Immortals: Ricardo Zamora


El Divino

Cosa avrebbe fatto il calcio senza Ricardo Zamora, detto “El Divino”? Forse avrebbe dovuto trovarsi un posto qualunque dove sbarcare il lunario, ritardando il proprio successo universale. Perché alla leggenda del portiere, così intrinseca al midollo stesso del gioco, Zamora diede un impulso decisivo.

Era alto, ma non imponente per il ruolo. Scattava come se il corpo non gli appartenesse e a lui fosse consentito di lanciarlo nel vuoto da ogni posizione. L’armonia dei movimenti si traduceva nel tempismo dell’intervento e nella quasi soprannaturale capacità di “leggere” le intenzioni dell’avversario che fu all’origine del suo soprannome.

Si diceva che l’attaccante fosse costretto a tirare senza guardare lui, il divino, che altrimenti l’avrebbe ipnotizzato col suo sguardo magnetico. E leggendo nell’intenzione sarebbe partito all’unisono col tiro per bloccare il pallone. Venne considerato il più forte portiere del mondo e attorno alla sua figura di “eroe” nacque una leggenda che ne mantiene vivo ancora oggi una sorta di culto come inarrivabile campione.

Era nato il 21 gennaio 1901 e ragazzino era emerso nelle file dell’Universitari, da cui lo prelevò l’Español, buttandolo nella mischia nel 1917, quando ancora portava i calzoni corti. Per sembrare più grosso il giorno del debutto vestì un pesante maglione girocollo e si riparò il capo con un duro cappello basco. La spettacolarità dei suoi voli, spesso plasmati nell’aria con gusto puro della teatralità, ne fecero un idolo dei tifosi.

Esordì in Nazionale a diciannove anni, alle Olimpiadi del 1920, e difese la porta della rappresentativa fino al 1936, totalizzando 46 presenze. Memorabile la sua prestazione contro l’Italia nei quarti del Mondiale 1934, quando le sue prodezze sospinsero la squadra iberica a un passo da una clamorosa vittoria. Ma Ferrari pareggiò e le botte ricevute in partita impedirono a Zamora di essere presente il giorno dopo alla ripetizione, che gli italiani si aggiudicarono prendendo il volo verso la vittoria finale.

Anche ai divini, tuttavia, capita di inciampare e Zamora non dimenticò mai il terribile pomeriggio del 9 dicembre 1931, sull’infido terreno di Highbury contro i Maestri inglesi. Vi giunse con la fama di più grande portiere del mondo e ben sette volte dovette chinarsi allo strapotere di Dixie Dean e soci, che chiusero con un eloquente 7-1.

Nel 1919 passò al Barcellona, con cui conquistò due Coppe di Spagna. Quattro stagioni dopo, divergenze di carattere economico gli fecero sbattere la porta. Tornò all’Español, vinse un’altra Coppa di Spagna e giocò fino al 1930, quando un favoloso ingaggio lo portò al Real Madrid, di cui fu leggendario guardiano per sei stagioni, chiudendo con le prodezze che nella finale di Coppa di Spagna sbarrarono la strada al Barcellona. Era la seconda Coppa con le “merengues”, che aggiungeva a due titoli nazionali.

Poi, la guerra civile si prese la scena e il Divino riparò in Francia, per due stagioni di prodezze nel Nizza. Nel 1938 si ritirò e tornò in patria. L’anno successivo era manager dell’Atletico Madrid, avviando una nuova carriera, che lo avrebbe portato alla guida dell’Español e della Nazionale. E morto l’8 settembre 1978.

Ricardo Zamora Martínez
(Barcellona, 21 gennaio 1901 – Barcellona, 8 settembre 1978)

StagioneSquadraPres (Reti)
1916-1919 Español? (-?)
1919-1922 Barcellona? (-?)
1922-1930 Español26 (-?)
1930-1936 Madrid CF75 (-89)
1936-1938 Nizza39 (-?)
Nazionale
1920-1936 Spagna 46 (-41)