THURAM Lilian: il ministro della difesa

Intelligenza tattica, sicurezza ed eleganza: storia di uno dei difensori più forti e affidabili a cavallo degli anni duemila

La Guadalupa è un paradiso naturale la cui prima cosa che vedi quando ti svegli la mattina è lo splendido mare caraibico delle Piccole Antille. Se però cresci in una casa appoggiata su un camion, con quattro fratelli e una madre che si fa in quattro per mandare avanti la famiglia dopo che il padre ha tagliato l’angolo quando ancora i pargoli avevano la bocca sporca di latte, il paradiso naturale lascia il tempo che trova. È questa la realtà in cui Lilian Thuram ha vissuto i suoi primi anni di vita. Lui però si è sempre fiutato però di definire disagiata la sua infanzia a Point-à-Pitre, dove è nato il primo gennaio 1972 («Fui il primo bambino dell’isola a venire alla luce in quell’anno. I giornali e le televisioni presero d’assalto la nostra casa»), si trovava bene, aveva parecchi amici e faceva le cose che fanno i bambini di tutto il mondo.

Quando Lilian ha soli otto anni la madre Christiane vola in Francia, a Parigi, a fare le pulizie nelle case dei vip del rinomato quartiere del “16° arrondissement” per mettere da parte il denaro necessario a far emigrare tutta la famiglia. Nel 1981 Thuram, che ha 9 anni, arriva in Francia, a Bois Colombe, dove rimane per un solo anno e fa conoscenza con la neve. Lilian è un bambino gracile, magrissimo, tanto che i suoi amici cominciano a chiamarlo “jambes d’allumettes” (gambe di fiammifero). A ripensarlo adulto, così statuario giganteggiare al centro della difesa, sembra di parlare di un’altra persona.

Ben prima del calcio il suo cuore aveva iniziato a pulsare per l’atletica fin da quando, all’età di otto anni, aveva ricevuto dalla Francia in regalo da sua madre una canottiera blu da maratoneta. In quel momento pensò che la corsa sui 42,195 km sarebbe diventata la sua specialità preferita, salvo ricredersi quando a Fontainbleu, il paese che accolse la famiglia quando Lilian aveva 10 anni, ruzzolò in un campo di patate nel corso di una corsa scolastica fra le risatine ironiche dei compagni.
Archiviata senza troppi rimpianti la parentesi atletica, Thuram decide di dedicarsi al calcio cominciando a giocare nella squadra del suo quartiere di Fontainebleu formata in gran parte da portoghesi (Portugais il suo nome). La giovane formazione indossava maglie bianconere, tanto che gli avversari la chiamavano Juventus. Quando si dice il destino… Lilian è però un ragazzo con la testa ben ancorata sulle spalle, più maturo della sua età, un adolescente che ha già superato più d’un ostacolo dell’esistenza, a cominciare dalla mancanza del padre e dalle responsabilità che ha già dovuto fronteggiare fin da bambino. A scuola è il primo della classe, si applica con profitto nello studio, vuole dare un futuro migliore alla sua famiglia.

E a Fontainebleu scopre la vocazione per il sacerdozio: in Guadalupa aveva visto all’opera i preti, identificati sull’isola come le figure capaci di instradare le persone lungo il giusto cammino, e in Francia aveva cominciato a frequentare la chiesa meditando anche l’entrata in seminario. Un giorno però arriva la dura scoperta: i preti non possono sposarsi né avere figli. Per Lilian è un mezzo shock e la tonaca viene malinconicamente riposta in un cassetto. Nel frattempo le sue gesta nella formazione dei portoghesi non passano inosservate agli occhi dei talent scout del Fontainebleu che decidono di portarlo al loro centro di formazione. A sedici anni Thuram passa ai cadetti nazionali del Melun, dove rimane per un anno prima del rientro nella squadra che lo ha lanciato. È il 1988, passano due anni e durante un torneo fra squadre giovanili il Monaco nota quel giovane difensore di colore capace di scatti repentini e recuperi formidabili in chiusura sull’avversario di turno.

