Storie segrete: “Mexit” 1986

Attraverso i giornali dell’epoca, ecco uno spietato reportage sulla fallimentare spedizione degli Azzurri campioni del mondo in carica, usciti di scena già al primo turno.

Dove e quando è cominciato il fallimento mondiale dell’Italia a Messico 1986? A fine aprile, al momento della scelta definitiva dei ventidue azzurri? O dal 2 al 10 maggio, nel ritiro di Roccaraso quando attorno al pettine della nazionale si sono aggrovigliati i primi nodi? O il 15 maggio, giorno del (turbolento) arrivo a Città di Messico? O al «Meson del Angel», nelle due settimane di alienante attesa del debutto con la Bulgaria? O quando si è capito che, sia a livello di rapporti tra lo staff tecnico e Sordillo, sia sul piano della cementazione dei legami tra un azzurro e l’altro, qualcosa, anzi, molto, non funzionava proprio?

La storia di quel lontano Mundial, per l’Italia finito martedì 17 giugno 1986, è una storia a doppio livello. Una storia facile, di risultati: dopo il pareggio con la Bulgaria, il pareggio con l’Argentina e la vittoria sulla Corea del Sud, la nazionale del c.t. Bearzot è approdata agli ottavi di finale dove ha incontrato la Francia e dalla Francia è stata sconfitta.
E’ una storia segreta. Che è quella che adesso cerchiamo di ricostruire.

Parte 1: Fra gaffes e liti Rossi sorrideva

L’Italia sbarca nel caotico aeroporto internazionale di Città di Messico nel tardo pomeriggio di giovedì 15 maggio 1986. I fotografi che riescono per un istante ad arrivare a distanza di flash dagli azzurri prima che questi fuggano rapidamente verso Puebla dribblando la rituale, programmata conferenza stampa, ritraggono un Rossi ancora sorridente e spavaldo: Bearzot gli ha garantito «sarai ancora un protagonista» e lui non immagina che c’è un siluro in arrivo. Ritraggono due portieri già stressati, Galli e Tancredi: non è stata ancora operata la scelta del titolare e Galli e Tancredi, prima ancora dell’impatto con la «Meson del Angel», hanno già consumato ogni energia nervosa. Ritraggono un Bearzot stanco per il lungo viaggio ma soprattutto pensieroso per tutti i dubbi che lo macerano: è praticamente la prima volta che il c.t. arriva a un mondiale senza avere deciso che squadra mandare in campo. Ritraggono due dirigenti, uno impettito (l’addetto alla squadra azzurra Carlo De Gaudio), uno afflitto (il capo delegazione Ugo Cestani): da anni i due non vanno d’accordo.

E ritraggono anche, sulla pista dell’aeroporto, in attesa che la delegazione italiana scenda dal jumbo dell’Alitalia, un personaggio che pochi conoscono ma al quale Bearzot ha affidato un ruolo importante: il ruolo di “attaché”. Il personaggio si chiama Antonio Quadrini, è un italiano che ha fatto i miliardi in Messico e che prova un sottile piacere nell’esibire la sua ricchezza: scorrazza gli amici sui suoi aerei personali; li ospita nelle sue principesche ville di Acapulco. Quadrini, però, è subito al centro del primo doppio caso: la mancata partecipazione dell’Italia alla conferenza stampa («Sono arrivati i campioni del mondo della maleducazione» scriveranno poi i giornali messicani creando antipatia attorno alla squadra azzurra) e l’imbarazzante sequestro dei viveri, spaghetti, riso, olio, grana… Quadrini procurerà poi altri problemi alla nazionale per il suo dettar legge in ritiro, allontanando così tutti gli altri italiani del Messico che avrebbero potuto dare una mano alla delegazione.

Arrivati a Puebla, che cosa trovano infatti i ventidue azzurri? Un albergo magari senza suite holliwoodiane, ma isolato e sorvegliato in modo ossessionante dalla polizia: agenti sui tetti, ai bordi della piscina, in cucina e, di notte, nei corridoi dove si affacciano le camerette. Che ci siano di mezzo minacce di attentati, pensa qualche azzurro? I timori, che aumentano di giorno in giorno e raggiungeranno vette parossistiche in occasione del grottesco balletto degli equivoci sulle “porte chiuse” per il test-match Italia-Guatemala, si accompagnano alla noia.

