“Per fermarlo bisognerebbe sparagli”, disse Miguel Angel Lotina, l’allenatore del Logrones a cui Ronaldo aveva appena segnato 2 gol. Tecnica e potenza a velocità supersonica: per due anni, dal 1996 al 1998, Ronie è stato immarcabile, “Fenomeno “Inumano ” ed “E. T. ” Il Barcellona, l’Inter e il Re al Madrid hanno beneficiato delle sue qualità. Col Brasile è diventato capocannoniere del mondiale, vincendone due. Così alla fine, più dei difensori, a fermarlo sono state le ginocchia
A fine Ottocento re Doni Pedro III ordinò la costruzione della ferrovia e in un attimo, a ridosso delle rotaie, come cuccioli attorno a una cagna, si raccolsero disordinati gruppi di case, scatole a un piano con il tetto piatto bruciato dal sole. Bento Ribeiro, quartiere povero alla periferia nord-ovest di Rio de Janeiro, è una nidiata del genere. Qui, al 114 di rua General Cesar Obino, il 22 settembre 1976, nasce Ronaldo Luiz Nazario de Lima, figlio di Sonia e di Nelio Nazario de Lima, che hanno già messo al mondo Yone, 4 anni e Nelinho, 3. Lo chiamano Ronaldo dal nome dell’uomo che lo ha aiutato a venire al mondo: il dottor Ronaldo Valente. In realtà il vero battesimo glielo somministra il fratellino Nelinho che proprio non ce la fa a pronunciare tutte quelle consonanti diverse e semplifica: Dadado.
Ronaldo resta a lungo Dadado, anche per gli amici che giocano nel suo cortile, un fazzoletto di terra irregolare, circondato da muri bianchi e presidiato da un albero di mango. In quel fazzoletto, appena Ronaldo riesce a mettersi in piedi, cominciano le partite di “pelada, cioè calcio da strada a piedi nudi, con la palla che a forza di strisciare sui muri e sui sassi si “spela”, appunto, e diventa sempre più simile al gomitolo di stracci che ha svezzato generazioni di fuoriclasse brasiliani. Poi arriva la prima squadretta: Tennis Club Valqueire, calcio a 5.
La cosa buffa è che insieme alla prima maglia ufficiale, gli consegnano anche un paio di guanti perché Dadado si mette in testa di fare il portiere. Il giorno che se li toglie e decide: “Vado in attacco”, comincia ufficialmente la leggenda del Fenomeno. Allenato da polverosi anni di “pelada” Ronaldo si muove come un rettile negli spazi stretti del calcio a 5 e riempie le reti di gol, compresa quella del ricco Vasco da Gama. È qui che gli cascano addosso le prime occhiate. E il primo mini-trasferimento: Social Ramos, squadra della città, ma sempre campo piccolo, non quello grande di Zico. Ogni volta che ha un pallone al piede, Dadado gioca a sentirsi il Galinho al centro del mitico Maracanà, con la maglia del Flamengo.
Lo sogna così tanto che riesce a procurarsi un provino vero al Flamengo. II gran giorno, mamma Sonia gli mette al polso Yorologio della prima comunione e Ronaldo parte in treno per raggiungere il centro d’allenamento dei rossoneri, a Gavea. E’ la prima grande delusione della sua vita. Al ritorno in treno, due balordi gli rubano l’orologio. Ma, soprattutto, il Flamengo, pur conquistato dal provino, non può pagargli il biglietto del treno o dei sei autobus che collegano Bento Ribeiro a Gavea, per gli allenamenti. La povertà non è una casa brutta, ma dover rinunciare ai sogni che ti sei meritato: questo impara dolorosamente Dadado.
A 11 ci gioca così con il meno nobile Sao Cristovao e anche qui sono gol a grappoli. Tanto che un bancario di nome Alexandre Martins, a tempo perso cacciatore di talenti, avverte eccitato il compagno di sportello Reinaldo Pitta: “Ho trovato una pepita grossa così…”. Acquistano il cartellino di Ronaldo per 7.500 dollari. E’ l’intuizione che li dispenserà per sempre dal sudore. Li chiameranno il Gatto e la Volpe. Portano Ronaldo al Cruzeiro di Belo Horizonte, zona di miniere, l’ideale per raffinare la pepita. Il ragazzo si presenta a Donna Sonia: “Per favore, mamma, da oggi non chiamatemi più Dadado. Ora sono un calciatore vero. Ho 16 anni”.
