Giovanni Arpino: Cronache Messicane

5 giugno: Vincerà la squadra che picchia di più?

Il football in Messico — per via dell’altitudine, di un determinato equilibrio (finora) tra i grandi favoriti, per via della concentrazione assoluta che ogni giocatore, ogni squadra coltiva in se stessa — ha perso nobilmente per strada alcuni dei suoi motti, tanto famosi quanto banali. Chi oserebbe mai dire, a queste altezze, «Palla avanti e pedalare»? Chi avrebbe ancora il coraggio di insistere sul «taca la bala» di herreriana memoria? Qui conta l’ossigeno, il medico, il recupero polmonare, la distribuzione del fiato durante le gare. Però una cosa non è venuta meno: il calcione, la spinta, lo strattone in area, insomma il gioco duro. Persino i dilettanti di Israele hanno dato dimostrazione di saper picchiare. Il loro numero 13, Daniel Rom, si è dimostrato una catapulta in fatto di ancate, «sandwich» a due braccia, colpi di gomito. Gli svedesi, con Olsson, hanno fatto vedere che certe rudezze atletiche sono comuni a tutti i popoli: Olsson ha «tenuto» Riva ai limiti del lecito. Un giornale messicano ha pubblicato sequenze fotografiche degli strattonamenti svedesi ai danni del nostro goleador che costituiscono una vera ‘ enciclopedia delle rudezze in area. L’impegno è grande, il traguardo ambitissimo, le «firme» più note del football non vogliono tradire l’attesa di milioni di appassionati. Quindi gli scontri diventeranno più crudeli, a meno che gli arbitri non decidano di intervenire con altrettanta crudeltà. Certo, è difficile espellere qualcuno durante un incontro internazionale di tanto peso, però non vi è altro rimedio. La Coppa Rimet rischia, in certe gare, di trasformarsi in un’antologia della rissa. Lo spettatore italiano forse non riesce a intuire quanto succede sui campi perché la televisione gli trasmette solo le fasi cruciali della gara. Inoltre le telecamere sono obbligate a seguire il gioco là dove si disputa il possesso del pallone. Ma cosa succede, nel frattempo, in zone morte del campo? I marcatori seguitano ad appiccicarsi agli avversari come se le circostanze agonistiche fossero al culmine. Olsson ha strattoneggiato Riva anche quando erano i difensori italiani a lottare nella propria area, e il nostro numero 11, si trovava solo e fermo a centrocampo. Il professionismo sportivo impone, con cinico realismo, questi risvolti. Per chi perde, nella Coppa Rimet, non esiste possibilità di rivincite. I punti in palio sono pochi e bisogna disputarseli senza pietà. Ogni nazione ha sostenuto spese grandissime per schierare una squadra. L’agonismo è quindi tremendo, anche se condotto alla velocità di 2 chilometri orari. Nei «quarti» si teme che la battaglia diventerà ancora più dura. Per ora, negli stadi dove non gioca la Nazionale messicana, il peso dei tifosi è minimo. Ma anche questo elemento dello spettacolo cambierà: superati gli «ottavi», per esempio, brasiliani o italiani avranno maggior numero di sostenitori alle spalle, quindi maggiori incentivi di lotta. Chi ne fa le spese sono le «stelle» di prima grandezza, che per impadronirsi di un pallone rischiano stinchi e caviglie. «Senza un omicida in area di rigore non si vince un campionato», diceva tempo fa un noto cronista sportivo. Ebbene: di omicidi in area se ne vedranno parecchi, ogni squadra ha gli uomini adatti a rompere più che a costruire. Gli uruguayani che la squadra italiana incontra oggi, per esempio: sono dei maestri di tattica, oltreché di politica tra le quinte di ogni Mondiale. Ebbene: hanno voluto dimostrare, con i dilettanti di Israele, di saper «giocare pulito». Non avevano bisogno di sfoderare i colpi mancini del loro repertorio. Ma è praticamente certo che contro di noi e contro gli svedesi, data la reciproca fame di punti, useranno tutte le loro armi segrete, dall’insulto al colpo di gomito per levarti il fiato. La vita di ogni atleta, qui in Messico, è legata a fattori di forza e di fortuna difficilmente catalogabili prima di ogni incontro. Perché ogni incontro è un duello, una lotta fino all’ultimo respiro.