Ogni permesso è vietato. Gli azzurri si sentono segregati e, sottovoce, si lamentano quando vengono a sapere che colleghi di altre nazionali hanno sistemato mogli e fidanzate in alberghi vicini a quelli del ritiro e un paio di volte alla settimana hanno la possibilità di distrarsi per qualche ora. E si meravigliano quando un pomeriggio vedono arrivare al «Meson del Angel» nientemeno che Michel Platini, il fuoriclasse che poi dolcemente e con senso della misura li eliminerà dal Mundial. Anche Platini, come gli altri francesi, spesso è lasciato libero dal c.t. Michel di prendersi brevi vacanze.

Al «Meson del Angel» alcune ragazze comunque occhieggiano dalle abitazioni vicine, finendo poi per fraternizzare con qualche azzurro. Solo tre donne hanno però ufficialmente il permesso di entrare in ritiro: una fiorentina che cura l’immagine di Ugo Cestani; un’americana che si occupa di problemi inerenti alle sponsorizzazioni; la contessina Grimaldi, stipendiata dalla federazione, che come segretaria-interprete accompagna il Presidente della FIGC Federico Sordillo quando il presidente della Federazione da Città di Messico raggiunge Puebla per guardare in cagnesco De Gaudio e portare faticosamente avanti, con la commissione interna della squadra, le trattative per i (lussuosi) premi e la diaria.

Una quarta donna, nonostante la sua volontà, ha ricevuto da De Gaudio il divieto di varcare il cancello del ritiro nonostante la Figc la stipendi: è la dottoressa Simonetta Cattozzo, addetto stampa della federazione. «Torno in Italia, mi si impedisce di compiere il mio lavoro» si dispera ogni giorno la dottoressa, la cui pazienza però resisterà fino al termine dell’avventura.

Prima e dopo l’amichevole col Guatemala, giocata infine a porte semichiuse e resa interessante solo dalle prodezze di Altobelli, dalla sostituzione di Rossi con Galderisi e dalle confortanti prestazioni dei due giovani Vialli e De Napoli, nel ritiro azzurro si continua intanto a parlare pochissimo di formazione, tecnica e tattica, e a parlare moltissimo dei problemi inerenti all’altura. Sembra quasi che la squadra non la debba fare Bearzot ma il professor Leonardo Vecchiet. I giornalisti stranieri che seguono quotidianamente l’Italia a volte si meravigliano dei lunghi e dotti discorsi che circolano. «Siamo capitati in un ritiro calcistico o in un congresso scientifico?».

Vecchiet ha un aiutante, il dottor Resina. Bearzot ha tre collaboratori (tutti futuri CT): Cesare Maldini, Dino Zoff e Azeglio Vicini. Quest’ultimo, del quale si parla come del più probabile nuovo commissario tecnico della nazionale), è un aiutante aggregato. E’ poco gradito: da anni è in aperto dissidio con Bearzot e il suo gruppo e ha rapporti inesistenti con Maldini e Zoff. Ogni tanto viene spedito a spiare gli allenamenti delle altre squadre del girone italiano o a vedere partite.

Incompatibilità ancora più netta, se possibile. esiste tra i due «federali» che vivono sotto lo stesso tetto della nazionale. De Gaudio come addetto agli azzurri si arroga ogni compito e ogni potere e Cestani, teoricamente di grado più alto e non solo perché capo-delegazione, si sente espropriato di ogni responsabilità. Ogni pomeriggio alle 18 assiste alle conferenze stampa di Bearzot e De Gaudio con l’espressione della vittima. Fa sapere di non poterne più, di non condividere moltissime cose, minaccia di rilasciare dichiarazioni di fuoco e di abbandonare «El Meson del Angel» ma non si decide mai ad esplodere. E si consola soltanto quando in ritiro arriva Sordillo. Si consola perché finalmente si sente importante: il presidente della federazione parla solo con lui e non con De Gaudio, al quale anzi fa commettere delle gaffe. Anche i rapporti tra Sordillo e Bearzot sono gelidi ed è il colmo che il presidente della federazione debba sentirsi a disagio, non in casa propria, quando è in visita alla nazionale.

