L’America di Bearzot

19 luglio 1994

Caro Sacchi, non si vince senza un vero attaccante

L’avventura è finita, è tempo di mettere in valigia i ricordi belli e purtroppo anche quelli brutti. E dura perdere una Coppa del Mondo a quel modo, meglio pensare alle cose belle che ho potuto vivere da vicino e toccare con mano, a cominciare dallo straordinario rapporto affettivo che si è creato tra tifosi e squadra’.

Dopo tanti Mondiali vissuti dal didentro, me ne è toccato uno dal di fuori. E ho scoperto quanto sia intensa, totale la partecipazione della gente alla sofferenza della squadra.

E il ricordo migliore che mi porto via dal l’America. Molto migliore di una finale che avevo sperato e sognato diversa, sia nell’esito sia nelle modalità. Nessuno ha vinto, nessuno ha perso, dal quadro generale di questa partita mi pare emerga nitidamente che il Brasile ha fatto più di noi per meritarsela, attraverso una costante iniziativa di gioco e una ricerca continua, per quanto laboriosa, del gol.

Dall’Italia francamente qualcosa in più mi aspettavo, non come dedizione dei giocatori ma come atteggiamento tattico. Invece abbiamo giocato senza un vero attaccante, ne sarebbe bastato uno solo per creare problemi alla loro difesa. Meglio subito, ma almeno nel finale, quando uno scatto, un tiro a sorpresa non erano più alla portata di chi aveva speso tutto: potevano però esserlo per un uomo fresco di caratteristiche offensive.

Non è una critica, è un rimpianto. La critica semmai è un ‘altra, quella di aver fatto troppe promesse che non è stato possibile mantenere.

La lezione di questo Mondiale è che la componente umana, sotto forma di coraggio, dedizione, convinzione l’ha avuta vinta su quella tattica, schemi, formule e robotizzazioni. La gente, qui in America e lì in Italia, si è legata a questa Nazionale proprio per questo. Non dimentichiamolo.