Tre uomini e una porta

Quando Zenga fece da spettatore alla commedia di Galli e Tancredi: l’indecisione di Bearzot forse accelerò l’amaro epilogo degli azzurri a Messico 1986

Come Perzy la Nazionale”, fu il titolo, scarsamente profetico, di un quotidiano del pomeriggio (febbraio 1985) nell’annunciare che Walter Zenga, vanamente cercato dai giannizzeri di Bearzot perché impegnato in un dolce week end, per punizione non sarebbe più stato inserito nel giro azzurro. Il portiere dell’Inter, lasciata la Pinetina e la moglie dalla quale viveva separato, se n’era andato con la ragazza del momento, la bionda e affascinante ventinovenne presentatrice televisiva Marina Perzy.

Bearzot, che al tempo lo cercava per rimpiazzare l’infortunato Giovanni Galli, andò così a bussare a Ivano Bordon, che andò in Irlanda come vice di Tancredi con la vaga promessa di un posto in Messico. In realtà poi proprio Walter Zenga fu costretto ad assistere al dramma di Tancredi e Galli, impegnati in una commedia della quale il regista Bearzot non riusciva a trovare un degno epilogo. Mentre il ct sfogliava la margherita, i due portieri si maceravano per la tensione e intanto la navicella azzurra finiva per affondare.

Così la Gazzetta dello Sport del 14 giugno 1986

Ricorda Giovanni Galli:

«Durante la notte mi svegliavo preso da un incubo. Chissà, mi chiedevo, se il mister mi farà giocare. Se finisco in panchina, torno a casa, mi dicevo ma non so se l’avrei fatto. Fu un’esperienza tremenda, avevo il morale sotto i piedi, persi addirittura cinque chili per la tensione. Penso che se Bearzot avesse gestito meglio il problema, l’ambiente esterno avrebbe assunto un atteggiamento diverso. Così era fin troppo facile dare a me la colpa di tutto; sappiamo benissimo che i colpevoli furono altri. Io sono responsabile di quel gol balordo di Maradona, ma fu un errore ininfluente tanto è vero che passammo al turno successivo. Il vero dramma fu la sconfitta con la Francia, quel 2 a 0 che non può essere addebitato al sottoscritto».

E Tancredi?

«Stavo in panchina a guardare. Prima dei mondiali avevo avuto certe assicurazioni, non mi aspettavo di restare in disparte. Accettai le decisioni di Bearzot con la massima disciplina ma è indubbio che non fui contento. La scelta andava fatta prima del via, non durante i campionati».

I cronisti che si presentavano al «Fortino» di Puebla dov’era in ritiro l’Italia parlavano con tutti fuorché con Giovanni Galli. Lo vedevano dal giardino attraverso i vetri della finestra intento a leggere o a guardare la tv: cercavano vanamente di attirare la sua attenzione ma il toscano non aveva voglia di parlare, si sentiva continuamente sotto processo.

«E non ebbi mai un avvocato difensore. Cosa potevo dire se non cercare di fare il mio dovere quando giocavo?».

Il giovane Zenga, allora venticinquenne e terzo portiere, era l’unico che aveva voglia di sorridere, di scherzare. Raccontava agli inviati dei giornali:

«Quante cose mi sta insegnando Zoff, non avrei mai immaginato che potesse sapere tanti trucchi del mestiere».

E parava, parava, era sicuramente il più in forma dei tre ma Bearzot non ebbe mai il coraggio di tagliare corto, di utilizzare quello scavezzacollo per il quale era stato impropriamente scritto: «Come Perzy la Nazionale». Forse qualcosa sarebbe cambiato, sicuramente Giovanni Galli non sarebbe tornato a casa col morale a pezzi e Tancredi non si sarebbe sentito tradito.

Forse l’Italia avrebbe fatto un ulteriore passo avanti e lo stesso Bearzot non sarebbe rientrato in Italia con un’immagine più sbiadita rispetto a quattro anni prima, dovendo poi lasciare con un grosso cruccio: «E se avessi utilizzato subito quel discolo di Zenga invece di fare quel pasticciaccio?». Neppure i posteri potranno dargli una parola di conforto: rimarrà un punto interrogativo che non si potrà mai cancellare.

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