Mondiali 1978: ARGENTINA

Italia rivelazione, Brasile in brutte acque

Azzurri line-up to face France World Cup 1978

Dopo il disastro in terra di Ger­mania e le dimissioni di Valcareggi, la guida della nazionale venne affidata al duo Fulvio Ber­nardini-Enzo Bearzot. Perduta la qualificazione per le finali del Campionato Europeo 1976 in fa­vore dell’Olanda, rinnovati quasi completamente i quadri l’Italia partecipava nel maggio 1976 al «Torneo del bicentenario degli Stati Uniti» con Inghilterra, Bra­sile ed una rappresentativa della Lega Nord-americana nella qua­le figuravano Pelé e Chinaglia. Era, quella americana, una tap­pa di avvicinamento alle quali­ficazioni per il mondiale, un primo esame del grande lavoro del­la Commissione Tecnica che ave­va vagliato quasi una ottantina di giocatori. Le risultanze furono mediocri, gli azzurri batterono la rappresentativa USA 4-0, ma furono sconfitti dall’Inghilterra 2-3, dopo aver condotto 2-0 nel primo tempo, e dal Brasile 1-4. S’era affermata una nuova leva di calciatori che rispecchiava il dominio juventino sul campiona­to, i legami con il passato rap­presentati da Capello, Bellugi, Facchetti, Zoff, Causio, dal mo­mento in cui era stata decisa la giubilazione definitiva di Mazzo­la e Rivera.

Per la qualificazio­ne al mondiale l’Italia era stata inserita nel II. Gruppo Europeo con Inghilterra, Finlandia e Lus­semburgo, il compito appariva proibitivo perdurando una spe­cie di «inferiority complex» nei confronti del calcio inglese, ma tuttavia Bearzot era riuscito a formare un complesso omogeneo affidandosi alla fresca vitalità di Tardelli e alla voglia di vincere degli juventini, sempre impegna­ti nella conquista di ogni tra­guardo che desse prestigio ed onori in moneta. In questa opera di rivitalizzazione del calcio nostrano Bearzot s’era avvalso dell’aiuto interessato di Radice e Trapattoni, i due allenatori-guida della categoria che nel Torino e nella Juventus, avevano appli­cato i nuovi principi del calcio totale, imboccando la strada dell’eclettismo, del «pressing» e del gioco a tutto campo. La Juventus dominava in cam­pionato e vinceva la Coppa UEFA, il Torino era il rivale più peri­coloso, il gioco delle due squadre raggiungeva in molte occasioni valori assoluti e questo dato di fatto non poteva non riflettersi sulla nazionale.

Nel primo incon­tro decisivo con gli Inglesi, gli azzurri vinsero a Roma per 2-0, il 17 novembre 1976, ma fu nel complesso degli incontri che l’Italia riuscì a qualificarsi segnando più reti e la sconfitta del 14 novembre 1977 allo Stadio di Wembley (0-2) venne assorbita con indifferenza, poiché per an­dare in Argentina bastava battere il Lussemburgo. A parità di punteggio (10 punti cadauna) l’Italia andava al Mondiale per la miglior differenza reti, 18-4 con­tro 15-4. Era comunque opinione comune che questa squadra aves­se dato il meglio di sé durante la stagione 1977 e che molti gio­catori pagassero lo scotto del fantastico campionato 1976-1977 quando la Juventus vinse con 51 punti distanziando il Torino di un solo punto. Il torneo 1977-78, vinto nuovamente dalla Juve, non toccò i vertici del precedente, la squadra di Trapattoni giocò al risparmio per tutta la stagione regolandosi sui bisogni del mo­mento. Dove occorreva pareggia­re non si spendeva una stilla in più del dovuto, la resistenza del Torino si era affievolita, il com­portamento delle due formazioni guida non alimentava certamen­te sogni di gloria.

17 novembre 1976, Italia-Inghilterra 2-0: la rete di Antognoni

L’ultima partita di preparazione per il mon­diale con la Jugoslavia a Roma (0-0), denunciò carenze di prepa­razione, i giocatori sembravano stremati, asfittici, si invocava a gran voce il nome di Paolo Ros­si, che il Commissario Unico non volle impiegare nella serata. Mo­rale: quando la nazionale azzur­ra partì per l’Argentina una sua vittoria finale era pagata a 200 nelle scommesse e l’accesso al girone di semifinale 40. Quote impossibili che rispecchiavano la sfiducia totale nelle possibilità dei giocatori. L’unico ad aver fidu­cia incrollabile restava Enzo Bearzot, che appariva ai più co­me un Don Chisciotte prigionie­ro dell’ideale. Inserita in un gi­rone di ferro con l’Argentina, la Francia e l’Ungheria, la nazionale azzurra era attesa al debutto con la Francia il 2 giugno.