Nonostante ogni giorno di vigilia del debutto con la Bulgaria sia imbottito di discorsi, disquisizioni e problemi inerenti all’altura, tanto da creare una vera e propria sindrome-altura, comincia tra i giocatori a serpeggiare il nervosismo per la precarietà della situazione-squadra. Chi giocherà? E’ vero o falso che Bearzot stia pensando a relegare in panchina qualche «mostro sacro»? L’insicurezza genera stress.

Sordillo dopo la sconfitta contro la Francia dichiarerà: «Si è rotta la famiglia azzurra. A Puebla non c’era l’armonia di quattro anni fa in Spagna. Ho osservato gruppi divisi per età e per clan di appartenenza». Torniamo al «Meson del Angel», in prossimità della partita inaugurale. E gettiamo un’occhiata al panorama azzurro. Rossi vive da isolato, Galli bada ai fatti suoi, preoccupato per l’esito del braccio di ferro con Tancredi. Il «clan romanista» mugugna: è annoiato e scontento Nela; non è tranquillo Bruno Conti perché Bearzot non perde occasione per magnificare le doti tecniche e agonistiche di Vialli; è depresso
Tancredi (ha capito che il c.t. pende dalla parte di Galli); è insicuro al massimo Ancelotti. Gli interisti Zenga e Bergomi continuano a procurare problemi a Bearzot per la loro disinvolta loquacità (dall’Italia il presidente nerazzurro Pellegrini si lamenta: «I capi della nazionale non potrebbero frenare le intemperanze dei giocatori?».

Solo apparente è dunque la calma. E comunque il confronto con lo stesso periodo del 1982, ritiro di Vigo, è positivo. Sotto sotto, però, cova l’insoddisfazione. E covano i timori di non essere all’altezza del ruolo di campioni del mondo. Il più moralmente in crisi è Carlo Ancelotti, centrocampista della Roma. Ogni giorno che passa diminuisce la sua sicurezza. Sente sussurri, più che grida, ma questi sussurri bastano a metterlo in ansia. Le voci lo danno per fuori forma e poco considerato da Bearzot. Deve intervenire lo stesso Bearzot per tranquillizzarlo. Il c.t. dice a Maldini, durante l’ultima partitella in famiglia prima del trasferimento a Città di Messico per l’incontro con i misteriosi bulgari: «Parla tu con Ancelotti, digli di stare tranquillo e di non sentirsi in discussione: la maglia di titolare tanto è sua», Maldini esegue e Ancelotti per qualche istante si rasserena.

Anche Paolo Rossi, che i giornalisti messicani continuano a intervistare e a considerare l’uomo-chiave dell’Italia, nonostante le perplessità che continuano a sollevare i suoi stanchi movimenti in campo, a un certo momento non dubita più. Il professor Vecchiet ha parlato tanto bene delle sue condizioni fisiche che nessuna brutta sorpresa può ormai essere messa anche teoricamente in preventivo. E così la nazionale il 29 maggio lascia il ritiro di Puebla per recarsi a Città di Messico per preparare la sfida con la Bulgaria finalmente lieta, dopo tanta noia e tanti problemini, di poter muovere le gambe.

Lo staff italiano, intanto, ha deciso per una deviazione del pullman. Prima di arrivare nella capitale, è opportuno recarsi al santuario della Vergine di Guadalupe. Foto sui giornali e servizi televisivi degli azzurri in visita al santuario, tanto amato dai messicani. potrebbero indurre i padroni di casa a dimenticare le gaffe commesse dalla nazionale (vedi conferenza stampa disertata…) e a guardare con occhio più benevolo gli italiani.

