Per gli Azzurri è Corea
La costante negativa degli azzurri alla Coppa del Mondo nel dopoguerra registra in Inghilterra il suo punto più basso. Dopo il mondiale cileno la Federazione decise di affidarsi ad un tecnico professionista che aveva dimostrato sul campo le proprie qualità portando una piccola società di provincia come il Mantova fino agli onori della serie A. La scelta di Edmondo Fabbri era giusta in linea di principio, ma divenne un inatteso «boomerang» quando il tecnico dimostrò di non tenere nel dovuto conto le indicazioni del campionato e rivelò difficoltà insormontabili nel colloquio con la stampa. Fabbri da buon romagnolo decise che il calcio azzurro andava rivoluzionato. In campionato dominava l’Inter di Herrera che otteneva successi su tutti i campi del mondo con una manovra impostata sull’utilitarismo, sul calcolo esasperato. Difesa chiusa attorno ad Armando Picchi e Luisito Suarez, un grandissimo, ad orchestrare i contrattacchi di Jair e Mazzola. Una macchina perfetta, omogenea, sulla quale si poteva discettare all’infinito, ma che vantava indubbiamente gli uomini migliori per quel tipo di gioco. L’avversario più agguerrito dell’Inter in campo nazionale era il Bologna di «Fuffo» Bernardini, che giocava un calcio più aperto e piacevole, spettacolare, poggiato su una manovra più ampia orchestrata da Fogli, Bulgarelli ed Haller, il fuoriclasse tedesco.
La gestione Fabbri era iniziata con la disputa della Coppa Europa in cui gli «azzurri» eliminarono la Turchia (6-0 a Bologna; 1-0 ad Istanbul) e furono estromessi al turno successivo dall’URSS (0-2 a Mosca; 1-1 a Roma) e la preparazione al mondiale inglese proseguì con la disputa della qualificazione guadagnata a spese di Finlandia, Polonia (nella quale figurava già Lubanski) e la Scozia di Bremner. I risultati delle vittorie casalinghe su Scozia (3-0), Polonia (6-1) e Finlandia (6-1), alimentavano un entusiasmo incontrollato, la squadra imperniata su una manovra diretta dal «genio» di Rivera e dall’altruismo di Bulgarelli sembrava poter travolgere ogni ostacolo. L’ultimo mese di preparazione fu contrassegnato da risultati roboanti: 6-1 alla Bulgaria, 3-0 all’Argentina, 5-0 al Messico. Il CU. Fabbri aveva fatto le sue scelte, partiva con l’aureola del vincitore, nella sua polemica contro Herrera ed il gioco dell’ Inter aveva trovato alleati interessati in alcuni giocatori, Rivera in testa. Ma al fuoco della battaglia la formazione azzurra mostrò carenza di nerbo atletico, risultò fragile e troppo portata al nervosismo.
Si vinse con il Cile (2-0) giocando male e dopo la vittoria, negli spogliatoi, Fabbri si lasciò andare a pesanti considerazioni sul comportamento dei giocatori, palesando una insicurezza imprevista in chi aveva difeso tanto tenacemente le proprie scelte. E per l’incontro successivo con l’URSS cambiò totalmente i propri orientamenti, affidandosi ad una difesa chiusa, composta però da uomini che non valevano certamente i Picchi ed i Guarnieri dell’Inter tanto odiata. Si perse dall’URSS per un gol di Cislenko, la squadra denunciò i soliti difetti, non sapeva reagire, cadeva preda di comportamenti non ortodossi, ma non tutto era perduto: bastava vincere con la Corea del Nord ed il passaggio ai «quarti» era assicurato.
Ma ormai l’ambiente era nel caos più assoluto, i giocatori erano isolati, come prigionieri, nervosi, con la Corea Fabbri mandò in campo elementi dalla quotazione internazionale quasi nulla, con Bulgarelli in condizioni menomate per un ginocchio in disordine. Morale: nel primo quarto d’ora l’Italia fallì cinque palle gol piuttosto facili e quando Bulgarelli, al solito generosissimo, uscì dal campo con il ginocchio definitivamente fuori uso e il tristemente famoso, per noi, odontotecnico Pak Doo Ik indovinò un tiro che batté Albertosi, la squadra naufragò miseramente senza nessuna possibilità di recupero. Quello fu il giorno più nero del nostro calcio che superò certamente l’altra infausta giornata di Belfast, con il solito corollario di polemiche indegne che avevano l’unico scopo di scaricare su altri le proprie responsabilità.