Sampdoria-Juventus 1-0: lo sgambetto di Ferroni ai Campioni del Mondo

La vittoria mondiale dell’Italia nel 1982 sembrava presagire una stagione trionfale per la Juventus. Ma il calcio sa essere beffardo, e la prima giornata di Serie A regalò una clamorosa sorpresa al Ferraris contro la Sampdoria.

L’estate del 1982 in Italia fu segnata dalla vittoria della nazionale di calcio ai Mondiali in Spagna. Era stato un percorso incredibile, iniziato tra mille dubbi e culminato in un’apoteosi di gioia collettiva. Paolo Rossi si era trasformato da oggetto del mistero in eroe nazionale nel giro di poche partite. Dopo un inizio di mondiale in sordina, aveva trovato una vena realizzativa straordinaria proprio quando contava di più: tre gol al Brasile nei quarti di finale, doppietta alla Polonia in semifinale e rete decisiva in finale contro la Germania Ovest. Sei reti che avevano cambiato la storia del calcio italiano.

Era stata un’impresa che aveva dell’incredibile, di quelle che restano impresse nella memoria come fotografie indelebili. Il commissario tecnico Enzo Bearzot, con la sua pipa e il suo aplomb, aveva plasmato un gruppo granitico, capace di resistere alle critiche iniziali per poi esplodere nel momento decisivo del torneo.

Anche i successivi trionfi azzurri – il Mondiale del 2006 in Germania e l’Europeo del 2020 – pur nella loro grandezza, non sono mai riusciti a eguagliare l’impatto emotivo di quella vittoria in terra spagnola. Era stata la vittoria del riscatto, della resilienza, del gruppo che si compatta quando tutti lo danno per spacciato. Un’estate che aveva cambiato per sempre il DNA del calcio italiano.

La Juventus dei giganti

La Juventus dell’estate 1982 sembrava una squadra costruita per dominare. Il nucleo della formazione era composto da quei campioni che avevano appena scritto la storia con la maglia azzurra in Spagna. In porta, l’eterno Dino Zoff, che a 41 anni si apprestava a vivere la sua ultima stagione da professionista. Davanti a lui, una difesa che faceva tremare gli attaccanti avversari: Claudio Gentile, il mastino che aveva annullato Maradona e Zico al Mondiale, Antonio Cabrini, terzino sinistro dalla classe cristallina, e l’elegante Gaetano Scirea, libero dalla tecnica sopraffina che purtroppo ci avrebbe lasciato troppo presto in un tragico incidente stradale.

Ma il vero gioiello era Paolo Rossi, capocannoniere e eroe del Mundial. Pablito aveva dimostrato in Spagna di essere tornato quello dei tempi del Lanerossi Vicenza, letale sotto porta e capace di decidere le partite che contavano.

Come se non bastasse, la dirigenza bianconera aveva deciso di rafforzare ulteriormente la squadra con due colpi da novanta: il polacco Zbigniew Boniek, stella della nazionale semifinalista al Mondiale, e soprattutto Michel Platini. Le Roi Michel era il fiore all’occhiello del mercato juventino, un fuoriclasse assoluto destinato a conquistare tre Palloni d’Oro consecutivi e a incantare il pubblico italiano con giocate di rara bellezza.

Era una Juventus che sulla carta non aveva rivali, costruita per dominare in Italia e in Europa.

La Sampdoria dei giovani leoni

La Sampdoria che si presentava a quella prima giornata di campionato era una neopromossa con l’entusiasmo di chi aveva riconquistato la Serie A dopo quattro lunghi anni di purgatorio cadetto. Una squadra giovane che mescolava sapientemente l’esperienza di alcuni veterani con l’esuberanza di promettenti talenti.

Il fiore all’occhiello della formazione blucerchiata era un ragazzino di appena diciassette anni, strappato al vivaio del Bologna: Roberto Mancini. Ancora acerbo ma già dotato di quella classe cristallina che lo avrebbe portato a diventare il simbolo della Sampdoria più bella di sempre. Nei suoi occhi brillava già quella luce di chi è destinato a grandi cose, anche se nessuno poteva immaginare che quel giovane talento sarebbe diventato non solo una bandiera del club ma anche il futuro commissario tecnico della Nazionale italiana.

Il vero colpo di mercato della Samp era stato però Liam Brady. L’irlandese arrivava proprio dalla Juventus, dove aveva disputato due ottime stagioni, risultando decisivo anche per la conquista dell’ultimo scudetto con un rigore trasformato a sangue freddo. L’arrivo di Platini lo aveva reso improvvisamente superfluo ai progetti bianconeri, e Brady aveva scelto Genova per dimostrare il proprio valore. Aveva un conto in sospeso con la sua ex squadra e la prima giornata di campionato gli offriva subito l’occasione per una rivincita personale.

Il gol di Ferroni

Il calcio d’agosto è sempre un’incognita, ma nessuno avrebbe scommesso su un passo falso della Juventus. Eppure, quel pomeriggio al Marassi, la storia prese una piega inaspettata. Il protagonista? Un terzino ambidestro di nome Mauro Ferroni, uno di quei giocatori che solitamente passano inosservati nelle cronache calcistiche.

