Il “tacco di Allah” che non convinse l’Inter

Nell’estate del 1988 Rabah Madjer era all’apice della gloria. Sopran-nominato “Il tacco di Allah” in virtù della prodezza con cui aveva regalato al Porto (assieme all’ex avellinese e interista Juary) la Coppa dei Campioni nella finale di Vienna contro il Bayern Monaco l’anno precedente, entrò nel mirino del club nerazzurro.

L’allora presidente, Ernesto Pellegrini, scottato da delusioni feroci, stava imbastendo con Giovanni Trapattoni, giunto alla terza stagione all’Inter, un robusto progetto di rinnovamento. Fondato innanzitutto sulla rinuncia all’arte efebica di Scifo per puntare sulla forza dei campioni tedeschi Matthäus e Brehme e il podismo del propulsore Berti. In attacco, all’ariete Serena, gran colpitore di testa e panzer affidabile, andava affiancato un artista, provvisto di adeguato senso del gol.

La clamorosa rete di tacco nella finale di Coppa Campioni 1987 tra Porto e Bayern

La scelta cadde appunto su Rabah Madjer, nonostante si trattasse più che altro di una mezza punta, e ovviamente fece scalpore per la nazionalità del giocatore: il primo algerino nel campionato italiano. Madjer aveva giocato in patria — Onalait d’Hussein-Dey e MA Hussein-Dey le sue squadre – prima di emigrare in Europa, al Matra Racing Parigi, nel 1983. Due anni dopo, all’indomani di un fugace passaggio al Tours, era approdato al Porto, per poi trascorrere gli ultimi mesi della stagione 1987-88 in prestito al Valencia.

Non fu facile superare l’agguerrita concorrenza di mercato di club come Ajax, Barcellona e soprattutto Bayern, con cui il giocatore aveva già sottoscritto un accordo. Alla fine Pellegrini la spuntò e il 6 giugno il giocatore, trentenne (nato ad Algeri da genitori cabili originari di Tigzirt il 15 dicembre 1958) venne presentato alla stampa.

Alto 1,81, fisico longilineo, esibiva una gran voglia di dare continuità al “filotto” di conquiste dei suoi ultimi mesi d’oro: dopo la Coppa dei Campioni a Vienna, la Supercoppa europea e la Coppa Intercontinentale, per non parlare del Pallone d’Oro africano.

Mondiali 1982, Algeria – Austria 0-2

Poi, ecco la doccia fredda. Il campione viene sottoposto alle rituali visite mediche ed emerge qualche perplessità sulla completa guarigione da un grave infortunio muscolare, patito qualche mese prima nelle file del Valencia: Perez Garda del Murcia con un duro intervento gli aveva lesionato il muscolo della coscia sinistra.

Il 23 giugno la società nerazzurra comunica che la patologia muscolare di tipo traumatico di cui soffre il giocatore potrebbe portare alla rescissione del contratto, mentre l’interessato rivendica di essere perfettamente sano, o comunque guaribile, magari con apposito intervento chirurgico.

Il medico dell’Inter, Pasquale Bergamo, spiega: «La rottura del muscolo del bicipite femorale è stata subtotale, cioè nella misura di tre quarti, e ha lasciato un avallamento sotto sforzo di circa tre centimetri nella gamba. Io non dò nessun certificato di garanzia muscolare e posso dire soltanto che in ogni caso il rischio rimarrà».

Così anticipava il Guerin Sportivo nella primavera del 1988. Un “calembour” simile venne replicato a vicenda finita: “Rabah da matti”

Sono giorni febbrili, i precedenti (Hansi Müller, Coeck, Rummenigge) fanno tremare Ernesto Pellegrini, che teme di ingaggiare un altro giocatore menomato. Così il club interviene nuovamente sul mercato, centrando quello che si rivelerà un capolavoro: l’ingaggio dell’argentino Ramon Diaz, centravanti della Fiorentina in rotta col suo club e considerato ormai al capolinea.

Pochi giorni dopo, Madjer viene rispedito a casa, sia pure con tante scuse. Il 30 luglio il giocatore si sfoga: «Il 15 luglio sono andato a Valencia in una clinica privata, la Residencia General Santiago. Mi hanno fatto una Tac alla coscia sinistra e l’esito è stato negativo. In altre parole, ero a posto. Il giorno seguente, a Milano, altra Tac e responso totalmente diverso. Per quanto accaduto non ce l’ho con nessuno in particolare, ce l’ho con l’Inter in generale. Mi hanno appiccicato addosso l’etichetta del giocatore rotto e hanno rovinato la mia immagine».

Madjer durante il suo breve soggiorno a Milano

Il campione appare distrutto: confessa che per arrivare all’Inter ha stracciato (consensualmente) l‘accordo già firmato col Bayern, mentre adesso più nessuno lo vuole. In effetti resta al Porto, ma la sua carriera ne resta compromessa: la stagione successiva lo vede spesso assente, con l’accusa di malato immaginario o di indolenza. Alla fine il Porto lo sospende, premessa di un rapporto diventato difficile, che la crisi del club portoghese non aiuta a migliorare.

La carriera ormai è agli sgoccioli, anche se nel 1990 Madjer conquisterà con la sua Nazionale la Coppa d’Africa. Resterà con i biancazzurri fino al 1991, quando lascerà il calcio, per diventare allenatore. Paradossalmente, la sua vicenda giovò all’Inter, che trovò nel sostituto Diaz il partner ideale di Serena, nell’attacco della squadra che nell’88-89 conquistò lo scudetto a suon di record.