I compagni più anziani del Cruzeiro lo adottano volentieri e non solo perché il bambino di Bento Ribeiro con l’apparecchio ai denti fa tenerezza. Alla fine della stagione 93-94 i numeri dicono questo: tra campionato, coppa del Brasile e spiccioli, 54 partite, 56 gol. Cinque in una partita sola che a Belo Horizonte non dimenticheranno. Jairzinho, leggenda della Selecao, d.s. del Cruzeiro spiega: “Dare la palla a Ronaldo è aver già segnato mezzo gol”. In panca c’è un altro mondiale messicano: Carlos Alberto. Pelé viene scomodato nel paragone perché il bimbo dai denti di ferro esordisce in nazionale a 17 anni contro l’Argentina: esattamente come O’Rei.
Carlos Alberto Parreira si porta al mondiale Usa il reuccio di Bento Ribeiro, coccolato da un’intera nazione, ma non lo fa mai esordire. Anche per questo, tutto il Brasile in coro gli urla “Burro! ‘, “Asino!”, a ripetizione. Solo che poi Parreira ci batte in finale ai rigori e l’Asino diventa di colpo un purosangue di razza da consegnare alla storia. Nella foto del trionfo, Ronaldo è sdraiato a terra, ugualmente felice, sotto la coppa, accanto a Romario. Il Gatto e la Volpe hanno venduto il Fenomeno al Psv Eindhoven, lex squadra di Romario passato al grande Barcellona. “Cosa c’è a Eindhoven?”, chiede Ronaldo. “Freddo”, risponde il Baixinho. “E poi?” “La Philips . “E poi?”, insiste Ronaldo. “Basta. Il freddo e la Philips”, tronca Romario.
Una sera a fine allenamento, i giocatori del Psv osservano il brasiliano che si toglie un calzettone dopo l’altro e ne contano dieci, prima di scoppiare a ridere. Freddo ai piedi e al cuore: la grigia Eindhoven sta a un paio di galassie dal sole di Rio. Mamma Sonia accorre per coccolarlo e combattere la cucina olandese. Ma il regalo migliore glielo fa Vampeta, compagno di squadra, futuro interista. “E venuto un mio amico d’infanzia, si chiama Cesar. Può darti una mano. Cesar diventerà un fratello per Ronaldo e molto altro: segretario, fattorino, confidente. Insieme al fido Cesar, combattere i mulini a vento della Philips diventa molto più semplice. Anche perché da Belo Horizonte è sbarcata Nadia, studentessa aspirante modella.
Nel suo primo campionato olandese, Ronaldo segna 30 gol in 32 partite. Ad ogni centro, i tifosi caricano la R: Rrrrrrrrronaldo! Il brasiliano sorride perche la cosa lo diverte. Allarga le braccia e corre felice mostrando i suoi denti di ferro. Nella primavera del ’95 va a fare shopping a Milano e, tramite il procuratore Giovanni Branchini, stringe per la prima volta la mano a Massimo Moratti. Nel febbraio ’96 viene operato al ginocchio destro: apofisite tibiale. Suona peggio di quel che è: sofferenze di tendini e legamenti, provati dalla crescita dell’ex Dadado che ora pesa 80 kg e misura 183 cm. Si sta strappando la camicia sul corpo di Hulk che presto diventerà il Fenomeno del Barcellona.
Il tempo di litigare con il Psv, di perdere dolorosamente la semifinale olimpica di Atlanta contro la Nigeria di Kanu, ed eccolo in Catalogna, estate del 96. Il decollo nella Liga è verticale e impressionante: 12 gol nelle prime 10 partite. Uno dei due che segna il 12 ottobre al Compostela non sarà dimenticata. Minuto 35: ruba palla a Passi nelle sua metà campo, percorre 47 metri in 11 secondi, toccando 14 volte la palla e saltando 5 avversari. Bobby Robson, tecnico del Barça, invece di esultare, si spaventa: “Com’è possibile?”. Ronaldo poi vola in Brasile, segna 3 gol alla Lituania, torna e ne fa altri 2 al Logrones. Quindi: 7 gol e due voli oceanici in 7 giorni. “Extraterrestre’ titola Marca.
Una radio di Barcellona indice un concorso per il soprannome a Ronaldo: vincono “E.T.” e “Inumano”. Un Fenomeno, insomma. Come fermarlo? Miguel Angel Lotina, tecnico del Logrones risponde: “Io un’idea ce l’avrei: sparargli”. Pichichi della Liga (34 gol in 37 match), Ronaldo segna il rigore decisivo al Paris S.G. nella finale di Coppa Coppe. Solleva pure Coppa e Supercoppa di Spagna. Quanto basta per il premio Fifa World Player ’96: a 20 anni Ronaldo, ex portiere, è già il più forte giocatore del mondo. E’ il momento di trattare e monetizzare, pensano il Gatto e la Volpe. Ronaldo sbarca a Milano-Linate il 25 luglio 1997, alle ore 8.10. Ha un orecchino al lobo sinistro, jeans neri e camicia a scacchi. Tiene per mano la bionda Susana Werner, modella, attrice, in arte Ronaldinha.