Va­gliate le condizioni dei giocatori, non potendosi avvalere dello squalificato Cuccureddu, Bearzot decise per: Zoff; Gentile, Bellugi, Scirea, Cabrini; Benetti, Tar­delli, Antognoni; Causio, Ros­si, Bettega. Le incertezze della vigilia risolte in favore di Rossi invocato da tutta la stampa na­zionale e di Cabrini, e qui Bear­zot mise molto del suo, poiché la stampa sempre importante in momenti simili, propendeva per Maldera, più esperto del giovane della Juve che nel campionato era stato poco impiegato. Ad ap­pena 32″ dall’inizio, Zoff subiva da parte di Lacombe una rete stupenda, scaturita da una azio­ne prolungata di Six sulla sinistra che Gentile non riusciva a ferma­re, da un centro pennellato per Lacombe che sorprendeva Bellugi ed insaccava. Azione lineare. For­midabile! Gli azzurri non denun­ciarono smarrimenti morali, pre­sero a macinare un gioco che la­sciò esterrefatti gli argentini ed i venticinque milioni di italiani che erano davanti al televisore. Il gol era nell’aria, nelle invenzio­ni di Paolo Rossi, nell’incredibile efficacia di un Bettega scatenato a mostrare la completezza del suo bagaglio di calciatore, nel gioco battente di Benetti, nelle pirotecniche esibizioni di Franco Causio che mandava in visibilio i puristi argentini. Pareggiò Paolo Rossi al 29′, Zaccarelli (entra­to a rilevare lo spento Antognoni) guadagnò il vantaggio al 54′.

C’era da stropicciarsi gli occhi, dopo la prima giornata del mon­diale, gli azzurri avevano rove­sciato tutti i pronostici ed erano indicati come l’unica squadra che avesse realmente onorato il cal­cio. Quattro giorni dopo l’Unghe­ria menomata per le assenze di Nyilasi e Torocsik, venne travolta per 3-1 con reti di Rossi, Bettega e Benetti, e «cabeza bian­ca», così chiamavano Bettega gli argentini, colpì tre volte i le­gni della porta di Meszaros. A pari merito con l’Argentina, l’in­contro diretto avrebbe deciso del­la destinazione delle due squa­dre: la vincente sarebbe rimasta a Buenos Aires, l’altra avrebbe dovuto emigrare a Rosario.

Italia Francia: Paolo Rossi, schierato a sorpresa da Bearzot, firma di rapina l’1-1

Agli ordini dell’arbitro israeliano Kle­in, il migliore del mondiale, Ita­lia ed Argentina scendevano in campo in un incontro denso di significati. L’Italia era indicata come la migliore formazione del mondiale, all’Argentina venivano riconosciuti come decisivi i van­taggi del fattore ambientale. La sfida venne affrontata seriamen­te dai due tecnici che allinearo­no le formazioni migliori. Italia: Zoff, Gentile, Bellugi (dal 6′ Cuc­cureddu), Scirea, Cabrini; Benet­ti, Tardelli, Antognoni; Causio, Rossi, Bettega. E Argentina: Fillol; Olguin, Luis Galvan, Passarella, Tarantini; Ardiles, Gallego, Valencia; Bertoni, Kempes, Ortiz. Davanti a 76.000 spet­tatori, ammutoliti dalla superio­rità tecnica degli azzurri, dalla personalità di una squadra che comandava il gioco a suo pia­cimento, che si accendeva improvvisamente del genio di Ros­si, dell’abilità di Bettega, del movimento instancabile e possente di Romeo Benetti, della fresca vivacità di Cabrini, dell’efficacia di un Gentile superbo che cancellava dal campo Kempes, la tifoseria argentina attendeva il momento della verità che Fillol aveva evitato nel primo tempo con una prodezza eccezionale su tiro ravvicinato di Bettega, ma che non poteva essere ulteriormente procrastinato. Al 67′ Ca­brini allunga ad Antognoni che cerca Bettega sulla tre quarti ar­gentina. «Cabeza bianca» si por­ta in avanti e detta a Rossi un triangolo che «Pablito» è pron­to a disegnare con il tacco, la palla è in area sui piedi di Bet­tega, tiro preciso di destro nel!’ angolo basso alla destro di Fil­lol colto in uscita. E’ il gol-par­tita ed è anche il più bel gol del mondiale, l’Italia resterà al River Plate e la vittoria resterà se­gnata per sempre nel libro d’oro azzurro come una delle più belle di tutta la sua storia.

