PIOLA Silvio: il sesto senso del gol

Silvio Piola, il massimo goleador italiano, una delle leggende del calcio eroico praticato a cavallo della Seconda Guerra Mondiale: il calcio, per intenderci, di Giuseppe Meazza, di Valentino Mazzola e del grande Torino. Esordisce in serie A con la bianca casacca della Pro Vercelli nel 1930 e appende le scarpette al chiodo nel 1954, mentre ancora milita nella massima divisione difendendo i colori del Novara. In mezzo, nove stagioni indimenticabili nella Lazio, il campionato di guerra in maglia granata e anche due stagioni nelle fila della Juventus. E poi un rapporto unico e profondo con la Nazionale del “commendator” Vittorio Pozzo, una Coppa del Mondo (1938) vinta a suon di gol e numerosissimi record, tra cui quello di maggior realizzatore di sempre (quasi quattrocento gol in partite ufficiali, trecento dei quali solo in campionato) e di maggior marcatore in una sola partita (sei reti, eguagliato successivamente solo da Omar Sivori).

Ma la storia di Silvio Piola non si comprenderebbe solo con i numeri, senza andare a fondo nella personalità di un’atleta e di un uomo schivo e riservato, ma innamorato del pallone fino alla fine dei suoi giorni, una professionista esemplare proprio perché rimasto fedele tutta la vita – dice Antonio Ghirelli nella prefazione al volume “Silvio Piola, il senso del gol” – “alla morale sobria, limpida e schietta della sua gente, alla visione profonda e ingenua della vita così tipica della provincia piemontese di allora (e forse anche di oggi), con un’ombra di prudenza e di rispetto del denaro che non è taccagneria ma piuttosto serietà, e deriva da una storia laboriosa”.
Con questo bagaglio, e con una vita fatta di regolarità e di cura maniacale della propria preparazione fisica, Piola può indossare, a 22 anni dal suo esordio in serie A con la Pro Vercelli, per l’ultima volta la maglia azzurra della Nazionale a Firenze, il 18 mggio 1952, contro la temutissima Inghilterra, richiamato a gran voce da mezza Italia, tifosi, cronisti, addetti ai lavori, che lo identificano ancora come il bomber per eccellenza, l’ancora di salvezza per ogni ricostruzione calcistica.

Piola sedicenne con la maglia della Pro Vercelli

La sua ampia parabola umana era partita nell’anno 1913, quando la Pro Vercelli dominava il calcio italiano e i racconti delle imprese di un manipolo di eroi uscivano dai rettangoli di gioco per volare sulle rogge e sulle risaie, toccando cascine e osterie, piazze, salotti, mercati e officine, contribuendo ad abbattere le barriere di classe e manifestando, per una volta, la superiorità della provincia nei confronti delle grandi città. Sono gli anni del mitico quadrilatero Vercelli, Casale, Alessandria e Novara, che si contendono il primato della serie A insieme a Torino e Juventus, Milan e Genoa. Ben nove giocatori della Pro Vercelli giocano in Nazionale, il football sta lentamente trasformandosi da sport dilettantistico, seppur eroico, in sport professionistico.

Questo l’ambiente calcistico in cui nasce Piola, da una famiglia di commercianti di tessuti (il fratello Serafino diverrà segretario comunale a Vercelli), alla quale rimarrà legato profondamente tutta la vita. Silvio comincia a giocare nella selezione giovanile vercellese “Veloces” (insieme agli amici e compagni di una vita Depetrini e Pietro Ferraris) proprio quando la Pro mette in bacheca gli ultimi due scudetti della sua storia, anni ’21 e ’22, e ospita addirittura una partita contro gli inglesi del Liverpool, maestri del calcio mondiale (una partita che finisce in parità).

La prima doppietta di Piola con i colori della Pro e la conquista del posto da titolare avvengono invece in Francia, in occasione di un 3-2 dei piemontesi sul campo del Red Star Olympique, protagonista del massimo campionato transalpino. Il nome di Piola, a Vercelli, è già sulla bocca di tutti. Il tecnico che ne capirà il talento e ne valorizzerà le doti sarà il conte ungherese Joszef Nagy, allenatore della Pro Vercelli: Piola, dicono gli esperti, si porterà dietro tutta la vita gli insegnamenti, la lezione di stile e l’elegante riservatezza di questo nobile magiaro finito ad occuparsi di sport in Italia con importanti successi.

Di una cosa, però, gli intenditori di calcio si accorgono subito: Piola è un giocatore moderno, modernissimo. Predilige giocare spalle alla porta (cosa allora assolutamente inconsueta), attraverso combinazioni aeree, ama andarsi a cercare direttamente la palla, difenderla, smistarla, cosa che gli procurerà anche qualche problema con alcuni allenatori, convinti che Silvio sia destinato a giocare dietro la linea degli attaccanti di sfondamento. È certo, però, che un Piola bomber, regista, ala, rapinatore di palloni, assistito da un fisico eccellente e in continuo progresso tecnico, rappresenta un nuovo modello di giocatore, pronto al grande balzo di una carriera luminosa, cosa di cui si rende presto conto anche il Commissario Unico delle Nazionali azzurre Vittorio Pozzo, che lo fa esordire in maglia azzurra il 2 aprile 1933 in Svizzera.