Alloggiano nella suite del Principe di Savoia che pochi giorni prima ha ospitato Lady Diana. Il 12 settembre a Bologna Ronaldo segna il primo gol in serie A, grazie a una finta che sdraia Massimo Paganin, poi allarga le braccia per volare di gioia sotto la pioggia. Un mesetto più tardi, tripletta in coppa Italia a Piacenza. L’ultimo gol, slalom da destra a sinistra tra cinque paletti umani, fa scattare in piedi tutto lo stadio. E passato quasi un anno esatto da Compostela (12 ottobre ’96-15 ottobre ’97): stessa strategia di conquista. L’Italia, come la Spagna, è incantata dall’Inumano. Il popolo nerazzurro comincia a cantare con orgoglio: “Il Fenomeno ce l’abbiamo noi” e a guardare ai recenti cicli di Milan e Juve senza vergogna.
E’ arrivato l’uomo che può cambiare la storia. Infatti, 4 gennaio 1998: Inter-Juve 1-0. Ronaldo non segna, ma risolve la partita al 47′ quando decide di partire sulla fascia destra. Iuliano cerca di fermarlo, aggrappandosi e scalciando, sembra il passeggero che tenta invano di salire su un tram in corsa. Djorkaeff deve solo spingere in rete il pallone che porta l’Inter capolista a + 4 sulla Juve. 22 marzo 1998: Milan-Inter 0-3. Tra i due gol di Simeone, il Fenomeno inserisce un delizioso esterno destro che scavalca Seba Rossi. La Nord canta: “Il tabellone, guardate il tabellone! “. Peppino Prisco gongola e infierisce: “Peccato il 4-0 sbagliato da Cauet’. Dopo la doppietta alla Roma con due accelerazioni spaventose, il giallorosso Candela riconosce: “Per fermarlo ci volevano i Carabinieri”.
Sparargli o arrestarlo: dalla Spagna all’Italia cambia poco. Ire giorni dopo la doppietta di Roma, Ronie ne segna un’altra a Mosca, su un campo infame: una lastra di ghiaccio che si trasforma in una risaia di fango. La seconda rete allo Spartak del Fenomeno è da vangelo apocrifo: in un amen scatta, cammina sulle acque, aggira il portiere e mette dentro, prima di spiegare: “Mi sembrava di essere a Bento Ribeiro, quando pioveva forte ed uscivamo a giocare nelle pozzanghere”. L’Inter e in finale di coppa Uefa. Il popolo che canta “Il Fenomeno ce l’abbiamo noi”, a questo punto, si prepara all’abbuffata.
Ma il 26 aprile 1998 si gioca Juve-lnter: bianconeri a +2 a quattro dal termine. Del Piero porta in vantaggio la Signora, poi si scatena Ronaldo. luliano stavolta neppure ci prova a salire sul treno in corsa. Lo ferma con il corpo e con le mani. Per l’arbitro Ceccarini, e pochi altri, non è rigore. Gigi Simoni furibondo zompa in campo per rincorrerlo: “Si vergogni! Si vergogni!”. Ronaldo tuona: “Mi sento derubato. Il calcio è allegria se si gioca 11 contro 11, non 11 contro 12. Ma il mondo ha visto. Ronie, Simoni e tutti gli altri si consolano a Parigi, nel salotto del Parco dei Principi, sollevando la coppa Uefa: 6 maggio 1998, Inter-Lazio 3-0. Il Fenomeno sigilla il conto alla sua maniera: s’ingoia metà campo, sdraia Marchegiani con una finta, lo aggira e parcheggia in rete il 34° gol stagionale.
Moratti gonfia il petto: “Ronaldo è un’enciclopedia che sfogliamo solo noi”. Tutti convinti che con un fuoriclasse del genere il futuro splenderà più di Parigi. Invece il Mondiale ’98, che Ronaldo perde nella finale con la Francia, preceduta dal misterioso malore del Fenomeno, lo introduce in un tunnel di dolore lungo quattro anni. Sulle ginocchia di Ronaldo gravano due centrali nucleari, cosce ipertrofiche, serbatoi di potenza: il segreto della sua eccezionalità atletica. Il tendine rotuleo, che collega il quadricipite alla tibia, è un ponticello che sopporta un traffico da controesodo, il filo che tiene appesa la luna al cielo. Già durante il mondiale di Francia, il ginocchio destro di Ronaldo urla la sua sofferenza.