Poche squa­dre europee, forse nessuna ha mai vinto a Buenos Aires, le po­lemiche della vigilia sul gioco a perdere per risparmiare fiato fanno parte di un bagaglio di furbizie che sarebbe meglio di­menticare. Finito il girone di qualificazione s’impone una tre­gua per cercare di capire cosa è successo in una squadra che sembrava composta da un bran­co di derelitti ed invece nel fuo­co della battaglia si è trasfor­mata in una formazione data a 2-1 per la vittoria finale. In­nanzi tutto l’innesto di un fuoriclasse come «Pablito» Rossi: so­lamente i grandi del calcio han­no la proprietà di trasformare un buon complesso in una gran­de orchestra e Rossi con la linearità ed il genio delle cose facili c’è riuscito immediatamente più dando che ricevendo, perché cer­ti schemi vanno studiati e con Bettega e Causio non c’è stato il tempo per farlo. Poi Cabrini, una grande realtà, un giocatore da cui si temevano ripercussioni emozionali ed in­vece ha giostrato con le capacità di un veterano di mille battaglie. Poi Gentile, il grande Bettega che a metà torneo era certamente il miglior giocatore del mondiale, il formidabile Scirea finalmente autoritario, Zaccarelli sempre po­sitivo negli innesti che Bearzot operava per dare respiro, ed il grandissimo Causio che fu defi­nito il più sudamericano degli europei. Ma una parte dei meri­ti, oltre che a Bearzot ed ai gio­catori, vanno riconosciuti anche a Radice e Trapattoni che hanno portato a fine stagione giocatori ancora in grado di esprimersi su livelli fisici ottimali ed hanno fornito a Bearzot elementi in gra­do di giostrare sui canoni del calcio moderno che non richiede specializzazioni ma giocatori in grado di operare in qualsiasi zo­na del campo.

Bettega conclude a rete dopo un esaltante scambio con Paolo Rossi

Per il Brasile di Coutinho atte­so al mondiale come probabile vincitore, che dopo il quarto po­sto in Germania, aveva vinto il Torneo del «Bicentenario», la Coppa Atlantica ed era stato sconfitto per sorteggio (sic) dal Perù nella corsa al titolo «Su­damericano», le cose cominciarono a complicarsi dopo la vittoriosa tournee europea, una serie di tutte vittorie eccetto con Inghilterra (1-1) e Francia (0-1), quando il «tecnico» comuni- cando la lista dei ventidue aveva depennato giocatori come Luis Pereira e Francisco Marinho, Paulo Cesar Lima ed altri del sempre ricco «carnet» bra­siliano. Lo stesso Rivelino aveva corso rischi grossi travolto dalla guerra fra Zico e Dirceu, e da un infortunio che si trascinava da lungo tempo.

Inserita nel gruppo tre con Svezia, Spagna e Austria, la «selecao» debutta malamente con la Svezia. Pareg­gia 1-1, ma mostra limiti eviden­ti; con la Spagna si ripete sullo 0-0, ma Cardenosa, attaccante spagnolo, fallisce la più incredi­bile delle occasioni che avrebbe eliminato i «tri-campeao». Vit­toria di stretta misura, risicatissima con l’Austria 1-0 per un gol di Roberto, che Coutinho è stato costretto ad utilizzare per ordini superiori. Il Brasile co­munque passa il turno ed andrà a fare compagnia all’Argentina a Rosario, mentre l’Austria vin­citrice del gruppo tre per le vit­torie sulla Spagna (2-1) e sulla Svezia (1-0) andrà nel girone se­mifinale che accoglie l’Italia.

Il ritorno del calcio austriaco ai massimi livelli dopo vent’anni esatti di assenza, testimonia dei progressi compiuti recentemente dai viennesi che sono riusciti ad esprimere una generazione di professionisti abituati ai ritmi delle infuocate partite dei cam­pionati tedeschi, belgi, olandesi, ma anche a livello nazionale con Prohaska, centrocampista dell’Austria-Wac che ha raggiunto la finale di Coppa delle Coppe 1978, e del cannoniere Hans Krankl, del Rapid, vincitore della classi­fica marcatori per quattro sta­gioni, si sono denunciati nettis­simi miglioramenti che fanno ben sperare per il futuro del cal­cio danubiano.

Brasile Svezia 1-1. A Mar Del Plata, un Brasile troppo brutto per essere vero impatta con una solida Svezia. Sopra, la rete annullata a Zico al 90′ minuto: l’arbitro aveva appena fischiato la fine

Analizzati i due gironi più diffi­cili non rimane che ricordare il facile cammino della Polonia e della Germania nel gruppo due con i tedeschi fermati sul pareg­gio dalla Tunisia e dall’incredibile eliminazione della Scozia in favore del Perù e dell’Olanda nel gruppo quattro. Battuta dal Perù (1-3) dopo aver fallito una incre­dibile serie di gol, fermata sul pareggio dall’Iran (1-1), la Scozia ha giocato in Argentina una sola partita all’altezza della sua fa­ma, battendo l’Olanda 3-2 e fa­cendo così passare nel dimenti­catoio le stravaganze dei rappre­sentanti dell’isola britannica, col­ti nell’unico episodio di «doping» del mondiale con Johnstone e salutati più come beoni che co­me calciatori.