L’autogol di Franco

Quando la Spagna rifiutò di affrontare l’URSS a Euro 1960. Non solo sareb­be stata la vera finale anticipata, ma avrebbe anche posto di fron­te due scuole, due tipi di inter­pretazione del calcio, oltre al duello Di Stefano-Jashin.

Preludio

Era incredibile. Era assurdo. Come poteva il loro governo ostacolarli così? Quella era la miglior Spagna di sempre. Quella squadra schierava mostri sacri come Paco Gento, László Kubala e due autentici fenomeni: Alfredo di Stéfano e Luis Suárez . La spina dorsale del gruppo era formata da giocatori del Real Madrid, che aveva appena vinto la sua quinta Coppa dei Campioni di fila, umiliando per 7-3 l’Eintracht Francoforte, e del Barcellona, ​​dominatore della Liga.

Ora, uniti, avevano la chance di dimostrare il loro valore sul palcoscenico internazionale e di cancellare la vergogna per non essersi qualificati all’ultimo Mondiale. Solo l’Unione Sovietica li separava dalla fase finale della prima Coppa Europea delle Nazioni. Non era una sfida facile, certo; i sovietici erano i campioni olimpici in carica e potevano contare sul mitico Lev Jashin tra i pali. Ma quella era l’età dell’oro del calcio spagnolo e i giocatori erano sicuri di vincere. “Eravamo convinti che li avremmo battuti e saremmo diventati campioni d’Europa”, ricordava Suárez anni dopo.

Ma la mattina del 25 maggio 1960, due giorni prima di partire per Mosca per la gara di andata dei quarti di finale contro l’Unione Sovietica, la squadra ricevette la notizia che quell’aereo non sarebbe mai partito. Di Stéfano , sbalordito, chiese spiegazioni al presidente della Federcalcio spagnola, Alfonso de la Fuente Chaos. “Ordini dall’alto”, fu la risposta.

1960: Il primo europeo

Nel 1960 si tenne la prima edizione della Coppa delle Nazioni Europee, l’antesignana dell’attuale Campionato Europeo. Una competizione molto diversa da quella che conosciamo oggi, a cui parteciparono solo diciassette nazionali – tra le assenti, Germania Ovest, Italia e Inghilterra – e che si svolse in due fasi distinte. Nella prima fase, la Cecoslovacchia eliminò l’Irlanda in un turno preliminare, e le altre sedici squadre si sfidarono in una serie a eliminazione diretta. Solo quattro squadre si sarebbero qualificate per la fase finale, ospitata dalla nazione che si era aggiudicata l’ultimo spareggio.

La prima fase fu caratterizzata da una notevole irregolarità nel calendario. L’Unione Sovietica e l’Ungheria disputarono la partita di andata del primo turno il 28 settembre 1958, mentre la Germania dell’Est e il Portogallo iniziarono le qualificazioni solo nel giugno del 1959. Tra le due partite di ogni spareggio poteva passare anche un anno, come nel caso della sfida tra URSS e Ungheria.

I sovietici ebbero la meglio sugli ungheresi con un risultato complessivo di 4-1, mentre la Spagna travolse la Polonia con un punteggio aggregato di 7-2. Il sorteggio per i quarti di finale si tenne a Parigi all’inizio di dicembre 1959 e l’urna assegnò la Spagna all’Unione Sovietica. Il vincitore sarebbe approdato alla fase finale a 4 squadre. Un incontro che prometteva scintille, non solo sul campo, ma anche (e soprattutto) fuori.

Calcio e Politica

L’Unione Sovietica e la Spagna non avevano rapporti diplomatici ufficiali da quando era finita la guerra civile spagnola. I sovietici erano stati gli unici a sostenere concretamente i repubblicani durante la guerra, fornendo armi e materiali nonostante l’embargo franco-britannico. Inoltre, l’URSS aveva inviato oltre 2.000 militari in Spagna, tra cui quasi 800 piloti. Dopo la vittoria dei franchisti, l’Unione Sovietica tagliò ogni contatto con la Spagna.

Franco, dal canto suo, permise e anzi favorì l’arruolamento di volontari spagnoli nell’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale, pur mantenendo ufficialmente la neutralità della Spagna. Per non compromettere i rapporti con gli alleati occidentali, stabilì che i volontari dovessero combattere esclusivamente contro l’Armata Rossa sul fronte orientale. Più di 18.000 spagnoli combatterono contro i sovietici.

Le relazioni peggiorarono ancora dopo il 1953, quando la Spagna uscì dall’isolamento post-bellico e stipulò un patto militare e politico con gli Stati Uniti. Questi crescenti rancori avrebbero presto trovato una nuova arena: il campo di calcio.

