Il Capocannoniere Gerd Müller

Scena prima. Un campetto da calcio di provincia, a Nördlingen. La squadra locale sta giocando un incontro decisivo, e a metà della partita è sotto, perde 1-0. Il ragazzo arriva trafelato negli spogliatoi. Piuttosto carico di adrenalina, perché è appena arrivato da Monaco, dove ha firmato un contratto da professionista col Bayern. Un paio di strette di mano e via di corsa, verso il paese a due passi da casa (Gerd è nato a Zinzen il 3 novembre 1945) dove, appunto, i compagni di squadra si stanno giocando la stagione senza di lui. Un problema, perché il ragazzo è la stella del gruppo. Un salto negli spogliatoi, una preparazione sbrigativa, ed ecco l’attesa sostituzione: nel secondo tempo, per il Nördlingen è entrato in campo Gerd Mùller.
Scena seconda. Novantesimo minuto della stessa partita, la squadra di casa ha vinto facile, 4-1. I gol portano tutti la stessa firma, quella di Gerd Müller. Il gioiellino che ha appena firmato per il Monaco, ed ha portato nelle casse del Nördlingen 3000 marchi, poco più di mezzo milione di lire.L’anno del trasferimento è il 1963. Gerhard Müller, per tutti Gerd, non ha ancora diciotto anni, ma a suon di gol ha già conquistato i tifosi di casa. Ha buttato in rete 197 palloni in una sola stagione, da juniores, e l’anno successivo, promosso in prima squadra, si è… limitato a realizzarne 46.
Il suo scopritore, Herbert Kraft, vorrebbe spedirlo al Norimberga, e la sistemazione farebbe felice anche la mamma di Gerd, rimasta vedova, perché la città è a pochi chilometri da Nördlingen. Ma il Bayern Monaco è più veloce. Il ragazzo arriva a Monaco con la patente di prodigio del gol. Il presidente Wilhelm Neudecker lo ha voluto a tutti i costi per rivitalizzare la squadra che soffre maledettamente, nelle zone basse della Lega regionale. Il fenomeno dal gol facile si presenta al cospetto del tecnico jugoslavo Zlatko Chajkowski, che lo squadra attonito e lo bolla in una manciata di secondi. «Unmògliche figur», figura impossibile. L’affare, comunque, si fa, perché così vuole il presidente, ma il bomberino grasso (a Monaco lo ribattezzano in fretta “dicker”, ciccione, giocando sull’assonanza con “kicker”, calciatore) finisce in panchina. Così per tredici partite.
Finché un giorno il centravanti titolare si infortuna, e lo slavo scettico è costretto a mandare quella specie di botolo nella mischia. Müller si presenta con una doppietta, e il parere di Chajkowski cambia in fretta. L’anno dopo Gerd segna 35 reti e riporta di slancio il Bayern in Bundesliga. Sarà anche brutto a vedersi (nel ’68 il suo peso forma è di 80 chili, per un’altezza di 174 centimetri), sgraziato, tecnicamente non eccelso. Ma ha una qualità che tutti i cannonieri vorrebbero avere: la mette dentro, senza soluzione di continuità. A volte scompare dalle partite, smarrito tra le gambe di mastini della difesa molto meglio piantati di lui. Poi, quando meno te l’aspetti, inventa un guizzo e il fotogramma successivo è un pallone depositato in fondo alla rete. I suoi gol non sono belli. Lo chiamano «DerMann der Kleine Tor», l’uomo dei piccoli gol. Piccoli, ma fondamentali.

