30 minuti da infarto all'Azteca
La Germania di Schoen che si apprestava ad incontrare l’Italia era squadra fortissima sul piano atletico, e questa era una caratteristica comune a tutte le rappresentative che avevano onorato negli anni il calcio tedesco ma questa vantava un «surplus» di classe internazionale che la rendeva oltremodo ostica a qualsiasi avversario. Maier era un «torhuter» nettamente superiore alla media, Vogts, un mastino indomabile, Beckenbauer il tocco di classe, con Overath elementi di spiccata personalità tecnica e in avanti alla tenacia e alla abnegazione dell’oramai stagionato Uwe Seeler, Gerd Mùller addizionava un opportunissimo stupefacente, una capacità diabolica di essere presente là dove era la palla buona da scaraventare in rete. Qualcuno definì Müller « l’uomo del ralenty» perché certe sue invenzioni nella zona del gol, sfuggivano all’identificazione immediata, solo la «moviola» rallentandone i movimenti, rendeva giustizia al suo fiuto innato, al suo essere sempre in agguato come una vera «tigre» dell’area di rigore.
Le due formazioni vennero schierate al meglio: Albertosi; Burgnich Facchetti; Bertini Rosato Cera; Domenghini Mazzola Boninsegna De Sisti Riva e Maier; Vogts Patzke; Schnellinger Schultz Beckenbauer; Grabowski Overath Seeler Müller Lohr. Dopo appena 8′ l’arbitro messicano Yamasaki annotava la rete del vantaggio azzurro: Boninsegna, il magnifico «Bonimba», realizzava con un tiro preciso alla destra di Maier e per tutto il primo tempo l’incontro denunciava un andamento alterno, in cui gli azzurri avrebbero potuto raddoppiare e i tedeschi raggiungere il pareggio. Nella ripresa Valcareggi ordinò a Mazzola di passare il testimone a Rivera, la formazione italiana perdeva consistenza a centrocampo, mentre l’iniziativa dei tedeschi si faceva sempre più pressante. Al 90′ il libero milanista Schnellinger, in proiezione offensiva, raccoglieva un centro nel cuore della della difesa azzurra e batteva Albertosi.
I tempi supplementari risultarono quanto di più drammatico si potesse immaginare su un campo di calcio. Beckenbauer era costretto a giocare con un braccio al collo, le energie cominciavano ad affievolire, eppure quella mezz’ora di grande calcio, senza più schemi e calcoli speculativi, meritò una lapide a ricordo su una parete dell’Azteca. Una successione di colpi di scena rendeva oltremodo drammatico lo scorrere dei minuti: al 94′ Müller portava in vantaggio i tedeschi e per gli azzurri sembrava finita, ma pareggiava Burgnich (sic) sugli sviluppi di una punizione al 98′ e poi Gigi Riva, 5′ più tardi riportava in vantaggio i nostri con il gol più bello delle semifinali. Ancora Müller pareggiava al 109′ con un sussulto d’orgoglio, ma un minuto dopo una prolungata azione di Boninsegna sulla sinistra travolgeva gli sbarramenti difensivi dei «bianchi», la palla perveniva sul centro e Rivera con un colpo calibrato la collocava alle spalle di Maier preso in controtempo. Era la fine! 4-3, gli ultimi 10′ passarono lentissimi a scandire il trionfo degli azzurri e ad appesantire le coronarie di tutti gli italiani che assistevano all’incontro.
Contemporaneamente a Guadalajara si giocava l’altra semifinale. L’Uruguay era arrivato alla porta delle semifinali senza grandi clamori. Aveva battuto Israele (2-0), pareggiato a reti bianche con gli azzurri, perduto di misura dalla Svezia (0-1), la celeste passava ai «quarti» e superava l’URSS con una rete di Esparrago, Il tecnico Hobherg protrattasi nel tempo l’indisposizione di Rocha aveva accentuato le caratteristiche difensive dell’«equipo» che giocava in contropiede ed irretiva gli avversari in un centrocampo fitto, dalla manovra lenta e dilatoria. Si trovò a disagio anche il Brasile che Zagalo aveva mantenuto nella formazione che aveva sconfitto l’Inghilterra.
Sulla carta Hobherg aveva presentato una «celeste» a 4-3-3 con: Mazurkiewicz; Ancheta Matosas Ubinas Montero Castillo; Mujca Fontes Cortes; Cubilla Maneiro Morales, ma alla prova dei fatti dopo che Cubilla aveva portato in vantaggio gli uruguagi al 18′ le distanze fra i reparti si erano accorciate nel tentativo di controllare il gioco, le maglie difensive invischiavano la manovra degli «auriverdi», la «selecao» sembrava impigliata in una rete dalla quale non riusciva a liberarsi. Poi nel recupero della prima frazione Clodoaldo riuscì a perforare il dispositivo e quando la fatica dei supplementari con l’URSS cominciò ad affiorare nei muscoli degli uruguagi, a 15′ dalla fine Jairzinho trafiggeva Mazurkiewicz e Rivellino, arrotondava il punteggio ad un minuto dal termine. Brasile e Italia si sarebbero quindi disputate il possesso definitivo della Coppa Rimet.