1966: L’Inghilterra di Palumbo

27 luglio 1966 – Bobby Charlton, il nuovo Di Stefano

Mancano dieci minuti alla fine. L’Inghilterra conduce con due gol di vantaggio sul Portogallo. Non possono sussistere più dubbi. Per la prima volta la nazionale britannica è arrivata all’ultimo traguardo del campionato del mondo. Può diventare campione. Gli ultimi dieci minuti — questo dice la folla, esultante, intonando inni festosi — non possono più modificare l’andamento della partita. L’Inghilterra ha meritato la sua vittoria. E’ stata superiore nel giuoco, superiore nella grinta, superiore nell’ entusiasmo. Adesso il Portogallo — dapprima paralizzato dall’emozione, poi stroncato da un clamoroso errore del suo portiere, infine avvilito dal deludente rendimento di Eusebio — dove potrebbe mai trovare le energie necessarie a rovesciare, in così breve tempo, una situazione ormai chiaramente definita?

Questo pensa la folla. Invece il Portogallo improvvisamente si scuote. Finora non è stato pari alla sua fama. Ha deluso malamente le speranze di quanti avevano puntato sulla forza del suo attacco per contrastare, in questo campionato del mondo; la supremazia del calcio anglosassone. Il Portogallo però, non vuole andarsene da Wembley senza dimostrare quel che vale. La partita è perduta, ma si rovescia all’attacco. Il vecchio Coluna — finora dominato nell’impossibile confronto col mobilissimo Bobby Charlton, il nuovo Di Stefano del calcio mondiale — si prodiga nel sostenere un’offensiva che sembra avere soltanto finalità platoniche. I portoghesi conquistano un calcio d’angolo dopo un altro. Li tira sempre Eusebio, sperando nel più pericoloso, anche se monotono, schema del gioco portoghese: un lungo cross per Torres, e gli altri pronti a sfruttare il suo appoggio di testa.

E’ il 36’. Charlton ha segnato da due minuti il gol che sembra aver messo al sicuro la vittoria britannica. Calcio d’angolo per il Portogallo. Jack Charlton, splendido nel gioco alto, spezza la parabola anche stavolta. E’ stato lui, sinora, a distruggere le tipiche manovre dell’attacco portoghese. Ma il pallone ricade sui piedi di Coluna che allarga sulla destra, a Simoes. Il pallone è di nuovo al centro dell’area inglese. Stavolta Jackie non arriva in tempo. E’ il solo pallone che sbaglia. Il portiere esce, ma è Torres, finalmente, a toccare di testa. Forse non sarebbe gol, ma nell’ansia di liberare Jack Charlton allunga un braccio, colpisce con una mano: è rigore. E’ l’ultima occasione per Eusebio di farsi vedere dal pubblico di Wembley. Finora l’hanno aspettato invano. Parte il tiro, il portiere si lancia in tuffo verso terra, il pallone sale dal basso in alto, sotto la traversa, imparabile. E’ il primo gol subito dalla nazionale inglese in questo campionato del mondo.

Ora si pensa che il Portogallo si plachi. Non gli serviva, forse, solo una platonica soddisfazione? Invece non gli basta. Adesso, negli ultimi dieci minuti, vuole tutto quello che in ottanta non era riuscito a ottenere. Gli inglesi, forse stanchi, forse sbalorditi, si disgregano. Si creano varchi in una retroguardia che finora pareva insuperabile. Mancano cinque minuti. Simoes trova uno spazio libero, è sempre Coluna a lanciarlo. Simoes scatta ed è solo davanti al portiere inglese. Se tirasse sarebbe inevitabilmente il 2 a 2 e tutto sarebbe da rifare. Gli inglesi potrebbero anche non arrivare più alla finalissima di Wembley. Un silenzio glaciale scende sullo stadio. Ma Simoes non tira, esita. Forse prova il tormento di chi sa di essere il protagonista di un’impresa sensazionale. Gli piombano addosso in due e il pallone finisce in calcio d’angolo. Il bel sogno è finito. I portoghesi non si… rassegnano però. Attaccano ancora. C’è anche un fallo di mano in area inglese, ma è chiaramente involontario. Giustamente l’arbitro non interviene. Sono minuti di spasimo per la folla britannica. Banks devia splendidamente in angolo un fulminante tiro di Coluna. Con quel pallone che vola al di là della traversa, se ne vanno anche gli sforzi dei portoghesi.