Italia-Bulgaria è finalmente vicinissima. Il 30 maggio, alla vigilia, gli azzurri si allenano allo stadio Azteca e alle 12 locali Enzo Bearzot si presenta davanti a circa duecento giornalisti per comunicare la formazione con la quale i campioni del Mondo apriranno il Mundial 1986. In porta giocherà Galli e non Tancredi. Ancelotti, dopo avere ricevuto tante assicurazioni, non andrà nemmeno in panchina. «De Napoli è un ragazzo che non conosce il significato della parola emozione, in campo si farà valere» dice Bearzot. E Rossi? Il popolare Pablito, l’eroe di Spagna, il giocatore che Vecchiet aveva garantito abile e arruolato, diventa la riserva delle riserve di Galderisi.

Un giornale messicano della sera spara a tutta pagina: «Rossi liquidato». L’Italia si appresta a scendere in campo nella partita numero 1 del Mundial con una formazione mai sperimentata in precedenza.

Parte 2: Quando Bearzot voltò le spalle a Sordillo

Enzo Bearzot è da quattro giorni chiuso in casa a riflettere. Come aveva già detto in aereo, tornando da Città di Messico a Milano, sta valutando forse ancora il peso negativo che sull’eliminazione degli azzurri dal Mundial ha avuto il pareggio contro la Bulgaria. Se nella partita inaugurale del 31 maggio all’Azteca, l’Italia avesse evitato il beffardo 1-1, sarebbe magari arrivata prima nel Gruppo 1 e anziché incontrare la Francia negli ottavi di finale, avrebbe affrontato il più abbordabile Uruguay. E allora chissà…

La prima delusione mondiale gli azzurri la ricevono proprio all’Azteca: il gol di Sirakov a Galli dopo i fischi del pubblico agli azzurri, gettano nella costernazione l’ambiente. La squadra ha giocato meglio del previsto, Altobelli è stato grande, almeno cinque le palle-gol sprecate. Ma se non vinciamo nemmeno quando meritiamo, vuol dire che lo «stellone» non ci protegge più, pensa qualche giocatore. Bearzot è di cattivo umore. Cominciano i processi a Galli. Rossi ammette di aver quasi suggerito a Bearzot la sua esclusione dalla nazionale (e qualcuno si domanda: ma un Pablito che si tira spontaneamente fuori mischia non è un Pablito finito?). Ancelotti si chiude in un triste mutismo. Giuseppe Baresi si chiede come mai la sua candidatura è rientrata nelle ultimissime ore precedenti la partita.

Il «caso Baresi» è quasi un giallo. Due giorni prima di Italia-Bulgaria. dall’ambiente azzurro era uscita una soffiata: Ancelotti non gioca, al suo posto scenderà in campo Baresi e non De Napoli e neanche Tardelli. Lo stesso c.t. ad un amico alloggiato a Città di Messico aveva sussurrato: «Sto pensando di impiegare Baresi». Invece poi aveva giocato De Napoli. Come mai? Si sprecano le interpretazioni. Una circola con insistenza: Bearzot ha messo volutamente in giro il nome di Baresi per cercare di scoprire l’informatore di un gruppo di giornalisti.

La realtà romanzesca ormai è di casa al «Meson del Angel». Dove, in attesa della seconda partita, quella con l’Argentina, continua il dibattito dei «reclusi» sulle norme troppo rigide che regolano la vita nel ritiro. Ad esempio, è arrivata a Puebla la signora Letizia Bagni ma suo marito non riesce a ottenere il permesso di andarla a trovare. In compenso il mediano del Napoli ottiene il permesso di accompagnarsi al suo collega partenopeo Maradona nella sfida ormai imminente con i sudamericani.

Per Bearzot è lui il marcatore ideale. Bagni accetta con entusiasmo. Ma non mancano i maliziosi rilievi su questa designazione: la scelta di Bagni non rappresenta un altro messaggio di non belligeranza agli argentini? Alla formazione di Bilardo un pareggio starebbe bene, un punto farebbe comodo anche all’Italia — come non si stanca di ripetere lo stesso Bearzot – e dunque… «facciamo il pareggio e non la guerra» titola il «Corriere della Sera» un servizio sull’incontro di Puebla.

