Mondiali 1950: URUGUAY

Un Brasile fortissimo e presuntuoso

Il Brasile 1950. Da sinistra, i massaggiatori Johnson e Mario Americo, Barbosa, Augusto, Danilo, Juvenal, Bauer, Ademir, Zizinho, Jair, Chico, Friaça, Bigode

Dopo le esperienze anteguerra l’organizzazione interna della CBD per quanto riguardava la preparazione della rappresentativa nazionale aveva funzionato egregiamente. I giocatori furono convocati al concentramento di Araxa, tre mesi prima del calcio d’inizio del «Campeonato Mundial de Futebol» Tramonta la generazione dei Leonidas, Tim, Patesko, con il «Sudamericano» del 1942 vinto dagli uruguagi (Leonidas comunque farà la sua ultima saltuaria apparizione in nazionale nel 1946), si era venuta formando una nuova e prestigiosa aristocrazia di campioni che faceva sperare per il Brasile un futuro ricco di soddisfazioni. Jair da Rosa Pinto, interno di grandi capacità tecniche, aveva debuttato in nazionale il 5 Marzo del 1940 in occasione della Coppa Roca e Thomas Soares da Silva, «Zizinho» era entrato nella «selecao» in occasione del «Sudamericano» del 1942, rilevando Servilio, nel secondo tempo dell’incontro che opponeva brasiliani ed argentini, vinto dai «portenhi» per 2-1. Ma prima che si componesse l’attacco meraviglia Friaca-Zizinho-Ademir-Jair-Chico, passeranno ancora molti anni, contraddistinti dalla sempre sfortunata partecipazione al «Sudamericano» e dall’apparizione di una grande personalità tecnica, bruciata purtroppo da una malattia che non perdona.

In vista del campionato continentale del 1945, che si sarebbe disputato a Santiago del Cile, faceva il suo debutto in «selecao» Heleno de Freitas, il 17 Maggio del 1944. 4-0 il risultato della vittoria sull’Uruguay, con tre reti di Jair e una del debuttante, che aveva evidenziato sul campo la genialità ed eleganza che abitualmente esibiva nel Botafogo. Heleno era un artista della palla che viveva unicamente per il gol, al quale arrivava in grazia della forza di penetrazione e con un gioco di finte assolutamente insuperabile. Nel 1945, a Santiago comandava una prima linea di sogno: Tesourinha-Zizinho-Heleno-Jair-Ademir, nella quale quest’ultimo, che sarà una grandissima figura del calcio brasiliano, faceva il suo debutto a soli vent’anni. In quel «Sudamericano» il Brasile segnò 19 reti nelle 6 partite disputate, ma fu costretto ad abbassare bandiera di fronte all’abituale bestia nera argentina, che disponeva di una formazione altrettanto ricca di fuoriclasse: Mario Boyé, René Pontoni, Rinaldo Martino, Norberto «Tucho» Mendez, che proprio nell’incontro con gli «auriverdi» segnò una tripletta che assegnò il titolo agli argentini. Heleno aveva segnato 6 reti, Ademir 5, due giovanissimi sui quali si poteva contare.

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Zizinho

Il secondo posto di Santiago venne ripetuto a Montevideo nel 1946. Ancora l’Argentina, nella partita decisiva, vinse per 2-0 (doppietta di «Tucho» Mendez) dopo un incontro drammatico, contrassegnato da un colossale pugilato, successivo ad un tackle piuttosto deciso fra Salomon e Chico, che costò all’argentino la frattura di una gamba. In seguito il Brasile si astenne dal partecipare al sudamericano del 1947 e tranne gli incontri della Coppa Rio-Branco nel Marzo-Aprile con l’Uruguay, non allineò più la «selecao» fino al 3 Aprile del 1949, quand’ebbe inizio la prova generale del «Mundial» con l’organizzazione del campionato continentale, al quale non partecipa l’Argentina, in conseguenza dello sciopero dei professionisti che aveva visto emigrare in Colombia tutti i campioni e l’Uruguay fa l’atto di presenza con una formazione di categoria inferiore, essendo invischiato nel conflitto con l’Associazione dei Calciatori.

Quella prova generale non poteva finire in modo più lusinghiero per la «selecao». Titolo continentale dopo 27 anni di astinenza, 46 reti nelle 8 partite disputate, nel corso dell’incontro con il Perù si era formato un trio formidabile Zizinho-Ademir-Jair, che aveva mandato in visibilio la «torrida» brasiliana per le immense risorse tecniche e spettacolari dei suoi componenti e per le doti realizzative: 5, 7 e 9 reti il bottino individuale dei tre attaccanti. Si era ormai chiusa la troppo breve parabola del grande Heleno, che vittima del proprio estro, bizzoso, capriccioso era stato licenziato dal Flamenco e dopo una breve parentesi in Argentina (Boca Junior) e Colombia, s’era allontanato dal calcio per una grave infezione trascurata che lo portò in breve tempo alla pazzia e alla morte.

Ma le inesauribili ricchezze del vivaio avevano colmato il vuoto e la «selecao» che si apprestava alla Coppa del Mondo era una squadra funzionale che anche nei reparti arretrati aveva denunciato sensibili progressi dopo il ritiro per limiti di età di giocatori come Domingos da Guia e Zezé Procopio (1946) che si collegavano alla generazione anteguerra. Con Augusto, Bauer, Bigode e soprattutto Danilo, giocatore elegante e tecnicamente eccezionale sul quale poggiava la struttura strategica della formazione, la «selecao» poteva certamente ambire al massimo traguardo. Ma il vizio di vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso, giocò un tiro mancino alla «selecao» che Flavio Costa aveva costruito con sagacia, senza riuscire tuttavia a renderla umile.

La presunzione è sempre punita nel mondo del calcio e già prima della partita stregata con gli uruguaiani, gli «auriverdi» avevano corso seri pericoli con la Svizzera (2-2), affrontata con superficialità, lasciando a riposo Danilo, Bigode, Zizinho e Jair e i rossocrociati consci delle proprie scarse possibilità, seppero elevarsi al livello dei favoriti giocando intelligentemente le proprie carte. Così come sull’1-0 o ancora sull’1-1 dell’incontro fatale, quando ormai mancava meno di mezz’ora al fischio finale, un comportamento più attento e meno schiavo dell’orgoglio smisurato e della presunzione avrebbe permesso ad Ademir e compagni di condurre in porto un risultato utile per la conquista del titolo. Nunca mais, nunca mais, aveva titolato «A Gazeta Esportiva» evidenziando la cocente delusione registrata nell’occasione più propizia, ma l’episodio contingente servì negli anni futuri, quando la CBD attuò ogni genere di sforzo per portarsi ai livelli di una vera e propria programmazione calcistica. E’ probabile che senza quel fatidico 16 Luglio, non avremmo avuto in seguito il Brasile che ha dato al mondo spettacoli insuperabili di gioco e di arte calcistica.