Veni, Viri, Vici
Virginio Rosetta detto “Viri” fu l’apripista del professionismo in Italia, emblema ideale della nuova dimensione del calcio, grazie alla classe assoluta che ne fece un primatista di ruoli e di scudetti. Era nato a Vercelli il 25 febbraio 1902 ed era diventato calciatore nelle giovanili della Pro, dominatrice del calcio d’allora. Esordiva in prima squadra a diciassette anni con la ripresa postbellica, giocando in attacco, per scoprire poi, cosa non rara di quei tempi, di poter giostrare con pari efficacia sia da interno che da difensore. Partecipò all’ultima gloria del suo club, vincendo gli scudetti del 1921 e del 1922, poi fu protagonista di uno “scandalo” epocale.
Figlio di una maestra, ragioniere, mordeva il freno a dover giocare gratis, mentre ormai, sia pure sottobanco, i compensi ai calciatori erano la norma. Nel settembre 1923, alla vigilia del campionato, la Juventus incontrò in amichevole la Pro Vercelli. Non essendo scesi in campo due “big”, il centravanti Gay (poi passato al Milan) e Rosetta, i dirigenti bianconeri contattarono quest’ultimo per verificarne la disponibilità al trasferimento. Il giocatore non aspettava altro. A lui, come a tutti i compagni che avevano chiesto un regolare stipendio, il presidente aveva inviato una lettera sdegnata: giocare per le bianche casacche era un onore… impagabile; se a qualcuno non stava bene, aveva piena facoltà di cambiare aria.
Pareva un nulla osta in piena regola e la Juventus, accordatasi col giocatore, chiese alla Federcalcio l’autorizzazione al tesseramento, ottenendola senz’altro, a firma dell’avvocato Bozino, presidente della Federcalcio e della stessa Pro. “Viri” debuttava il 25 novembre, a campionato iniziato, contro il Modena, poi segnava il gol della vittoria sul Genoa e proprio il club ligure presentava ricorso, assieme ad altre società, per la presunta posizione irregolare del giocatore (firmatario per la Juve pur essendo vincolato alla Pro). Nell’assemblea straordinaria del 9 febbraio 1924 il trasferimento veniva annullato e la Juve data per sconfitta in tre partite (con Modena, Genoa e Padova) giocate dall’asso vercellese.
La polemica deflagrava, i dirigenti bianconeri minacciavano il ritiro della squadra, Bozino era costretto alle dimissioni. Il Genoa vinceva il campionato (con 7 punti di vantaggio) e la situazione si risolveva: Rosetta veniva regolarmente ceduto, anche se la cifra sborsata dalla Juve – 50 mila lire, più un impiego da ragioniere a 700 lire al mese e una “integrazione” di 300 da parte della società – faceva nascere un nuovo “scandalo”. Il calcio usciva dai tempi eroici e diventava formalmente professionistico.
Tanta sofferenza si dimostrò giustificata: collocato stabilmente in difesa dal 1925-26, Rosetta, pur non eccellendo nel gioco di testa, diventava uno “spazzino” implacabile, col gusto del disimpegno di classe derivatogli dal proprio eclettismo tecnico. Con lui la Juventus vinse sei scudetti, in Nazionale prima e in bianconero poi andò a formare con Combi e Caligaris uno dei trii difensivi leggendari della storia del calcio.
Vinse il titolo mondiale nel 1934 e chiuse la camera due anni dopo, esauritosi ormai il ciclo prodigioso del “quinquennio” bianconero. Con la Juventus aveva totalizzato 338 partite e 15 gol. In Nazionale, 52 presenze. Diventò allenatore, prima della Juventus, poi della Lucchese, ma i postumi di un grave incidente d’auto gli troncarono la nuova carriera e proseguì, come osservatore bianconero. E morto nel 1975.
Virginio Rosetta
(Vercelli, 24 febbraio 1902 – Torino, 29 marzo 1975)