E, nel pomeriggio del 5 giugno allo stadio Cuauhtemoc, pareggio è. Un pareggio fischiatissimo dai messicani e poco apprezzato anche dai telespettatori italiani, molti dei quali si sentono presi in giro. C’è molto imbarazzo nel clan azzurro che poi si deve scandalizzare quando dal clan argentino parte un siluro di grosse proporzioni: alcuni giocatori italiani, a cominciare da Scirea, in campo ci invitavano a diminuire l’impegno, a non mettere in discussione il pareggio che si andava profilando, rivela Garré e conferma Brown.

Bearzot fa l’indignato. E’ già seccatissimo, il c.t., per la «rivolta» di Bruno Conti, un suo «figlio adorato», è uscito dal campo adiratissimo prendendo a calci una bottiglia e facendo gestacci, dopo la sostituzione con Vialli. Molti hanno interpretato la scenataccia di Conti come un sintomo di sgretolamento della famiglia azzurra. «Conti come Chinaglia» ha giustamente scritto qualcuno e l’accostamento fra i due episodi ha ferito Bearzot. Si è parlato anche di una furiosa lite, negli spogliatoi, dopo Italia-Argentina, tra Conti e il c.t. Lite continuata poi, in nottata, al «Meson del Angel»: è dovuto intervenire Marco Tardelli per far firmare un armistizio tra Bearzot e l’inviperito attaccante giallorosso, minacciato persino di espulsione dal ritiro (particolare, questo, però poi seccamente smentito).

Già alle prese col problema-Conti, Bearzot, dunque, prende malissimo le «rivelazioni» argentine sulle accorate richieste degli azzurri di far terminare la partita in parità. Ma tra una smentita e l’altra, un urlo e un pugno sul tavolo, anche Bearzot (involontariamente?) riesce a creare un giallo. Insinua l’allenatore friulano: «Questa cosa non è nata nell’ambiente argentino. E’ stata creata attorno al team Italia». Che cos’è, una accusa a qualche personaggio azzurro? C’è forse in atto una congiura tendente a screditare Bearzot (magari per poterlo poi allontanare)?

Manca solo un Borgia con qualche fialetta di veleno in tasca, e poi il quadro è completo. De Gaudio, dirigente federale addetto alla squadra azzurra, non riesce a interpretare il «messaggio» di Bearzot. Sordillo è lontano 130 chilometri. E’ sempre a Città di Messico, anche lui perplesso sulla mezz’ora finale di Italia-Argentina («La melina finale non è piaciuta neanche a me», così a botta calda Sordillo aveva commentato il pareggio con i sudamericani. E, come vedremo, questo commento procurerà un altro incidente diplomatico). Il giallo si risolve dopo poche ore quando Bearzot chiarisce la frase sibillina. Team Italia nel senso di giornalisti: sarebbe stato uno di questi, secondo il c.t., a indurre gli argentini ad accusare Scirea e C. E tutto per gettare discredito sulla nazionale.

Nazionale che mette sotto processo Galli per la papera sul gol di Maradona e comincia a domandarsi se davvero non sia stata esagerata la portata dell’effetto-altura. La televisione fa entrare anche al «Meson del Angel» le immagini delle altre partite del Mundial. Quasi tutte le squadre, a cominciare da quella coreana, corrono per novanta minuti, perché noi non dovremmo essere capaci di fare la stessa cosa? Il più spregiudicato nel dire questo è Nela. E il professor Vecchiet si arrabbia. Anche Azeglio Vicini dichiara: «Io non ho mai creduto a queste storie sull’altura». Vicini, ormai, è all’opposizione in tutto. Bearzot, Maldini e Zoff lo considerano sempre più un intruso che un collaboratore.