Nel ’66-67 segna 47 reti tra campionato, coppe e Nazionale, e il Bayern conquista la Coppa delle Coppe. La rivista «Kicker» lo elegge «Calciatore dell’anno». Fa il bis l’anno dopo, con 31 reti in 30 partite. In Nazionale lo attende la gloria ai mondiali messicani: dovrebbe essere la consacrazione di Gigi Riva, invece il capocannoniere alla fine è lui, il calciatore dai fianchi grossi e dal baricentro basso, con nove reti. In quell’occasione segna quello che lui stesso definirà «il gol più bello della mia vita. Quello con l’Inghilterra, nei quarti di finale». Moviola: cross di Grabowski che scavalca Bonetti, numero uno inglese, Löhr serve al volo al centro dell’area, Müller solleva il piede destro oltre la spalla e infila il portiere in acrobazia. Semplicemente spettacolare, altro che piccolo gol. È una stagione felice. In campionato segna 38 reti, a fine anno gli consegnano la Scarpa d’Oro e soprattutto il Pallone d’Oro, come miglior giocatore d’Europa.
In Germania il verbo “Mullern”, segnare reti alla Mùller, diventa comune. Nel ’72 la Nazionale è campione d’Europa (finale contro l’Unione Sovietica, successo per 3-0 con una doppietta del solito noto, naturalmente), due anni dopo affronta il Mondiale in casa nella stagione in cui esplode il fenomeno arancione della magica Olanda di Cruijff e compagni. E con gli olandesi, in effetti, la Germania si ritrova in finale. Mùller va su e giù per l’area avversaria per un intero tempo, sembra abulico e inconcludente, e intanto le squadre sono assestate sull’1 -1. Al 43′ un pallone calciato da Bonhoff filtra in area dalla destra, Gerd si muove goffamente e sembra fuori tempo. Poi inventa una piroetta che sorprende tutti, anche Jongbloed, numero uno olandese, che resta sul posto. L’Oympiastadion di Monaco sembra franare sotto il peso dell’entusiasmo dei tifosi, la Germania è campione del mondo.
In Nazionale, Müller non segnerà più, perché di lì a poco annuncia il ritiro: lo ha fatto anche troppo, 68 volte in 62 partite. Nel Bayern, invece, resta per altre cinque stagioni. Un giorno del marzo ’79, in una partita di campionato contro l’Eintracht, viene sostituito anzitempo per «scarso rendimento». Non c’è rispetto per gli eroi, che a volte sono costretti a migrare. Gerd strappa un contratto ai Fort Lauderdale Strickers, resta negli States fino a 37 anni, apre una birreria e un ristorante in Florida, manda a carte quarantotto il suo matrimonio e si fa prendere dallo sconforto. Nel ’91, tornato in patria, è scosso da propositi suicidi. Poi, a quanto pare, ritrova l’equilibrio smarrito, evitando di sedersi sui ricordi.
LA CLASSIFICA MARCATORI
10 reti: Müller (Germania Ovest);
7 reti: Jairzinho (Brasile);
5 reti: Cubillas (Perù);
4 reti: Pelé (Brasile), Byshovets (Urss);
3 reti: Seeler (Germania Ovest), Riva (Italia), Rivelino (Brasile);
2 reti: Lambert (1 rigore) e Van Moer (Belgio), Tostão (Brasile), Petras (Cecoslovacchia), Boninsegna e Rivera (Italia), Gonzalez (Messico), Gallardo (Perù), Dumitrache (Romania, 1);
1 rete: Bonev, Dermendjev, Kolev, Nikodimov e Zecev (Bulgaria), Gerson, Carlos Alberto e Clodoaldo (Brasile), Beckenbauer, Libuda, Overath e Schnellinger (Germania Ovest), Spiegler (Israele), Burgnich e Domenghini (Italia), Basaguren, Fragoso, Peña (1) e Valdivia (Messico), Challe e Chumpitaz (Perù), Dembrovski e Neagu (Romania), Grahn e Turesson (Svezia), Human e Ghazuani (Marocco), Asatiani e Hmelnitski (Urss), Cubilla, Esparrago, Maneiro e Mujica (Uruguay), Clarke (1), Hurst, Peters e Mullery (Inghilterra)