Una storia di numeri 10
Nel girone di Guadalajara l’Inghilterra apriva il suo mondiale con la Romania vincendo per 1-0 e il Brasile guadagnava un largo «score» con la Cecoslovacchia, 4-1. L’inquadratura inglese era stata rinnovata da Alf Ramsey che la Regina Elisabetta aveva nominato baronetto con il diritto a fregiarsi del titolo di «Sir». Del team campione del mondo restavano Banks, Moore, B. Charlton, J. Charlton, Peters, Ball, Hurst, il calcio inglese era tornato ai livelli soddisfacenti dei tempi antichi. I «bianchi» avevano ripreso a dominare nell’Interbritannico, s’erano piazzati terzi nella Coppa Europa vinta dall’Italia, i Clubs cominciavano ad inserirsi nel giro delle vincenti delle Coppe Europee. Il Manchester United trionfava in Coppa Campioni (1968); il Manchester City vinceva la Coppa delle Coppe 1970; in Coppa UEFA Leeds United, Newcastle United ed Arsenal avevano trionfato nelle ultime tre edizioni. Il rinnovamento apportato da Ramsey per il mondiale ’66 aveva vivificato il football, l’Inghilterra era partita per il Messico con la chiara intenzione di riconfermare il titolo conquistato quattro anni prima. Battuta la Romania con il minimo di scarto, gli inglesi si ripetevano con la Cecoslovacchia e guadagnavano il passaggio ai «quarti», ma l’incontro con il Brasile aveva ridimensionato le ambizioni dei «bianchi» anche se la sconfitta (0-1) era stata mantenuta in limiti accettabili.
Il Brasile era stato affidato a Mario «Lobo» Zagalo, dopo che Joao Saldanha aveva guadagnato la qualificazione per il mondiale messicano. Dopo l’eliminazione in terra inglese, Pelé era mancato per più di due anni dall’organico della «selecao». Un po’ perché gli impegni commerciali si facevano sempre più impellenti, ma anche perché una certa parte della critica brasiliana lo riteneva ormai logoro, ed inoltre la sua presenza appariva incompatibile con quella di Eduardo Concalves de Andrade detto Tostao. I due avevano giocato raramente insiemenella selecao prima del mondiale inglese e la manovra d’attacco sembrava risentire di una certa identità delle caratteristiche dei due. Per due anni quindi Tostao faceva i suoi progressi con la maglia «auriverde», ma quando per la Coppa Oswaldo Cruz 1968 con il Paraguay, Pelé riapparve ad Asuncion con la fatidica maglia numero 10, Tostao era rimasto fuori e ci volle il coraggio di Saldanha per affrontare la opinione dei critici facendoli giocare insieme nelle partite di qualificazione del mondiale contro Paraguay Colombia e Venezuela. Per l’incontro con la Colombia a Bogotà il 6 Agosto 1969, Saldanha schierò: Felix; Carlos Alberto, Dyalma Dias, Joel, Rildo; Gerson Piazza; Jairzinho (Paulo Cesar) Tostao Pelé Edù e i due smentirono clamorosamente la critica: nelle 6 partite gli «auriverdi» segnarono 23 reti, Tostao contribuì al bottino con 10, Pelé con 6.
Allontanato Joao Saldanha, la «selecao» fu affidata al «calciatore più intelligente che abbia mai calcato i campi di calcio» – secondo il giudizio di Vecente Feola: Mario «Lobo» Zagalo, che intraprese la strada indicata da Saldanha. Per la difesa non aveva problemi, c’erano una decina di possibili titolari che si equivalevano, in attacco al contrario c’era da risolvere una situazione piuttosto imbarazzante: i migliori cinque attaccanti che l’immenso Brasile vantava in quel particolare momento giocavano tutti con il numero 10 nelle loro squadre di Club. Pelé nel Santos, Tostao nel Cruzeiro di Belo Horizonte, Gerson nel San Paolo, Jairzinho nel Botafogo e Rivelino nel Corihthians, erano tutti o uomini di «manijas» (regia), Pelé Gerson, Tostao, mezze punte, Rivelino o «punta le lanza», Jairzinho, che si identificavano comunque con il fatidico numero 10.
Non erano pochi i critici che giudicavano pazzesca la decisione di Zagalo che però intrapresa quella strada non ebbe ripensamenti. Nell’incontro di apertura del mondiale gli auriverdi si schieravano con: Felix; Carlos Alberto, Brito, Filson Piazza, Everaldo; Gerson (Paulo Cesar) Clodoaldo; Jairzinho Tostao Pelé Rivelino. L’«homen de manijas» era Gerson, Jairzinho agiva da punta autentica sulla fascia destra e Tostao sul centro, Rivelino e Pelé (che vi si era adattato con umiltà) operavano in pratica da mezze punte in zone diverse del campo, con «O’Rey» che si inseriva in avanti nel fraseggio delle punte e il baffuto oriundo napoletano che si sottoponeva disciplinatamente al lavoro di tamponamento quando occorreva.
Non ci fu dimostrazione più grande secondo il principio «che le ambizioni personalistiche devono essere sacrificate agli interessi del collettivo», il Brasile cominciò subito alla grande travolgendo la Cecoslovacchia con le reti di Jairzinho (2) Pelé, Rivelino, batte di misura l’Inghilterra (1-0) con una rete dell’erede di Garrincha, successiva ad una splendida manovra Pelé-Tostao-Jairzinho nel cuore della difesa inglese e con la Romania si concesse qualche distrazione difensiva vincendo, per 3-2 con una doppietta di Pelé ed un altro centro di Jairzinho.