Un giovanissimo Thuram con la maglia del Monaco

Scatta immediatamente l’offerta e Thuram firma il contratto con la formazione del Principato, dove trova un allenatore che sarà anche una sorta di guida spirituale: Arsene Wenger. Il futuro tecnico dell’Arsenal aveva già avuto a che fare con formazioni juniores ed era abituato a trattare con i giovani. Sotto la sua ala protettrice Lilian matura definitivamente, in campo e fuori. Il passaggio dalla provincia a una delle società più importanti di Francia non cambia il carattere del figlio della Guadalupa, un ragazzo a tutto tondo che continua a mostrare interesse per lo studio (si iscrive alla facoltà di Scienze Economiche), per la lettura, la storia dell’arte, la musica classica e il jazz. Come non bastasse, per via di problemi alla vista, Lilian indossa fuori dal campo un paio di occhialini rotondi (in partita usa le lenti a contatto) che gli conferiscono un’aria da intellettuale.

Debutta nel campionato francese contro il Tolone il 24 maggio del 1991, a 19 anni, e rimane al Monaco per altre cinque stagioni durante le quali si ritrova come allenatore anche quel Jean Tigana che era stato l’idolo del giovane Lilian ai tempi in cui il futuro difensore più forte del mondo si destreggiava come centrocampista. Il suo ruolino di marcia con i monegaschi parla di 155 presenze, 8 reti e una Coppa di Francia messa in carniere nel 1990-91. Si cominciano a scomodare paragoni importanti, si parla del nuovo Tresor; anche il Ct della Nazionale francese Aimé Jacquet non rimane insensibile di fronte alle gesta del caraibico e lo fa esordire con la maglia dei galletti nel febbraio del 1994. Lo stesso anno in cui si comincia a parlare con insistenza dell’approdo di Thuram in Italia. La Fiorentina sembra a un passo dall’assicurarselo, il francese si incontra anche con Antognoni ma l’affare salta misteriosamente. Il contatto successivo è con la Juventus, ma nell’estate del 1996 è il Parma ad aggiudicarsi il talento della Guadalupa. La città emiliana, il suo clima soft, la tranquillità introvabile in una metropoli come Milano, Torino o Roma, sembra fatta su misura per Lilian, un ragazzo che non ama la luce dei riflettori, una persona vera, mai banale e molto intelligente. I dubbi sul suo conto vengono immediatamente spazzati via dopo le prime recite sul palcoscenico della Serie A.

L’ambizioso Parma di Calisto Tanzi è ormai pronto a dare la caccia allo scudetto contro le big tradizionali del campionato. Nella prima stagione emiliana del francese, i gialloblù arrivano secondi alle spalle della Juventus, al termine di una lotta appassionante nella quale si distinguono le difese delle contendenti formate da due delle migliori coppie del mondo: Ferrara-Montero, sulla sponda bianconera, Thuram-Cannavaro per i parmigiani. La seconda stagione di Thuram è nuovamente di alto livello e sfocia nel Mondiale di Francia a cui la formazione di casa si presenta con grandi speranze. Nella semifinale contro la Croazia i transalpini vanno sotto di un gol a inizio ripresa e tutta la nazione comincia a tremare. Tutti aspettano che Zidane si prenda la squadra sulle spalle e la conduca fuori dalle secche, invece, a sorpresa, compare Thuram che mette a segno una doppietta. Il secondo gol, con un perfetto tiro a girare di sinistro («Di solito quando tiro con quel piede la palla finisce in tribuna» rivelerà a fine partita), manda la Francia in finale tra il tripudio generale di una folla impazzita che invade le strade parigine proponendo addirittura per il difensore del Parma una candidatura presidenziale. La felicità di Thuram viene però turbata da un’intervista televisiva rilasciata dal padre, Joseph Lother, nella natia Pointe-à-Pitre in cui l’uomo, peraltro con una discreta dose di faccia tosta, si dice orgoglioso del figlio. «Ci ha voltato le spalle che eravamo ragazzini, ora indossa la mia maglia e si sente un eroe perché si considera mio padre», questo il commento aspro del campione, reincontratosi con il genitore per la prima volta nel 1996 («Per me è un uomo come tutti gli altri. Non basta essere padre, bisogna esserlo per tutta la vita»).