Il discorso sul ritmo e sulla condizione atletica della squadra è d’attualità soprattutto perché è vicinissima la decisiva partita con i coreani. Divampa la «psicosi gialla». L’Italia, per qualificarsi agli ottavi di finale del Mundial, deve almeno pareggiare con gli asiatici ma il compito non appare agevole: i coreani corrono come dei pazzi, come tutti hanno potuto notare nella partita da loro pareggiata contro la Bulgaria. E se si ripetesse la tragedia calcistica del 1966?

No, la storia risparmia all’Italia del pallone un’altra vergogna: grazie soprattutto ad Altobelli, e nonostante la defaillance di una difesa che non riesce proprio a ritrovare in Scirea e Cabrini i capisaldi «spagnoli», la squadra azzurra batte per 3 a 2 gli asiatici e si qualifica per gli ottavi di finale contro la Francia di Platini. Bearzot, in vista della sfida con i fortissimi transalpini, inizia a battere la grancassa della «formula tragica». Sospetta la bocciatura e critica il meccanismo dell’eliminazione diretta.

Anche i giocatori sono insicuri, tremolanti. Galli, che è riuscito a prendere due gol anche dai coreani, è sempre sotto processo e sempre più in crisi. Bearzot medita di sostituirlo con Tancredi ma Zoff gli sussurra in un orecchio: «Sono stato portiere ed ho esperienza. Credi a me, Enzo, un portiere stando in panchina si scarica psicologicamente. Se metti Tancredi e Tancredi sbaglia partita con la Francia, tutti daranno la colpa a te». Lo stesso Zoff, però, nutre qualche rancore verso Galli. E’ stato lui a suggerire a Bearzot, prima del debutto con la Bulgaria, di preferire il fiorentino al romanista. E Galli non ha ricambiato tanta fiducia. Tra Bearzot, Zoff e Galli c’è insomma elettricità. C’è anche un litigio? Quando qualcuno avanza questa ipotesi, scoppia un altro finimondo. «Basta inventare le notizie!» urla Bearzot minacciando un altro silenzio-stampa.

Hanno finalmente goduto, i giocatori azzurri, di una intera giornata di libertà dopo la qualificazione raggiunta e, nonostante la paura della Francia, si nota finalmente qualche sorriso nel ritiro alla periferia di Puebla. Si è allentata anche la vigilanza. Meno poliziotti col mitra sia in albergo sia al campo d’allenamento. La preparazione non si svolge più a porte chiuse. Il pubblico schiamazza festoso sulla tribunetta. Chi ha deciso finalmente di far accedere la gente? Un funzionario azzurro che si era accorto di una cosa: qualcuno, al campo, entrava lo stesso, dopo aver allungato una mancia ai malleabili custodi. Per stroncare la speculazione, meglio quindi concedere l’accesso a tutti…

Con i giocatori a spasso con le mogli, il ritiro azzurro sembra irreale. Finalmente un po’ di pace, di serenità? Magari. Arriva Sordillo per brindare, con Bearzot e i giornalisti, al superamento del primo turno e scoppia un nuovo caso. Bearzot sta tenendo la quotidiana conferenza-stampa. Vede entrare il presidente federale, cioè chi lo stipendia, dalla porta e di scatto si alza dalla sedia per abbandonare la sala. «La parte tecnica è finita» brontola. Sordillo rimane per un istante impietrito. Poi De Gaudio riesce a ripescare per la coda della giacca il c.t. e il brindisi si svolge in un clima di incredibile freddezza.

Forse Bearzot non è riuscito a digerire la dichiarazione di Sordillo relativa all’evanescente finale della partita Italia-Argentina. Anche dopo qualche ora il commissario tecnico della nazionale ribadisce di essere ormai in guerra aperta con il presidente federale. C’è un pranzo al «Meson del Angel», ospite la stampa italiana, e Bearzot non si presenta. Sordillo è imbarazzatissimo. De Gaudio si mette alla caccia dello scomparso e finalmente riesce a trovarlo. Ma Bearzot è irremovibile: non ha nessuna intenzione di partecipare al pranzo. Che infatti si svolge senza c.t.