Il fischio finale dell’arbitro arriva poco dopo. I giocatori delle due squadre si abbracciano. Il pubblico applaude gli uni e gli altri. Si può giocare una bella partita di calcio, si può lottare anche senza scadere nella violenza. Eusebio può essere fermato anche senza mandarlo via in barella. L’andamento dell’incontro fra Inghilterra e Portogallo è servito a rasserenare un ambiente palesamento turbato dalle fallosità di GermaniaRussia. In mattinata i dirigenti portoghesi avevano fatto sapere che in caso di palese ingiustizia o di gioco eccessivamente scorretto essi avrebbero ritirato immediatamente la squadra: non c’è stato bisogno di farlo. L’augurio è che tale serenità si rifletta sull’arroventata finale che inglesi e tedeschi giocheranno sabato a Wembley.

La vittoria inglese è ineccepibile. La squadra britannica ha imposto sulle individualità portoghesi il suo gioco collettivo. E’ stata la vittoria della squadra sul campione solitario. Chi vede giocare l’Inghilterra, si accorge di ciò che vorrebbe realizzare Heriberto Herrera nella Juventus allorché predica il «movimiento»: cioè una squadra pronta a distendersi compatta in attacco, anche con i terzini inseriti nel gioco offensivo, ma pronta, a rinchiudersi in retroguardia con altrettanta compattezza. Il perno di questa manovra è Bobby Charlton, la controfigura di Di Stefano, che lo guardava ammirato dalla tribuna.

Bobby Charlton è il motore della squadra britannica. Sono suoi i due gol, sue le ispirazioni più felici per il gioco d’attacco; suoi gli interventi più abili nel disimpegno a centrocampo, suoi perfino taluni efficaci risolutivi interventi in fase difensiva. A Wembley aspettavano Eusebio: hanno visto Bobby Charlton. E’ stato lui, il grande protagonista dell’incontro, in quanto è riuscito in pari tempo a imporre la sua personalità, inserendola però sempre nell’ambito della manovra collettiva della squadra. Jacky Charlton e Moore sono gli altri due pilastri della squadra inglese: ma il calcio britannico, adesso, si chiama «Bobby», così come il calcio spagnolo per tanti anni si è chiamato Di Stefano.

Eusebio, invece, è malamente fallito. Il portoghese ha indubbiamente risentito della scarsa vena dell’intera squadra, forse emozionata da un così importante impegno, forse svuotata, forse sorpresa dall’assillante manovra inglese a centro campo. Ma lo scarso appoggio ricevuto dai compagni in fase conclusiva, non basta a giustificare la prova deludente del capo cannoniere del «mondiali». Eusebio soffre il marcamento stretto e non possiede l’arma del dribbling: lui ama gli spazi entro i quali inserirsi con la sua poderosa andatura per concludere l’azione con i suoi rabbiosi e violenti tiri. Ma la retroguardia della squadra di Ramsey — anzi il collettivo gioco di difesa della squadra di Ramsey — non concede mai spazio. Ed Eusebio, costretto a giocare con un avversario o due sempre attaccati addosso, o sempre pronti a contrastarlo, non è mai riuscito a conquistare un varco, nè ha avuto l’opportunità di operare un tiro efficace.

Prima di battere il Portogallo, gli inglesi hanno abilmente fermato Eusebio. E bloccato Eusebio, non c’è altri che possa assumere il ruolo di risolutore nell’attacco lusitano. Se non avessero avuto Eusebio, i portoghesi non sarebbero mai riusciti a recuperare i tre gol subiti dal coreani. L’andamento dell’incontro di stasera lo ha confermato. Così come ha confermato che la scuola anglosassone del calcio ha il diritto di essere la trionfatrice e la protagonista dei campionati del mondo. Sovrattutto quando interpreta il calcio atletico con il vigore ma anche con la correttezza con cui hanno saputo interpretarlo gli inglesi. Persino Stiles.

Sventolio di bandiere inglesi all’ingresso della squadra in campo. C’è anche qualche vessillo tedesco. Sono le avanguardie delle «truppe di invasione» che occuperanno Wembley sabato, per sostenere la nazionale germanica nell’impresa, ardua, di conquistare il secondo titolo mondiale.