In finale la Francia farà poi un sol boccone del Brasile, grazie alla doppietta di Zidane e si isserà sul tetto del mondo, facendo il bis due anni dopo nell’Europeo di Belgio e Olanda a spese dell’Italia nella famosa finale del golden gol di David Trezeguet. Tra le due conquiste, nell’estate del 1999 dopo la partenza di Veron verso la Lazio, Thuram espone il suo desiderio di giocare per una grande platea («Ho voglia di provare altre emozioni: giocare, per esempio, davanti a 80.000 spettatori. Per non avere rimpianti a fine carriera»), in una squadra che possa consentirgli di conseguire quegli importanti successi che non è ancora riuscito a ottenere con i club in cui ha giocato. Sembra avviato verso l’Inter, ma il Parma non cede nonostante i tifosi si leghino al dito quella dichiarazione del francese fischiandolo nelle prime uscite stagionali.

Nell’estate 2001 arriva l’annuncio del passaggio alla Juve per una settantina di miliardi, più un ingaggio di circa dieci miliardi l’anno per cinque stagioni. Lascia il Parma dopo cinque anni in cui ha conquistato una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana e approda così alla corte della Vecchia Signora, prima pietra del rinnovamento dei bianconeri, partito dal ritorno di Marcello Lippi. Il francese, che ormai va per i trenta anni, ha tutto per fare benissimo, ma l’avvio di stagione sconta qualche problema di ambientamento ed anche qualche equivoco tattico. Lilian ha trascorsi polivalenti, da centrale nel Parma e da laterale destro nella Nazionale francese. Lippi cerca di convincerlo che, con le sue doti di progressione e con il palleggio che si ritrova, può diventare incontenibile sulla fascia destra, se lascia ad altri di presidiare il centro dell’area.

L’operazione, sul piano psicologico, non è semplicissima, anche perché la Juventus al primo approccio stecca qualche gara e si ritrova nel gruppo che insegue. Ma a Brescia, la vigilia di Natale, il meccanismo prende improvvisamente a funzionare al meglio; le sgroppate di Lilian ed i suoi cross diventano l’arma in più di una squadra che ormai ha imboccato la strada giusta. Thuram, senza perdere nulla della grinta e del tempismo che lo hanno reso tra i difensori più forti del mondo, acquista la consapevolezza di essere devastante ogni volta che, palla al piede, percorre a passo di carica la corsia di destra, saltando come birilli gli avversari e dettando ai compagni l’appostamento giusto per finalizzare il proprio lavoro.

I risultati sono splendidi; lo scudetto 2001/02 passa anche attraverso la sua maturazione tattica, che nella stagione in corso lo porta a giocare a livelli ancora più alti. Negli occhi e nel cuore di tutti la fantastica notte di Juventus – Milan, in cui ha la gioia, rara per lui e quindi ancor più goduta, di segnare un goal a coronamento della galoppata più entusiasmante che si ricordi. Con la maglia della Juventus, Thuram riesce a vincere quello scudetto che aveva sfiorato a Parma; anzi, di scudetti ne porta a casa ben quattro, diventando ben presto una delle colonne della difesa bianconera, in coppia con Cannavaro, arrivato anche lui dal Parma. Intelligenza tattica, sicurezza ed eleganza lo rendono in quegli anni tra i difensori più forti e affidabili del mondo.

Il 21 luglio 2006 il sogno finisce. La Juve è in ginocchio dopo la bufera Calciopoli ed è costretta a mettere all’asta tutti i suoi pezzi migliori. Il francese insieme a Gianluca Zambrotta finisce a Barcellona. Mentre la barca affonda, Thuram è tra quelli che salta per primo. “Calciopoli? E’ normale la dura presa di posizione assunta dalla giustizia sportiva nei confronti della Juventus“, dichiara. E ancora più tardi: “Juventus? Chi? Che cos’è?“.

Il sogno finisce non solo per la Juve ma anche per Thuram. In azulgrana i fasti di Torino sono ricordi lontani. Il francese gioca poco, chiuso da Puyol e Marquez. Racimolerà solo una quarantina di presenze nel biennio in Catalogna.
Nel 2008 mentre è in procinto di trasferirsi al Psg gli viene diagnosticata una patologia al cuore. Si teme sia la stessa malformazione che anni prima aveva ucciso suo fratello, giocatore di basket. Gli esami rivelano un problema diverso, di minore entità ma Thuram, ormai trentaseienne, non vuole rischiare e dice addio al calcio.