Schermaglie

I soloni del calcio sovietico sapevano bene che affrontare la Spagna, un nemico storico della Guerra Fredda, non era solo una questione sportiva, ma anche politica. Per questo, appena conosciuto l’esito del sorteggio, si misero subito all’opera per preparare al meglio la loro nazionale. Il campionato sovietico sarebbe iniziato solo ad aprile del 1960, dando ai giocatori la possibilità di allenarsi insieme per mesi prima dell’avvio della stagione nazionale. Al contrario, i calciatori spagnoli erano impegnati in una Liga molto combattuta e non avevano molto tempo per allenarsi insieme. La nazionale sovietica, invece, fece un lungo tour in Germania Est e nei Paesi Bassi, dove disputò diverse amichevoli contro squadre locali.

Un aneddoto curioso riguarda Andrey Starostin, il segretario esecutivo della Federcalcio sovietica, e mostra quanto fosse alta la tensione tra le due nazioni. Il 9 aprile, il giorno dell’inizio del campionato sovietico, un giornale lo intervistò e gli chiese di confrontare la nazionale spagnola con quella brasiliana che aveva battuto l’URSS 2-0 ai Mondiali due anni prima. Starostin fece i complimenti agli spagnoli, definendo Di Stéfano un centravanti senza tempo” e affermando che non riteneva che questa squadra spagnola fosse inferiore ai brasiliani.

Queste parole non piacquero affatto al Presidium della Federcalcio, che il 25 aprile successivo censurò Starostin, emettendo un decreto in cui si affermava:

“Si ordina al compagno Starostin di far sapere ai giornalisti sportivi quanto sia dannoso esaltare le qualità della squadra spagnola e di fare osservazioni lusinghiere sullo stile di gioco e sulla bravura dei giocatori spagnoli.”

Lodare l’avversario era visto come un segno di debolezza e di scarsa fiducia nei propri mezzi. Nella stessa riunione si stabilì che la nazionale sovietica si sarebbe ritrovata il 14 maggio in una residenza nei pressi di Mosca, normalmente destinata ai membri del Comitato Centrale del Partito Comunista. I sovietici non lesinavano certo le risorse.

Nel 1960, la Spagna aveva giocato una sola partita, battendo l’Italia 3-1 in un’amichevole a marzo. La Liga si era conclusa il 17 aprile, con il Barcellona campione grazie alla differenza-reti sul Real Madrid. Ma solo quattro giorni dopo, i due club si erano affrontati nella semifinale di andata della Coppa dei Campioni. La Spagna tornò invece in campo il 15 maggio, sfidando l’Inghilterra a Madrid.

Vladimir Moshkarkin, un altro dirigente della Federcalcio sovietica, assistette al trionfo della Spagna per 3-0. Tornato a Mosca, rilasciò un’intervista in cui lodava la velocità e la tecnica dei giocatori spagnoli. Ma poi, come se si fosse ricordato del rimprovero che aveva ricevuto Starostin, cambiò improvvisamente registro, affermando:

“questa squadra spagnola non è neanche all’altezza delle squadre ungheresi di metà anni ’50, con le quali noi pareggiavamo”.

Aggiunse poi a un giornalista della Pravda che l’Inghilterra aveva schierato una formazione imbottita di giovani: una bugia colossale.

Il 19 maggio, a soli dieci giorni dalla data prevista per il match di andata, l’URSS ospitò la Polonia in un’ultima amichevole. Questa volta, fu l’allenatore della Spagna Helenio Herrera a recarsi a Mosca per studiare gli avversari. Rimase sicuramente impressionato – e forse anche intimorito – dalla prova sovietica: l’URSS vinse 7-1.

Dubbi spagnoli

La debacle della Polonia per mano dell’URSS suscitò un’ondata di dubbi tra le autorità spagnole. Il 20 maggio 1960 fu convocato un Consiglio dei ministri straordinario per discutere la questione “della convenienza di organizzare partite internazionali tra giocatori sovietici e spagnoli e della visita di cittadini spagnoli in Unione Sovietica e di cittadini sovietici in Spagna”.

Non fu presa nessuna decisione, ma le voci iniziarono a circolare. Ogni riferimento alla partita iniziò misteriosamente a sparire dai giornali. “C’era qualcosa nell’aria, avevamo sentito delle voci, ma non pensavamo che la partita non si sarebbe giocata”, ricordava Suárez.