E la partita con la Francia? Tra liti, capricci e problemi (rissa in campo BagniGalderisi, Tardelli abbandona l’allenamento…), naturalmente si pensa anche a quella. E ci si pensa con terrore. Il misero 3 a 2 con la Corea ha fatto riaffiorare mille perplessità. Vale la pena di confermare la stessa squadra? Galli offre ancora garanzie? Non sarebbe il caso di sostituire Di Gennaro con Baresi? Vialli non è forse meglio di Galderisi? A tre giorni dalla decisiva sfida con i transalpini sono sette le formazioni azzurre che si possono ipotizzare. E Platini, come riferiscono i colleghi transalpini, nel ritiro francese se la ride…

Parte 3: «Vi bastano 20 milioni per battere Platini?»

L’Italia ha cominciato a perdere la sfida decisiva contro la Francia dopo 13′ di partita, quando Platini ha infilato Galli per la prima volta, o durante i tremebondi giorni di vigilia? Probabilmente la rete di Platini, il raddoppio di Stopyra, l’agevole dominio tecnico e tattico dei transalpini e la resa senza condizioni degli azzurri non sono nati nell’afoso pomeriggio del 17 giugno, ma nelle tante ore di incertezza, paura, dubbi, ripensamenti che hanno preceduto la partita degli ottavi di finale.

Ancora tre giorni prima di Francia-Italia, Bearzot è alle prese con una margherita dai mille petali. Chi faccio giocare? Ci sono tutti i sintomi della paura. Il c.t. non fa che ripetere che il centrocampo dei transalpini è il più forte del mondo e che, dunque, qualcosa va studiato per cercare di mettere rigide briglie a Platini e Tigana, Fernandez e Giresse. Neanche a Sordillo l’allenatore confida di aver già deciso di snaturare la squadra, gettando a mare il regista Di Gennaro.

Sordillo arriva di nascosto al «Meson del Angel» non per sapere in anteprima la formazione ma per tentare di definire con gli azzurri il premio in caso di vittoria sulla Francia. Venti milioni a testa vanno bene? Si tratta e poi Sordillo riscappa a Città di Messico.

Intanto Bearzot ha già deciso di sostituire Di Gennaro con Baresi — che Platini da
tre giorni aveva previsto di trovarsi di fronte — ma in attesa di annunciare ufficialmente questa (discutibilissima) scelta, (cosa che farà soltanto alla vigilia dell’incontro) sta vagliando un problema psicologicamente fondamentale. Se l’Italia perderà con la Francia da Città di Messico dovrà partire per Milano. Ma facendo i bagagli e portando questi bagagli nella capitale messicana, non si darebbe l’impressione ai giocatori moralmente più fragili che l’ambiente considera probabilissima l’eliminazione?

Diventa un rompicapo anche quella che dovrebbe essere la decisione logistica più semplice. Alla fine si opta per una machiavellica soluzione: si lasciano le valigie a Puebla; se passeremo il turno torneremo comunque a Puebla prima di trasferirci a Guadalajara; se la Francia ci eliminerà, ripasseremo comunque al «Meson del Angela per liberare il ritiro.

In campo si verifica l’ipotesi numero 2. Alle spalle della tribuna stampa ci sono circa trecento italiani residenti in Messico che all’inizio fanno un tifo d’inferno e poi, quando si profila la débàcle, cominciano a lanciare urla di scherno all’indirizzo dei giocatori. «Italia al aereopuerto» gridano alla fine, quasi in lacrime, quando il destino si compie. Baresi, l’uomo messo alle costole di Platini, non è stato capace di contrastare il numero 10 e meno male che il francese ad un certo momento non ha voluto infierire. Nella ripresa, è sceso in campo Di Gennaro, il bocciato della vigilia, ma neanche il mea culpa tattico di Bearzot ha migliorato una situazione ormai compromessa.

Dopo la partita è tristissimo, quasi patetico, il panorama che si presenta agli occhi di chi ha l’occasione di entrare all’Holiday Inn di Città di Messico dove la nazionale consuma un frugale pranzo. Alcuni giocatori sono a tavola con le mogli. Non si sente volare una mosca. Tardelli se la prende con chi ha scritto che negli ultimi allenamenti ha fatto i capricci; Bearzot tiene conferenza stampa in una sala; Sordillo parla nel giardino dell’albergo (e poi se ne andrà dimenticandosi quasi di salutare il c.t.).

