovata in estate e di grande livello. In porta c’è l’esperto Profumo, con alle spalle il campione olimpico Venturini; a difendere l’area Bodini II e Piazza, con Spivach a dirigere il gioco e i laterali Callegari e Malatesta a occupare le fasce. La linea d’attacco non ha uno sfondatore, ma è agile ed efficace, con l’ala Spinola e l’interno brasiliano Gabardo su tutti; il centravanti di manovra, Bollano o Zandali, e l’esterno sinistro Peretti completano un gruppo che infiamma la prima parte del torneo, chiudendola in testa in parità col Bologna. E poi, a causa di una certa sterilità offensiva, finisce un po’ in difficoltà al quinto posto, piazzamento comunque oltre ogni ottimistica previsione.

La nuova Juve in… sciopero

Dopo la buona stagione 1937-38, in cui ha vinto la Coppa Italia e ha lottato fino alla fine per lo scudetto, la Juventus sembra pronta per il riscatto. La squadra ha mostrato segnali interessanti, grazie all’integrazione tra i veterani del quinquennio e i giovani del vivaio. Tuttavia, la stagione si rivela presto deludente, come un animale che non riesce a uscire dal guscio.

È il riflesso di una situazione ormai consolidata. Non a caso il barone Mazzonis sta vivendo gli ultimi momenti da dirigente bianconero, mentre i suoi criteri di gestione, basati sul rigore economico, sono inadeguati in un calcio che sta crescendo rapidamente in termini finanziari. Questo dettaglio è così importante da privare la squadra per lungo tempo di uno dei suoi punti di forza, il coriaceo Rava, terzino campione del mondo e protagonista insieme al collega Foni di una coppia leggendaria in bianconero e in Nazionale. Rava fino all’anno prima riceveva ancora lo stipendio da riserva, cioè da ragazzo cresciuto nel vivaio, 500 lire al mese. Dopo aver vinto il Mondiale, chiede qualcosa di più, ma la società glielo nega. Il suo carattere schivo ma spigoloso ne risente e, dopo una serie di partite giocate apposta sottotono, culmina nello “sciopero” nella seconda gara di ritorno, contro il Modena, quando all’intervallo al barone Mazzonis che gli chiede maggiore impegno, risponde togliendosi le scarpe e sibilando un crudo e significativo: «Giochi lei!».

E il problema è che se alla Juve si toglie la difesa d’acciaio non resta molto altro. L’allenatore Rosetta si ritrova tra l’incudine e il martello e mette Rava fuori rosa (ricomparirà in formazione solo in due occasioni) con il plauso di una critica severa e moralista. Ma intanto la squadra, in cui brilla ancora solo a tratti il talento offensivo di Gabetto e fa gli ultimi pesanti passi agonistici il trentottenne gladiatore Monti, deve accontentarsi del piccolo cabotaggio. Chiude all’ottavo posto finale, che fotografa bene la crisi epocale bianconera dopo i fasti del leggendario, indimenticabile quinquennio.

Proposta indecente, tutti puniti

La lotta per la salvezza è drammatica. Triestina (23 punti prima dell’ultima giornata), Livorno e Lucchese (22 punti ciascuna) si giocano il tutto per tutto tra permanenza in serie A e retrocessione in serie B. La Triestina deve affrontare la Juventus in trasferta, il Livorno sfida il Genova in casa e la Lucchese riceve il Liguria. Ma a decidere le sorti delle squadre è il quozientereti, criterio introdotto per la prima volta per risolvere eventuali situazioni di parità.

Qualche giorno prima della decisiva domenica, succede il fattaccio: Niccolai, ex giocatore della Triestina e ora tesserato per il Livorno, contatta il portiere della Triestina Tricarico, offrendogli una somma di denaro se sarà indulgente nel… subire gol per favorire il Livorno. Il portiere rifiuta e denuncia il tentativo di corruzione al suo club e alla polizia, che avviano le indagini insieme alla Federcalcio.

Sul campo, la Triestina si salva pareggiando 1-1 a Torino, il Livorno vince 1-0 contro il Genova (ma gli sarebbe servito almeno il 2-0), la Lucchese batte 3-1 il Liguria senza esito. Retrocedono le due toscane in attesa del verdetto sul caso. Che si rivela clamoroso: Niccolai squalificato a vita, Livorno assolto per insufficienza di prove, Lucchese multata per il comunicato emesso dopo lo scandalo e Triestina ugualmente sanzionata con mille lire di ammenda «per aver dato pubblicità al fatto»! Il Regime non tollera chi disturba la quiete operosa del popolo.

Il ritorno del grande fuggiasco

Un meritato omaggio a un campione spesso sottovalutato è il successo dell’Ambrosiana in Coppa Italia, che nobilita la stagione del grande ritorno di Attilio Demaria. Una di quelle colonne che sostengono l’architettura della squadra per tanto tempo da diventare irrinunciabili. Per questo nell’estate del 1938 i dirigenti nerazzurri, freschi di scudetto, si impegnano per riportare a casa il figliol prodigo, partito due anni prima per ragioni estranee al calcio.