Con la Lazio ben 9 anni, dal 1934 al 1943

Silvio ama la sua terra, qui ha la sua famiglia, adora rilassarsi nel tempo libero cacciando e pescando, camminando per le vie di Vercelli con gli amici di sempre. Ci vogliono addirittura le pressioni della politica, e dello stesso partito fascista, perché egli prenda in considerazione l’ipotesi di cambiare squadra e città. La scelta cadrà su Roma, sulla società Lazio: giocando con la maglia biancocelste Piola metterà a punto la sua famosa rovesciata, poi imitata in tutto il mondo. Ma l’esordio in una nuova realtà non è facile. È piuttosto la Nazionale a caricare Silvio, e la possibilità di giocare con il più grande calciatore del momento, il mitico Peppino Meazza, un mito del football italico.

I due comporranno una coppia d’attacco fenomenale, per la gioia di Vittorio Pozzo: un tandem che regalerà all’Italia la seconda Coppa del Mondo consecutiva, insieme alle giocate di Ferrari, di Foni e Rava, di Serantoni, di Andreolo, di Locatelli, di Biavati, di Colaussi, alle parate di Olivieri. Pozzo, da piemontese concreto, guarda ai gol, e Piola è l’uomo giusto per quel compito. Il 3 marzo 1940, quando l’Europa è già precipitata nel gorgo di una tremenda guerra, Silvio Piola indossa per la prima volta la fascia di capitano, dopo l’abbandono del grande Meazza. Ma le partite delle selezioni nazionali saranno pochissime, e diversi campioni europei troveranno la morte proprio al fronte. Poche luci in mezzo a tante ombre: Platzer, portiere della Nazionale austriaca, di stanza a Vercelli con un’unità tedesca, cercherà per giorni Silvio Piola per poterlo rivedere e abbracciare ancora una volta e trovare un volto amico in mezzo allo scempio della guerra.

A me – ricorderà Silvio – quell’incontro ha detto tanto cose e che gli uomini possono rimanere amici anche in clima di guerra. La nostra stretta di mano su un campo di calcio era stata più forte di tutti i cannoni”.
A Vittorio Pozzo, ancora una volta, il compito di riorganizzare il calcio italiano durante il tempo di guerra, quando il Paese è diviso in due, e nel nord Italia (Piola è tornato nella sua Vercelli) si organizza il campionato di guerra che vedrà Silvio militare nelle file granata del Torino Fiat, con i futuri campioni che comporranno il mosaico del grande Torino (Mazzola, Ossola, Loik, Gabetto) e l’amico e collega di sempre Pietro Ferraris.

Con la Juventus due stagioni, dal 1945 al 1947

Poi due stagioni alla Juve e il simbolico passaggio di consegne con una promessa di origine novarese, quel Giampiero Boniperti che farà la storia del club bianconero. L’ultima società che beneficerà dell’apporto di Silvio sarà il Novara, caduto in serie B proprio per mano del Piola laziale prima della guerra, e dal campione vercellese riportato in A dopo una sola stagione, a suon di gol, come sempre. Sotto la cupola di San Gaudenzio, chiamati da Piola, l’amico Pietro Ferraris, l’esperto e roccioso difensore Rava, e poi un giovane calciatore argentino, Bruno Pesaola, detto “el petisso” (il piccoletto), destinato poi a rimanere per molto tempo nel cuore dei tifosi partenopei, dopo aver spiccato il volo dalla città piemontese verso il capoluogo campano. Sempre concentrato, professionista impeccabile, e anche, dal 1948, sposato con una ragazza vercellese, Alda Ghiano, Piola chiude nel 1954 una carriera piena di gol, di record, e di soddisfazioni.

Unico rammarico lo scudetto, sfiorato ma mai raggiunto dal campione, neppure nella sua permanenza a Torino. Dopo l’abbandono dei campi da gioco qualche anno da allenatore, da dirigente della Figc e soprattutto da direttore delle Scuole Calcio della Federazione. Una vita intera dedicata al pallone.

Piola artista artigiano del calcio, sostiene la figlia Paola, psicologa dello sport: “Ha saputo coltivare le sue doti come un artigiano, piallandole e intagliando le sue capacità con meticolosa cura e amorevole abnegazione”.
Il senso del gol, la dote principe del grande Silvio, non è solo qualcosa di attribuibile al suo fiuto calcistico, ma è la sintesi dei valori impliciti al gioco del calcio che Piola ha incarnato e che esprime al meglio egli stesso nei suoi appunti privati:
Il calcio è una disciplina difficile, ma tutti possono giocarlo! È un gioco vario ed emozionante, arricchisce l’idee, la fantasia, le decisioni devono essere immediate. Nel confronto agonistico si misura la propria forza, stimola l’amor proprio. Si corrono dei rischi, ci si può far male, quindi comporta coraggio. È un gioco educativo. Ci sono sconfitte e vittorie, riuscire a superare un insuccesso rafforza il carattere e favorisce l’autocontrollo della persona; superare un’ingiustizia, non farsi giustizia, servirà nella vita!.

Testo di Lorenzo Proverbio