Bearzot si assume ogni responsabilità dell’eliminazione. E, virilmente, fa capire che se la Federazione lo desidera lui è disposto a stracciare il contratto quadriennale che ha sottoscritto il 13 maggio (e che prevede o la conferma della carica di c.t. o quella di supervisore).

Tristissimo è anche il viaggio in pullman fino a Puebla e angoscioso il ritorno, sempre in pullman (il giorno dopo) a Città di Messico, questa volta con valigie al seguito. L’ultima notte nella capitale prima dell’imbarco è una specie di crudele veglia. Non riesce a dormire quasi nessuno, e non solo perché ad un certo momento si sentono le urla di Bearzot e De Gaudio (una litigata per motivi ignoti).

L’imbarco è fissato per le 9 di giovedì 19 giugno. Tutti insieme in aereo fino a New York; poi i romani si imbarcheranno per la capitale e i nordisti per la Malpensa. A New York, Bearzot bacia Conti e stringe la mano a Nela, Tancredi, Ancelotti e De Napoli. In sala d’attesa Bearzot riesce a sorridere solo quando un gruppo di italo-statunitensi lo festeggia. «Siamo sempre con lei mister». De Gaudio, che sa di essere alla sua ultima trasferta come «tutore» della nazionale, cerca di tenersi su di morale, «In Italia potrebbero aspettarci di nuovo con i pomodori? Se è così, si sarebbe trovato un sistema per smaltire le eccedenze, come vuole la Cee».

Ma nessuno sembra preoccupatissimo per l’imminente impatto con chi ha vissuto in patria il fallimento mondiale. E’ nelle 8 ore di volo verso la Malpensa che il club azzurro si fa un’idea più precisa della situazione. Tutta colpa dell’efficientissimo servizio Alitalia. Sui giornali
freschissimi, Bearzot e gli azzurri leggono capi d’accusa, processi, richieste di epurazioni, pesanti ironie. No, in Italia non è stata presa bene la sconfitta contro la Francia.

Enzo Bearzot è in prima classe, con Carlo De Gaudio. I tre suoi collaboratori — Maldini, Zoff e Vicini — e i diciassette giocatori nordisti, in «turistica». Qualcuno guarda distrattamente il film («Il gioiello del Nilo»). C’è chi legge. Pochi riescono ad appisolarsi. E sembrano tristi, sconcertate, deluse anche le signore al seguito: le mogli di Bagni. Altobelli. Galli. Cabrini … In quanti saranno alla Malpensa, si chiede un azzurro?

Maldini, Zoff e Vicini, nell’oscurità, sono svegli, distantissimi l’uno dall’altro. Il più sorridente, anzi l’unico, è Azeglio Vicini. Lui non si sente minimamente responsabile del fallimentare esito della spedizione: può immaginare, addirittura, di ricavare dei vantaggi dalla brusca eliminazione. Gli stessi pensieri non possono invece averli Zoff e Maldini. Una eventuale nomina di Vicini a c.t. significherebbe la loro estromissione dallo staff.

E’ mattina quando l’aereo tocca terra alla Malpensa. I giocatori scrutano dai finestrini e si compiacciono nel notare che sulla terrazza dell’aerostazione non c’è nessuno. Non sanno che la polizia ha vietato ai tifosi l’accesso al corpo centrale della Malpensa. Meglio comunque far scendere per primi i passeggeri normali e i giornalisti, in coda la squadra. E’ Bearzot il primo degli ultimi ad affacciarsi allo sportello e a percorrere gli scalini.

Non succede niente nemmeno quando la squadra, ritirati i bagagli, si avvia verso Milano. Nessun pomodoro (giustissimo). Nessun insulto (fortunatamente). Si conclude così tra l’indifferenza generale il romanzo dell’avventura messicana della squadra azzurra.