Nella nazionale britannica non ricompare Greaves. Ha deluso profondamente. L’infortunio con cui viene motivata la esclusione dell’estroso e bizzarro attaccante britannico è forse un pretesto. Ramsey ha sempre anteposto agli «artisti» chi corre e chi lotta. Se ne ha una prova subito, appena il gioco comincia. La squadra britannica si lancia infatti furiosamente all’attacco. Frastornato, il portiere portoghese Pereira respinge corto di piede, ma nessun attaccante inglese è pronto ad approfittarne. Nè profitteranno di altre sue incertezze nei primi minuti di gioco. Il Portogallo è molto coperto per contenere la sfuriata britannica e Coluna imposta la manovra cercando di portare il gioco su un ritmo più blando. Le due squadre hanno un modo diverso di sviluppare il gioco d’attacco. La nazionale inglese si distende compietamente in una manovra molto elaborata: anche quando c’è la opportunità di fuggire in contropiede, l’attaccante inglese aspetta di essere raggiunto dai suoi compagni per impostare una manovra collettiva, il cui ispiratore è sempre Bobby Charlton, sovente felice nell’aprire ai compagni uno spiraglio. La squadra portoghese si distende invece in maniera diversa, ma altrettanto monotona: cercando di raggiungere sempre la testa di Torres, per sfruttarne poi gli appoggi. Ma la manovra è troppo scontata per poter sorprendere la fortissima retroguardia britannica, Torres viene sempre abilmente contrastato da Jack Charlton, ed Eusebio, custodito molto da vicino da Stiles — sinora senza la prevedibile rudezza — non riesce a evadere dalla gabbia nella quale l’hanno rinchiuso.

Alla mezz’ora — dopo che gli inglesi hanno collezionato cinque calci d’angolo all’attivo — arriva l’errore determinante del portiere portoghese. Hunt scatta in posizione di centravanti, e tira: non è un pallone difficile, è forte, ma centrale. Pereira se lo fa sfuggire. Pereira è un omonimo del portiere del Benfica che a San Siro, in una finale europea con l’Inter, si fece passare tra le gambe un viscido pallone tirato da Jair: evidentemente il calcio portoghese conta su molti Pereira, ma su nessun portiere.

Il pallone batte sulle ginocchia dell’estremo difensore portoghese e schizza in avanti. Puntualissimo Bobby Charlton, dotato di finissima intelligenza calcistica, arriva sul pallone, e con molta flemma lo spedisce rasoterra nella rete incustodita. I portoghesi rivolgono al portiere sguardi che non sono certo di gratitudine.

Bloccato inesorabilmente Eusebio, essendo impossibile superare il fitto schieramento britannico con una manovra rasoterra che richiederebbe ben altra rapidità di esecuzione, i portoghesi continuano a ricorrere, anche nella ripresa, al tentativo di arrivare al gol con lunghi cross. Ma stavolta al centro dell’area di rigore britannica c’è un giocatore abile che gioca di testa, quanto se non più di Torres. E Jack Charlton, inesorabilmente spezza ogni traversone. Il Portogallo colleziona qualche calcio d’angolo. Sono le sue azioni più insidiose.

Nei primi venti minuti della ripresa i calci d’angolo sono cinque, ma nessuno provoca pericoli per la rete difesa abilmente dall’attento Banks, un portiere che non concede nulla alla platea, ma si trova costantemente piazzato. All’8’ i portoghesi invocano un rigore, per un pallone tirato da Simoes e finito, in area, sul braccio di Stiles, ma l’involontarietà è evidente. Schwinte, arbitro attento, — favorito peraltro dalla correttezza del gioco, pur vigoroso, — fa benissimo a negare l’irregolarità.

La superiorità della nazionale britannica è costante, alimentata da una efficace manovra collettiva, nella quale si staglia con sempre maggiore evidenza la sbalorditiva regìa di Bobby Charlton. Il gioco è comandato dagli inglesi che tendono ad irretire gli avversari in fitte trame a centrocampo. E’ sempre Bobby Charlton a comandare. Lui lancia Hurst in una veloce puntata offensiva. L’interno britannico arriva fin quasi sulla linea di fondo, poi passa all’indietro: in corsa arriva ancora Charlton e con un tiro formidabile, imparabile, batte Pereira, stavolta del tutto innocente.

Due a zero per l’Inghilterra. E’ finita? Non è finita. Quel che è accaduto nel drammatico, appassionante finale ve lo abbiamo già raccontato. L’Inghilterra giocherà sabato a Wembley la finalissima: oggi ha meritato questo diritto. La folla britannica sogna di poter realizzare finalmente una sua antica speranza, per tanto tempo inutilmente inseguita.