Ma andiamo per ordine. La partita si sviluppò sui binari dell’equilibrio, con la Juventus che faticava a trovare i giusti automatismi tra i suoi campioni. Platini cercava la posizione, Boniek sembrava ancora frastornato dal cambio di campionato, mentre Brady correva per il campo come se avesse una missione personale da compiere.

Poi, al minuto 67, accadde l’impensabile. Mauro Ferroni, un terzino dalla carriera onorevole ma senza grandi acuti, rubò palla a Furino sulla linea di centrocampo. Ciò che seguì sembrò uscito da un film: una progressione irresistibile, con Ferroni che superò prima Rossi e poi lo stesso Platini, lasciandoli sul posto come fossero giovani della Primavera.

Arrivato al limite dell’area, quando tutti si aspettavano un cross, Ferroni scelse la soluzione più improbabile: un tiro di destro che si infilò nell’angolino, imprendibile anche per un mostro sacro come Zoff. Il Marassi esplose, mentre Ferroni veniva sommerso dall’abbraccio dei compagni. Era l’unico gol che avrebbe segnato in Serie A in tutta la sua carriera, ma che gol!

La Juventus, colpita nell’orgoglio, non riuscì a reagire. I minuti scorrevano e l’impresa prendeva forma.

Il sapore della storia

Gli ultimi venti minuti di quella partita sembrarono eterni per i tifosi della Sampdoria. La Juventus, ferita nell’orgoglio, cercava disperatamente di evitare una sconfitta che avrebbe fatto il giro d’Italia. Ma c’era qualcosa di magico nell’aria quel pomeriggio al Marassi: ogni tentativo bianconero si infrangeva contro un muro blucerchiato sempre più convinto delle proprie possibilità.

Platini, che negli anni successivi avrebbe incantato gli stadi italiani, appariva nervoso e fuori posizione. Paolo Rossi, l’eroe del Mundial, non riusciva a trovare gli spazi per colpire. La difesa della Juventus, quella stessa difesa che aveva resistito agli assalti del Brasile poche settimane prima, era stata violata da un terzino semi-sconosciuto.

In tribuna, i pochi fortunati che avevano giocato al Totocalcio segnando il “1” per questa partita iniziavano a fare i conti della possibile vincita. Era una di quelle giocate pazze che a volte il calcio premia, una scommessa contro ogni logica che stava per trasformarsi in realtà.

Quando l’arbitro fischiò la fine, il Marassi esplose in un boato di gioia. I giocatori della Sampdoria si abbracciavano come se avessero vinto una finale, mentre i campioni del mondo lasciavano il campo a testa bassa. Era appena nata una delle più grandi sorprese nella storia della prima giornata di Serie A.

Destini

Quella sconfitta al Marassi fu solo l’inizio di una stagione complicata per la Juventus. La squadra di Trapattoni, nonostante l’incredibile potenziale tecnico, non riuscì mai a trovare la continuità necessaria per vincere il campionato. Soprattutto le trasferte diventarono un vero tallone d’Achille: la Vecchia Signora mostrava una vulnerabilità inaspettata lontano dal Comunale di Torino.

Platini, dopo un inizio difficile, iniziò a mostrare lampi del suo talento cristallino, ma non bastò. La Roma di Liedholm, trascinata dal genio di Falcão e dai gol di Pruzzo, si dimostrò più costante e conquistò meritatamente lo scudetto. Inutile ricordare anche la sfortunata finale di Coppa Campioni contro l’Amburgo, segno finale di un’annata decisamento no. Per i bianconeri fu quindi una stagione di transizione, che servì però a gettare le basi per i successivi trionfi, con Platini che negli anni seguenti si sarebbe consacrato come uno dei più grandi giocatori nella storia del club.

La Sampdoria, dal canto suo, stupì tutti chiudendo al settimo posto, un piazzamento straordinario per una neopromossa. Brady si rivelò un acquisto azzeccatissimo, mentre il giovane Mancini iniziò a mostrare sprazzi di quel talento che lo avrebbe reso una bandiera del club. Era l’alba di un’era dorata per i blucerchiati, che negli anni successivi avrebbero costruito una delle squadre più belle e vincenti della loro storia, culminata con lo scudetto del 1991.

12 Settembre 1982
SAMPDORIA – JUVENTUS 1-0
RETE
: 67′ Ferroni
SAMPDORIA: Bistazzoni, Ferroni, Vullo, Casagrande, Guerrini, Bonetti, Scanziani, Bellotto, Francis, Brady (86′ Maggiora), Mancini (76′ Pellegrini). Allenatore: Ulivieri
JUVENTUS: Zoff, Gentile, Cabrini, Furino, Brio, Scirea, Boniek (63′ Marocchino), Bonini, Rossi, Platini, Bettega. Allenatore: Trapattoni
ARBITRO: Mattei di Macerata