Demaria era “nato” all’Inter per caso, quando la sua squadra, il Gimnasia y Esgrima di La Plata, aveva giocato un’amichevole all’Arena di Milano con l’Ambrosiana il 15 marzo 1931. Tra gli argentini Demaria aveva colpito i nerazzurri per la sobria efficacia del suo gioco, che mostrava una classe pura senza esibizioni narcisistiche, al servizio della manovra collettiva. Il colpo di fulmine aveva portato all’ingaggio in fretta e furia: impossibile per il club sudamericano rifiutare la ricca offerta e impedire al giocatore di accettare un ingaggio favoloso rispetto a quello percepito in patria.

E mai decisione lampo fu così azzeccata. Attilio (o Atilio, secondo alcune varianti spagnole) aveva allora 22 anni, ma dimostrava una maturità precoce, che gli consentì di entrare subito nel “cuore” della squadra, come interno completo. Uomo d’attacco, per l’abilità negli inserimenti in area testimoniata dal numero di reti segnate nelle sue stagioni italiane, ma anche e soprattutto cardine della manovra, per la vocazione a cucire il gioco, tenere insieme i reparti, collegare difesa e attacco, dare qualità a ogni azione della squadra.

Dopo cinque stagioni nerazzurre, con otto presenze in Nazionale come “oriundo”, Demaria era stato spaventato da un possibile coinvolgimento personale nella guerra del Regime e, meno drammaticamente dei romanisti Guaita, Scopelli e Stagnaro, aveva deciso di tornare in patria, all’Estudiantes. Il suo richiamo in Italia, due anni dopo, non delude le aspettative. Con l’Ambrosiana Demaria vince la Coppa Italia, meritando il rapido ritorno in Nazionale. Per una brillante carriera in nerazzurro che durerà ancora a lungo, fino alla sospensione bellica del 1943.

Boffi-Puricelli: pari tra le polemiche

La sfida per il titolo di capocannoniere si conclude all’ultimo respiro del campionato, con i due contendenti a pari merito, tra le proteste. A Bologna sostengono: il vincitore è Hector Puricelli, perché il… pareggio in extremis (sia nella partita con il Modena che nello scontro diretto con il rossoblù) dell’avversario Aldo Boffi è frutto di una deviazione decisiva, quindi un autogol, del difensore modenese Vignolini. Da Milano il gruppo rossonero replica che se si vuole essere pignoli anche Puricelli ha un gol illegittimo, quello realizzato con l’aiuto di una mano a Bari.

Quello che non si discute, è la qualità dei due protagonisti, destinati anche nelle stagioni successive a dominare la classifica dei marcatori. L’uruguaiano è stato il fattore determinante per il ritorno del Bologna al tricolore, incarnando il centravanti potente e acrobatico che la fluida qualità del gioco felsineo richiedeva per raggiungere il massimo dell’efficacia. Ventidue anni, fisico imponente, Puricelli arriva dal River Plate Montevideo e porta con sé un carattere allegro che gli permette di evitare elegantemente ogni problema di ambientamento.

Meno esotiche le origini di Aldo Boffi, formidabile bomber di Giussano, provincia di Milano, emerso tra i dilettanti del Seregno e già esploso alla seconda stagione di Milan. Al terzo tentativo, a ventiquattro anni, fa il vuoto grazie a un tiro devastante che riassume la sintetica essenzialità del suo gioco. Un vero predatore di gol.


Classifica Finale

SquadraPtiVNPGFGS
BOLOGNA42161045331
TORINO38141064534
AMBROSIANA3714975537
GENOVA3514795330
ROMA31143133935
LIGURIA31127113534
NAPOLI31101193035
JUVENTUS2981392834
MILANO28108123634
LAZIO28116133340
BARI2799123346
NOVARA2698132732
MODENA2589133240
TRIESTINA24710132328
LIVORNO2496154049
LUCCHESE24710133154
Campione d’Italia BOLOGNA
Vincitrice Coppa Italia AMBROSIANA
Retrocesse in serie B LIVORNO e LUCCHESE
Qualificate in Coppa Europa BOLOGNA e AMBROSIANA

Classifica Marcatori

RetiGiocatore
19Boffi (Milano), Puricelli (Bologna)
14Lazzaretti (Genova)
13Michelini (Roma)
11Gaddoni (Torino), Scarabello (Genova), Viani V. (Livorno)
10Dugini (Bari), Ferraris P. (Ambrosiana), Frossi (Ambrosiana), Gabetto (Juventus), Morselli (Genova), Trevisan (Triestina)
9Campatelli (Ambrosiana), Piola (Lazio)