Il 21 novembre 1999, Inter-Lecce, quel ginocchio subisce una torsione innaturale, per colpa di una zolla infame di San Siro. Nove giorni dopo, il professor Gerard Saillant gli ricostruisce il tendine rotuleo. Il 6 aprile 2000 Ronie può mostrare i suoi dentoni sorridenti: “Oggi è nato mio figlio Ronald e ho ricevuto il permesso di giocare, forse già con la Lazio. La vita è bella”. E invece, una settimana dopo, 12 aprile, all’Olimpico di Roma, la vita lo falcia da dietro. Ronaldo rientra in campo al 13’ della ripresa e tocca cinque palloni, l’ultimo al 19′. Poi crolla a terra urlando nel mezzo di un dribbling. “Abbiamo sentito un botto, come qualcosa che si rompeva”, racconta l’arbitro Pellegrino. Il tendine rotuleo si è spezzato come un elastico, con il suono di una frustata secca. Il ponte è crollato, la luna si è staccata dal cielo. Ronaldo esce in lacrime, ripetendo “mamma” e “papà” .
Il professor Saillant si arma nuovamente di ago e filo. Il Fenomeno rientra alla fine del 2001. Ritrova il gol a Brescia in tandem con il suo amicone Vieri, ma cozza contro il generale Cuper, che ne rallenta il rilancio e gli grava la spalle con sacchi di sabbia da portare saltellando sui gradoni. Convivenza difficile, ma il 5 maggio 2002 Ronaldo è comunque titolare nel match della grande rivincita sul destino: ancora l’Olimpico, ancora la Lazio, per la scontata festa scudetto. Invece finisce di nuovo in lacrime. L’Inter perde in modo assurdo e consegna lo scudetto alla Juve.
Il Fenomeno si asciuga la lacrime al Mondiale nippo-coreano che vive da re assoluto: trascina il Brasile al titolo con 8 gol (capocannoniere), due alla Germania in finale. Nella notte del trionfo di Yokohama, si scorda però di pronunciare la parola Inter. Nessuna parola di riconoscenza per Moratti che lo ha trattato come un figlio; che quando Lippi spiegava “Ronaldo è uguale agli altri ‘, precisava “Ronie è un po’ più uguale degli altri”; che gli ha versato un miliardo di lire al mese anche da fermo. Nessuna promessa al popolo nerazzurro che lo attende come re del mondo per riprendere la caccia alla Juve. Scappa come un ladro. Il Gatto e la Volpe lo trascinano al ricco Real e spartiscono con Pinocchio.
A Madrid segna, vince e se la gode. Il Paese dei Balocchi: conquista Liga, Champions, coppa Intercontinentale, supercoppa di Spagna, altro Pallone d oro, altro Fifa World Player, 1 titolo da Pichichi, 104 gol in 177 partite ufficiali nelle merengues. Dopo cinque anni, il Fenomeno rifinisce il tradimento all’Inter, passando al Milan. Al primo derby in rossonero (11 marzo 2007) segna all’amico Julio Cesar, compagno della ex Ronaldinha. Gattuso si inginocchia ai suoi piedi. Poi l’Inter ribalta il risultato (2-1), ma il gol del Fenomeno è rimasto come uno sfregio su tanti cuori nerazzurri. I 7 gol di Ronaldo sono decisivi nella risalita al quarto posto, buono per la Champions. Il resto della storia in rossonero è un rosario di infortuni.
Alla scadenza del contratto, Ronaldo torna in Brasile. Riparte nel 2009 dal Corinthians. Tra gossip, polemiche e scommesse sul suo peso, non smette di fare le cose di sempre: segnare e vincere. Festeggia campionato Paulista e coppa del Brasile, conta 35 gol in 69 match, prima di annunciare in lacrime l’addio, nel febbraio e nel giugno del 2011: “Soffro troppo e non mi riescono più le mie giocate . Nei bar si può discutere quanto si vuole se Ronaldo sia davanti o dietro a Pelé, Maradona o Messi nella storia del pallone. Ma una cosa è certa, inconfutabile e oggettiva: il calcio che ha mostrato il Fenomeno dal 96 al 98, cioè tecnica e potenza in velocità, non lo ha mai mostrato nessun essere umano su questa terra.