Martedì 24 maggio, lo stesso giorno in cui il Consiglio dei ministri decise sul da farsi, la squadra si riunì a Madrid per prepararsi alla partenza per Mosca, prevista per il venerdì. Non partirono mai da Madrid, perché il verdetto del Consiglio fu un clamoroso no.

Jimmy Burns, nel suo libro La Roja, scrive che Franco fu “in parte influenzato dal rispetto per i veterani spagnoli della seconda guerra mondiale… alcuni dei quali, a quanto pare, erano ancora rinchiusi nei campi di concentramento sovietici”.
In seguito Franco dichiarò di aver preso la decisione dopo aver ricevuto rapporti di un possibile forte sostegno alla nazionale sovietica al Bernabeu. Inoltre, secondo Burns, la richiesta di esporre la bandiera sovietica e di suonare l’inno nazionale sul suolo spagnolo era semplicemente insopportabile per Franco.

Miguel Angel Lara, in un articolo pubblicato sul sito Marca nel 2011, scrive che due potenti membri del Consiglio dei Ministri, Luis Carrero Blanco e Camilo Alonso Vega, furono i fautori della decisione. Non solo temevano che una sconfitta spagnola potesse essere usata come propaganda dal regime sovietico, ma erano assolutamente contrari all’idea che una delegazione sovietica, composta anche da membri dei servizi segreti, potesse mettere piede in Spagna.

La decisione era irrevocabile, qualunque ne fosse la logica. Alfonso de la Fuente Chaos, il capo del calcio spagnolo, volò a Parigi in cerca di una via d’uscita. Secondo Burns e il celebre storico sportivo sovietico Aksel Vartanyan, Franco avrebbe accettato di giocare solo se le due partite si fossero svolte in campo neutro. Miguel Lara, invece, afferma che gli spagnoli erano pronti anche a una partita in campo neutro e una a Mosca, o addirittura a giocare entrambe le sfide in URSS.

Franco ordina: non si gioca

Ma i sovietici rifiutarono ogni proposta. Forse spaventati dall’idea di perdere, non diedero peso alle proposte degli spagnoli e non vollero fare concessioni. Protestarono ufficialmente e chiesero un indennizzo: lo Stadio Lenin era già sold out. La UEFA non poté far altro che escludere la Spagna dal torneo e mandare avanti l’Unione Sovietica.

Il 26 maggio 1960 i giornali spagnoli riportarono questa nota lapidaria:

La Federcalcio spagnola comunica alla FIFA la sospensione delle partite di Coppa delle Nazioni Europee tra le selezioni di Spagna e Unione Sovietica.

Così la Spagna si vide negare un’occasione di gloria. Per Di Stéfano fu una crudeltà in più. Non aveva giocato i Mondiali del 1950 e del 1954 perché l’Argentina si era tirata indietro e la Spagna, la sua patria adottiva, non si era qualificata nel 1958. Ora era il governo spagnolo a fermarlo.

Per i sovietici fu un successo propagandistico. La stampa si scatenò pubblicando le varie reazioni ufficiali alla decisione. Nel suo comunicato la Federcalcio sovietica accusò Franco di piegarsi ai suoi “padroni imperialisti americani”, senza spiegare quali interessi politici avessero gli USA in una competizione calcistica europea. La risposta dei calciatori sovietici fu invece di solidarietà ai loro colleghi spagnoli, dipinti come vittime del regime di Franco.

La critica più dura venne dal capo sovietico Nikita Krusciov, che due giorni dopo la decisione di Franco disse in una conferenza:

Franco ha fatto ridere il mondo con la sua ultima buffonata. Ha fatto un autogol proibendo ai suoi calciatori di sfidare i sovietici.

I giornali spagnoli praticamente tacquero sulla questione, i giocatori erano arrabbiati, ma non potevano protestare pubblicamente. “Siamo tornati a casa con una grande tristezza”, disse Txus Pereda, uno dei nazionali, “tutto per colpa della politica. Alcuni ministri erano favorevoli, altri contrari, ma Franco aveva l’ultima parola e disse di no”. Anche Helenio Herrera, l’allenatore, mostrò il suo forte rammarico.

La Federcalcio spagnola alla fine pagò solo una multa; non ci furono altre penalizzazioni.

Nella fase finale in Francia, i sovietici batterono la Cecoslovacchia 3-0 a Marsiglia in semifinale, poi rimontarono da 1-0 imponendosi 2-1 ai supplementari contro la Jugoslavia, diventando così i primi campioni d’Europa.

Mentre i giocatori spagnoli, impotenti davanti alla politica che aveva invaso il calcio, restarono a casa.